La gestione dei servizi pubblici attraverso società partecipate o in house providing

La gestione dei servizi pubblici attraverso società partecipate o in house providing

Sommario: 1. Premessa – 2. Le società partecipate – 3. L’affidamento dei servizi pubblici alle società in house providing – 4. Conclusioni

 

1. Premessa

La gestione dei servizi pubblici può avvenire in maniera diretta o indiretta. Nel primo caso l’ente pubblico provvede attraverso la gestione in economia o aziende speciali. Nel secondo caso la PA ricorre all’affidamento ad un ente pubblico economico,  a società partecipate o in house providing.

Con riguardo alle società partecipate occorre rilevare che esse sono nate soprattutto a partire dagli anni novanta a seguito del processo di privatizzazione. Si tratta di società di capitali in cui la partecipazione dello Stato o altro ente pubblico può essere totalitaria, maggioritaria o minoritaria.

Occorre comunque evidenziare che lo sviluppo delle società partecipate ha avuto effetti negativi sulla spesa pubblica. Pertanto, il legislatore ha sentito l’esigenza di intervenire con la legge n. 164/2015 e il d.lgs n. 175/2016 di attuazione al fine di ordinare il quadro normativo in materia di partecipate ma anche di limitare lo sviluppo sproporzionato del fenomeno delle società partecipate nonchè di razionalizzare e ridurre la spesa pubblica.

Limitazioni ancora più forti sono state previste dal legislatore per le società in house providing atteso che la gestione dei servizi pubblici attraverso questo modello societario comporta una deroga alle regole della concorrenza e, in particolare, al principio dell’esperimento della procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente in tema di contratti pubblici.

2. Le società partecipate

L’art. 2 del dlgs n. 175/2016 definisce società partecipate quelle in cui la PA esercita un controllo ai sensi dell’art. 2359 cc. o quelle in cui la PA partecipa direttamente o tramite società a controllo pubblico.

Nonostante la partecipazione dell’ente pubblico, le società partecipate conservano la loro natura privata e, pertanto, ad esse si applica la disciplina comune dettata per le società dal codice civile e dalle altre norme di diritto privato.

Occorre, però, rilevare che il legislatore per le società partecipate ha previsto alcune deroghe al regime comune, dettate dall’esigenza di limitare il ricorso a tale modello societario.

Invero, le società partecipate sono sottoposte ad un doppio vincolo di scopo atteso che l’art. 4 del d.lgs. n. 175/2016 stabilisce il divieto per le Pubbliche Amministrazioni di costituire società partecipate o acquisire partecipazioni in società quando l’oggetto sociale consiste nella produzione di beni e servizi non strettamente necessari ai fini istituzionali dell’ente. Inoltre, l’art. 4 del predetto decreto legislativo indica espressamente le attività che possono costituire oggetto delle società partecipate. L’art. 3 del delgs n. 175/2016 stabilisce poi che le società partecipate possono avere solo la forma di società di capitale e non di persona.

Lo sfavore del legislatore per le società partecipate si evince in maniera particolare nell’art. 5 che stabilisce un onere motivazionale a carico della PA che dovrà nell’atto deliberativo di costituzione della società o di acquisto di partecipazioni indicare analiticamente le ragioni che l’hanno indotta a compiere l’operazione, facendo particolare riferimento all’esigenze di convenienza economica e sostenibilità finanziaria. Inoltre, l’atto deliberativo dovrà essere trasmesso alle Autorità competenti al controllo sulla gestione finanziaria, ovvero la Corte dei Conti e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Una deroga particolare è stata prevista per le società partecipate miste con riguardo alla scelta del socio privato.

Infatti, l’art. 17, comma I del dlgs n. 175/2016 prevede che un servizio pubblico possa essere affidato ad una società mista purchè la scelta del socio privato avvenga con una procedura ad evidenza pubblica e la stessa procedura abbia ad oggetto sia la selezione dei soggetti privati che dovranno diventare soci sia l’affidamento del contratto di appalto o di concessione; pertanto, si parla anche di procedura ad evidenza pubblica a doppio oggetto.

Inoltre, il privato dovrà possedere i requisiti di qualificazione specifici previsti dalle norme legali e regolamentari in relazione all’attività che deve essere svolta. La legge stabilisce anche che la quota di partecipazione del privato non possa essere inferiore al 30% e che la durata della partecipazione del privato non possa essere superiore alla durata dell’appalto o della concessione.

3. L’affidamento dei servizi pubblici alle società in house providing

L’espressione in house providing nasce a livello comunitario per far riferimento al fenomeno in cui la PA per adempiere al suo dovere di fornire servizi di interesse pubblico non ricorre ad entità esterne (esternalizzazione) ma utilizza una società distinta ma controllata in maniera così penetrante dall’Amministrazione da potersi dire che si tratta di una parte di essa.

La disciplina delle società in house è contenuta nel dlgs n. 175/2016 che, nel recepire gli indirizzi comunitari[1],  ne stabilisce i requisiti essenziali.

Il primo requisito è strutturale e consiste nel controllo analogo che, come chiarito dalla Corte di Giustizia e dalla giurisprudenza interna sta ad indicare la possibilità della PA di definire gli obiettivi strategici e le decisioni del soggetto in house, potendo anche esercitare il potere di autorizzare o annullare gli atti di gestione più importanti.

Quindi, in virtù di questo controllo analogo, tra la PA e la società in house vi è un rapporto di gerarchia e la società in house opera come una longa manus dell’Amministrazione.

L’altro requisito è funzionale e consiste nel fatto che tale società può svolgere esclusivamente le attività di cui all’art. 4 III co., del dlgs n. 175/2016 , ovvero attività di produzione di un servizio di interesse generale, progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra Amministrazioni, autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente e servizi di committenza. Inoltre, almeno l’80% del fatturato deve essere svolto a favore dell’ente pubblico.

Il terzo requisito è la totale partecipazione pubblica. Sul punto occorre rilevare che l’art. 16 del dlgs n. 175/2016 sembra aver eliminato tale requisito atteso che stabilisce che le società in house con capitali privati possono essere ammesse solo in presenza di una norma di legge. Pertanto, senza un intervento legislativo deve escludersi la società in house con partecipazione di capitali privati.

L’affidamento dei servizi pubblici alle società in house costituisce una deroga alla regole della concorrenza; pertanto, è previsto un onere di motivazione rafforzata in caso di ricorso alle società in house e, in particolare, la PA dovrà dare espresso conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato.

Sul punto significativa è la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 1596 del 23/02/2021 in cui è stata dichiarata la legittimità della scelta di un Comune di affidare in house la gestione del servizio di igiene urbana perché la PA aveva analiticamente dato conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato, adempiendo al suo obbligo motivazionale.

Anche nel caso di società in house la delibera di costituzione andrà trasmessa alla Corte dei Conti e all’AGCOM.

Con riguardo alla natura della società in house l’orientamento dominante, confermato anche dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24591 del 01/12/2016, ritiene che essa abbia natura privata e, pertanto, si applicherà la disciplina comune prevista dal diritto civile.

Un orientamento minoritario, invece, sostiene che essa abbia natura pubblica. In tal senso si è pronunciato il Tribunale di Napoli (sentenza n. 1085 del 14/02/2019) che, facendo leva sulla nozione di controllo analogo e sulla posizione della società in house quale mera articolazione della PA , ha affermato la sua natura pubblica. Pertanto, il Tribunale di Napoli ha ritenuto di dover applicare a predetta società la normativa in materia di pubblico impego (diversamente da quanto accade per le società partecipate  ove ai rapporti di lavoro dei dipendenti si applica la disciplina codicistica).

4. Conclusioni

L’affidamento dei servizi pubblici a società in house ha assunto da sempre rilievo sia nel contesto europeo che quello interno.

Con la sentenza Teckal la Corte di Giustizia, al fine di non pregiudicare le regole della concorrenza,  ha precisato i presupposti per la legittimità dell’affidamento a società in house providing, poi recepiti dalla direttiva 2014/24/UE: la totale partecipazione pubblica dell’ente pubblico, il controllo analogo sulla società da parte dell’ente pubblico, la realizzazione dell’attività prevalentemente a favore dell’ente pubblico.

Occorre evidenziare che la Corte di Giustizia ha chiarito che una partecipazione dei privati al capitale della società in house non è sufficiente ad escludere la configurabilità del controllo analogo. Infatti, ciò che rileva è l’influenza determinante che l’ente pubblico deve esercitare sulla società nonostante la partecipazione del privato.

Alla luce della giurisprudenza comunitaria, di recente il Consiglio di Stato con ordinanza n. 7161 del 18/11/2020 , si è interrogato sulla permanenza dei presupposti per l’affidamento in house qualora l’ente pubblico cede il pacchetto azionario di una società in house e quindi il controllo analogo ad altra società .

Pertanto, rimettendo gli atti alla Corte di Giustizia, ha sollevato la questione circa la possibilità di affidare senza gara un servizio pubblico alla società in house qualora l’ente pubblico ha ceduto il pacchetto azionario a terzi.

La Corte di Giustizia dovrà, quindi, pronunciarsi prossimamente sulla questione cercando ancora una volta di bilanciare le esigenze dell’organizzazione amministrativa con la tutela della concorrenza.

 

 

 

 


[1] Corte di Giustizia sentenza Teckal, 18 novembre 1999, causa C-107/98.

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