La nomina dell’arbitro e l’intervento del Presidente del Tribunale

La nomina dell’arbitro e l’intervento del Presidente del Tribunale

Ci siamo già occupati di alcuni profili inerenti il procedimento di nomina degli arbitri, sottolineando come questo possa – logicamente – subire mutamenti in base alla sede (arbitrato tradizionale o arbitrato amministrato).

Tornando dunque sulla tematica della nomina dell’arbitro/i, nel caso in cui la parte obbligata non vi provveda nei termini fissati dalla legge ed eventualmente integrati dagli accordi negoziali, ovvero che la nomina sia deferita all’autorità giudiziaria o ad un terzo ( art. 810, comma 4 c.p.c.) e vi siano inadempienze dell’organo adito per la nomina, la parte adempiente, mediante ricorso, può chiedere che la stessa sia effettuata dal presidente del Tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato.

L’iniziativa della nomina giudiziale sostitutiva è rimessa solo e soltanto alla parte adempiente e non può essere promossa né d’ufficio né da parte degli arbitri nominati.

Se il luogo non è stato fissato o si trova all’estero il ricorso deve inoltrarsi al presidente del tribunale di Roma (art. 810, comma 2 c.p.c.).

Il presidente del Tribunale procede alla nomina se la convenzione d’arbitrato non è manifestamente inesistente o non prevede manifestamente un arbitrato estero (art. 810, comma 3 c.p.c.).

La designazione dell’arbitro non è neppure riconducibile ad una figura tipica, perché la determinazione del giudice da parte del terzo si colloca fuori e prima del contratto di arbitrato   e non determina un elemento del contratto.

L’intervento sostitutivo del giudice, oltre che quando una parte limita o impedisce la nomina dell‘arbitro, è previsto anche quando l’arbitro debba essere sostituito per rinuncia, ricusazione ecc… (art. 811) ovvero quando l’arbitro sia decaduto dall’incarico ( art. 813 bis) per inadempimento.

L’art. 811 c.p.c. infatti, rubricato ‘’Sostituzione degli arbitri’’ prevede che le stesse norme e modalità indicate dall’art. 810 c.p.c. vengano utilizzate per sostituire eventuali arbitri mancanti, anche per cause sopravvenute.

L’art. 812 c.p.c. (Incapacità di essere arbitro) statuendo che non può essere arbitro chi è privo, in tutto o in parte, della capacità legale di agire, fissa un solo ed unico limite, potendo così essere nominato arbitro anche un soggetto non professionista.

Non necessariamente un Avvocato, non necessariamente un Dottore commercialista o altro professionista, anche se la prassi insegna come questi e altri professionisti siano ovviamente in prima linea.

Sul punto è interessante notare come la preparazione giuridica a volte, non sia sufficiente per la corretta amministrazione del rito processuale arbitrale.

C’è inoltre da sottolineare come il mero possesso del titolo di avvocato o anche di giurista non   equivalga necessariamente ad una competenza e professionalità elevate nel settore e nella materia arbitrale.

Molte camere arbitrali infatti hanno avvertito l’esigenza di inserire nel proprio organico di arbitri anche soggetti dotati di particolari competenze tecniche.

A prescindere dalla competenza posseduta, sia essa giuridica o  tecnica, sembra opportuno che tutti i  soggetti eventualmente inseriti  in un elenco di arbitri o comunque ritenuti idonei allo svolgimento di tali funzioni dimostrino una comprovata esperienza e professionalità maturate nel settore arbitrale.

Tornando ai requisiti dell’arbitro e al suo ufficio di giudice privato, nell’ipotesi di rinuncia all’incarico infine, come sembra ormai assodato, si ritiene possano applicarsi i principi generali sul mandato ex art. 1727 c.c., per cui in mancanza di una giusta causa – inclusa l’impossibilità sopravvenuta per motivi personali o la scoperta di una causa di astensione – sorge l’obbligo per l’arbitro rinunciante di risarcire il danno.

 


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