La natura giuridica delle Università non statali legalmente riconosciute

La natura giuridica delle Università non statali legalmente riconosciute

Il Consiglio di Stato con sentenza n.3043/2016 si occupa di definire la natura giuridica delle Università non statali legalmente riconosciute al fine di ricomprenderle o meno nell’ambito soggettivo definito all’art. 11 co.1 del d.lgs. n.33 del 3013 in tema di pubblicità e trasparenza.

La questione, in particolare, consente ai giudici amministrativi di indagare ancora una volta i criteri interpretativi cui ricorrere per individuare correttamente la pubblicità di una determinata struttura organizzativa.

Com’è noto, sul punto la giurisprudenza ha elaborato nel tempo impostazioni differenti, sia di tipo formalistico che di tipo sostanzialistico.

Secondo l’impostazione formalistica, ai fini di determinare l’applicabilità o meno di una disciplina legislativa pubblicistica, occorre privilegiare una nozione “statica” e “formale” di pubblica amministrazione. In particolare, è necessario che il legislatore preveda espressamente la qualifica di ente pubblico secondo la previsione di cui all’art. 4 della legge 20 marzo 1970 n.75. Qualora il legislatore preveda espressamente la qualifica pubblicistica, l’ente è automaticamente e interamente sottoposto al rigore della disciplina amministrativa, senza che possano residuare istituti o ambiti applicativi esposti alla disciplina privatistica.

Secondo l’impostazione più recente di stampo sostanziale, invece, l’ente pubblico non può essere individuato alla luce di criteri statici e formali, ma soprattutto, in virtù di criteri dinamici e funzionali.

Alla base di questa impostazione sussiste l’acquisizione per cui l’ente pubblico non può più essere considerato come un’entità fissa e immutabile, ma deve essere parametrato in relazione allo specifico istituto o del regime normativo che deve essere applicato.

Ciò in quanto attualmente l’ordinamento è proteso verso una nozione funzionale e cangiante di ente pubblico secondo la quale un soggetto può avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e non può non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica.

Il fondamento normativo di ciò che i giudici amministrativi chiamano “l’ibridazione delle forme giuridiche pubbliche e private” può rinvenirsi in numerosi referenti normativi.

L’art. 1 co.1 bis della legge n.241 del 1990 ammette espressamente che la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le regole di diritto privato.

Sulla medesima scia normativa è possibile richiamare l’art. 23 della medesima legge in merito alla disciplina del diritto di accesso nei confronti del gestore del pubblico servizio, così come l’art. 29 in tema di società strumentali o titolari di funzioni amministrative esternalizzate sottoposte alle norme del procedimento amministrativo.

Inoltre, la conferma della nozione funzionale e cangiante di pubblica amministrazione è senz’altro ricavabile dall’art. 7 co.2 del codice del processo amministrativo, secondo cui “per pubbliche amministrazioni si intendono anche i soggetti ad essi equiparati o comunque tenuti al rispetto del principio del procedimento amministrativo”.

Tale acquisizione, naturalmente, non elude la necessità di un riconoscimento legislativo che sottoponga il soggetto di cui si discute al regime pubblicistico, secondo i principi sanciti nella legge n.70 del 1975.

Una volta chiariti i criteri che consentono di qualificare la misura della pubblicità di un determinato ente pubblico, i giudici amministrativi si occupano di indagare la natura giuridica delle università non statali legalmente riconosciute rispetto agli obblighi previsti in tema di trasparenza dal decreto legislativo n.33 del 2013.

Pur consapevole della nozione generale di pubblica amministrazione recepita all’art. 11 del d.lgs. n.33 del 2013, il Consiglio di Stato sostiene che la disciplina prevista in tema di trasparenza non possa essere applicata in relazione alle università non statali legalmente riconosciute.

Secondo i giudici amministrativi la motivazione di una siffatta conclusione si ricava direttamente dalla Costituzione e in particolare dall’art. 33 co.1.

La norma infatti sancisce il diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, nonchè il diritto delle università di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato. Pertanto, l’autonomia ordinamentale riconosciuta dalla carta costituzionale non può che sottendere la natura privatistica di tali enti, e di conseguenza l’incompatibilità con la disciplina in tema di trasparenza contenta nel d.lgs. n.33 del 2013. Opinando diversamente, infatti, si realizzerebbe indebitamente una sostanziale pubblicizzazione di un ente privato, imponendo ad esso obblighi in materia di pubblicità preordinati a introdurre una forma di controllo pubblicistico e collettivo, che contrasterebbe con la natura sostanzialmente privata che lo connota.


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Rita Claudia Calderini

Avvocato abilitato presso la Corte di Appello di Napoli. Dottoressa in giurisprudenza con votazione 110 e lode presso l'Università Federico II. Specializzata in professioni legali. Attualmente risiede a Milano in quanto partecipante del master Diritto e Impresa presso la Business school del Sole24ore.

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