La “normale tollerabilità” nella disciplina delle immissioni, tra priorità d’uso ed esigenze di produzione

La “normale tollerabilità” nella disciplina delle immissioni, tra priorità d’uso ed esigenze di produzione

Sommario1. Brevi cenni sulla disciplina delle immissioni nel Codice Civile – 2. Il concetto di normale tollerabilità, la sua prova e il rapporto con i criteri ex art. 844 CC – 3. La “normale tollerabilità” e il contemperamento con la priorità d’uso e le esigenze di produzione

1. Brevi cenni sulla disciplina delle immissioni nel Codice Civile.

Com’è noto, l’art. 844 del Codice Civile regolamenta il fenomeno delle immissioni (odori, rumori, fumi ecc.) che dal fondo di un soggetto si propaghino sul vicino fondo altrui, con effetti molesti che possono essere censurati qualora presentino certe caratteristiche e superino determinati parametri.
Nel dettaglio, il succitato articolo recita:

Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.”

Tra gli elementi di cui, in primis per il Giudice, è necessario tener conto vi sono dunque il concetto di “normale tollerabilità”, la condizione dei luoghi, eventuali esigenze di produzione e la priorità d’uso (detta anche “preuso”).
Come vedremo, la giurisprudenza ha delineato un complesso rapporto tra queste figure, che afferisce anche alla disciplina del danno ex artt. 2043 e 2059 C.C.

2. Il concetto di normale tollerabilità, la sua prova e il rapporto con i criteri ex art. 844 CC.

Il concetto di “normale tollerabilità” è stato chiarito e sostanzialmente elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale anche nelle più recenti pronunce è costante nel ritenere che il superamento di tale limite non vada considerato come un fatto da provare in sé, ma debba piuttosto essere apprezzato dal Giudice in seguito a una valutazione di più circostanze di fatto.

Si veda ad esempio quanto argomentato dalla Suprema Corte in Cass. Civ. sez. 2 sent. n. 9640 dell’11.5.16:“ l’intollerabilità delle immissioni non costituisce, propriamente, un fatto da provarsi, ma un giudizio che il giudice del merito è  tenuto ad esprimere con riferimento alle accertate propagazioni: sicché non ha senso logico riferire l’onere probatorio al dato della intollerabilità; compete, invece, a detto giudice appurare se, sulla scorta degli elementi di prova forniti, ed eventualmente con l’ausilio di un consulente tecnico, quelle immissioni eccedano il limite della comune sostenibilità, avuto anche riguardo ai criteri posti dall’articolo 844 c.c. (condizioni dei luoghi, esigenze della produzioni, preuso). Infatti, l’apprezzamento del giudice di merito sulla normale tollerabilità’ delle immissioni in alienum si concretizza nella valutazione di circostanze di fatto (per tutte: Cass. 20 marzo 1995, n. 3223): il che implica, come è del resto ovvio, che altro siano le evenienze, oggetto di prova, portate all’esame del giudice, altro sia il giudizio che questi è tenuto a formulare in ordine alla effettiva tollerabilità delle immissioni accertate in corso di causa.

Sempre sul tema della intollerabilità e della sua prova, relativamente a immissioni sia di rumori che odori, la Cass. Civ. sent. n. 9865 dell’11.05.2005, già nella ricostruzione della vicenda processuale, fa menzione dei mezzi di prova utilizzati e dà chiarimenti sul giudizio di superamento della tollerabilità:“Espletata la prova mediante l’esame dei testi, dall’una e dall’altra parte addotti, con sentenza del 16.2-31.3.2000 il Giudice di Pace di Palermo rigettava la domanda, ritenendo non raggiunta la prova dell’intensità e, quindi, dell’intollerabilità delle immissioni, e condannava [la parte] al rimborso della metà delle spese alla controparte, compensandole per il resto.”

In secondo grado, il Tribunale aveva ritenuto “provate, dalle testimonianze addotte dall’attrice, rese da condomini dello stesso stabile dalla medesima abitato, non smentite da quelle reputate generiche e meno attendibili dei testi, di provenienza esterna, escussi dal convenuto, le circostanze dedotte a fondamento della domanda considerando, anche sulla base di nozioni di comune esperienza, in ragione della situazione dei luoghi, intollerabili le emissioni sonore e le esalazioni prodotte dagli animali custoditi in ristretto spazio.

Ancora, in tale pronuncia la Corte ha avuto modo di specificare che valutazioni soggettive riportate da testimoni costituiscono un valido elemento che il Giudice può impiegare per la valutazione della intollerabilità, sempre se considerate nel contesto dei criteri ex art. 844 C.C., come lo stato dei luoghi, e assieme a più elementi di fatto necessari per la valutazione. Infatti, “[i]l conseguente giudizio di intollerabilità è stato (…) formulato dal Tribunale, sulla base del complesso degli elementi oggettivi, costituiti dall’accertata situazione dei luoghi e dai dati della realtà fenomenica caduti sotto la percezione sensoriale dei testi e da quelli riferiti (e che, in tali limiti, non possono considerarsi espressione di apprezzamenti personali), corredati dall’utilizzazione di nozioni di comune esperienza.

Ulteriore giurisprudenza di legittimità chiarisce, poi, il rapporto tra onere probatorio e valutazione dell’intollerabilità, statuendo che la prova del superamento della normale tollerabilità spetta comunque alla parte offesa che azioni la tutela per immissioni. L’intollerabilità, inoltre, non può essere considerata “insita” in un determinato dato di fatto ulteriore.

Vedasi infatti Cass. Civ. sent. n. 15442 del 4.12.2000, la quale ha considerato infondate le doglianze di parte ricorrente secondo cui fosse “irragionevole e contrastante con la comune esperienza escludere che le immissioni acustiche ed olfattive provenienti dal bagno vicino non superassero la normale tollerabilità, sicché al riguardo non occorreva alcuna prova, essendo l’intollerabilità insita nel fatto stesso della anormale posizione della luce rispetto al balcone di proprietà dei ricorrenti, dal che l’interesse di costoro a chiederne la chiusura…” 

La Suprema Corte ha spiegato che “l’esplicita esclusione, da parte della Corte salentina, della dedotta intollerabilità delle asserite immissioni acustico-olfattive provenienti dall’apertura lucifera scaturisce da una corretta applicazione del principio secondo il quale “onus probandi incumbit ei qui dicit” (non potendo in alcun modo, condividersi l’assunto dei ricorrenti che la intollerabilità fosse insita nel fatto stesso della vicinanza tra il balcone di loro proprietà ed il bagno munito di detta apertura) ed è frutto di accertamenti e valutazioni di fatto che, siccome adeguatamente motivati, sfuggono al sindacato di questa Corte regolatrice.

Va in questa sede ricordata la presenza di norme speciali che stabiliscono delle soglie di tollerabilità specificamente calcolate, alle quali le Corti di merito e di legittimità fanno riferimento come requisiti per adempimento dell’onere probatorio, di norma considerandole comunque relative e integranti quell’apprezzamento complessivo di cui abbiamo prima parlato.

Cass. Civ. sez. 2 sent. n. 1025 del 17.01.18[1], ad esempio, riguarda l’applicazione dei D.P.C.M nn. 14.11.97 e 01.03.91 che stabiliscono la soglia massima a 5db durante il periodo diurno e 3db durante quello notturno, da calcolare tenendo contro della differenza tra il rumore che costituirebbe l’immissione e il sottofondo risultante quando si esclude la fonte disturbante. La sentenza, tra l’altro, specifica che il Giudice, in quanto peritus peritorum, può disattendere le valutazioni tecniche effettuate dal CTU.

Un altro esempio è Cass. Civ. sent. n. 22105/15, in cui, relativamente a delle emissioni rumorose, il Giudice ha chiarito che il limite di tollerabilità “non ha carattere assoluto, ma relativo, nel senso che deve essere fissato con riguardo al caso concreto, tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione: il relativo apprezzamento, risolvendosi in un’indagine di fatto, è demandato al giudice del merito e si sottrae al sindacato di legittimità, se correttamente motivato ed immune da vizi logici.”

Eventuali parametri fissati da norme speciali, pertanto, “pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., delle emissioni, ancorché contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica (posta preminentemente a tutela di situazioni soggettive privatistiche, segnatamente della proprietà).”[2]

Questa breve rassegna giurisprudenziale ci consente quindi di fissare dei concetti base riguardo al superamento della “normale tollerabilità” delle immissioni.

Esso non è un fatto da provare ma costituisce il frutto di una valutazione complessa delle circostanze di fatto, operata dal Giudice tenendo conto di più elementi di prova (perizie tecniche, testimonianze), delle leggi speciali che fissano limiti specifici nonché dei criteri ex art. 844 c.c. (come la condizione dei luoghi e le esigenze della produzione), facendo inoltre legittimamente uso anche di massime di comune esperienza. Ancora, gli elementi di prova utili al Giudice per la determinazione dell’intollerabilità devono in ogni caso essere forniti dalla parte che lamenta le immissioni e non è possibile sostenere che il superamento della tollerabilità sia intrinseco ad una determinata condizione di fatto. Qualora il Giudice di merito abbia correttamente argomentato la sua valutazione da un punto di vista logico, è esclusa la sindacabilità in sede di cassazione (sul punto, cfr. Cass. n. 10735 del 3.8.2001; Cass. n. 7545 del 6.6.2000; Cass. n. 1565 del 12.2.2000; Cass. n. 11118 del 11.11.1997).

3. La “normale tollerabilità” e il contemperamento con la priorità d’uso e le esigenze di produzione.

Come abbiamo già avuto modo di vedere, la valutazione della tollerabilità delle immissioni deve tener conto dei parametri ex art. 844 C.C. tra cui il preuso e le esigenze di produzione. Questo contemperamento, come il Giudice di legittimità ha chiarito a più riprese, è comunque soggetto a delle precise regole.

In primis, il criterio del preuso è stato definito da Giurisprudenza costante come “sussidiario e facoltativo”.

Si veda la richiamata sent. n. 9865/06: Il giudizio di intollerabilità delle immissioni, acustiche ed olfattive, formulato nell’impugnata sentenza, risulta sorretto da adeguata, ancorché sintetica motivazione, rispettosa dei parametri normativi dettati dall’art. 844 cod. civ., dei quali quello della priorità dell’uso costituisce, come da costante giurisprudenza, un criterio sussidiario e facoltativo, con conseguente incensurabilità del giudizio di merito che abbia ritenuto di non avvalersene, quanto gli elementi di fatto acquisiti consentano di ritenere comunque superata la soglia della normale tollerabilità (v., tra le altre, Cass. sez. 2^, n. 3401/81, n. 1156/95, n. 161/96). Nel caso di specie il Tribunale ha tenuto conto “della condizione dei luoghi, caratterizzata, come da obiettive risultanze di fatto (non confutabili nella presente sede di legittimità), da un fabbricato condominiale, adibito ad uso abitativo, confinante con un piccolo cortile di proprietà del convenutoci quale erano tenuti i due cani.”

Altre pronunce chiariscono i limiti del contemperamento con entrambi i parametri summenzionati nel caso in cui sia già stata positivamente accertata dal Giudice la intollerabilità delle immissioni.

In primo luogo, secondo la Suprema Corte le ragioni della produzione (tenendo anche conto eventualmente del preuso) risultano in ogni caso “recessive” rispetto ai valori della salute e della qualità di vita, i quali sono da considerarsi limiti intrinseci alla produzione stessa e ai rapporti di vicinato, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 844 C.C.

È esempio di ciò Cass. Civ. sez 2 sent. 8420 dell’11.04.2006, che non ha accolto le doglianze della ricorrente secondo cui “essendo l’attività di allevamento preesistente alla edificazione del fondo vicino, il criterio della prevenzione doveva prevalere, unitamente alle esigenze della produzione, sulle minori esigenze olfattive dei vicini.”

Infatti, il Giudice di legittimità ha argomentato che “la norma codificata sulle immissioni, nel prevedere la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione, con le ragioni della proprietà, tenendo eventualmente conto della priorità di un determinato uso, è stata correttamente applicata alla fattispecie in esame, considerando anche la valenza della qualità della vita e della salute dei vicini dell’azienda, nella quale la produzione si è svolta senza la predisposizione di misure di cautela idonee ad evitare o limitare l’inquinamento atmosferico.”

Del tutto similare è il giudizio della Suprema Corte in Cass. Civ. sez. 2 sent. 5564 dell’8.3.2010, secondo la quale deve considerarsi “(…) prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento del diritto ad una normale qualità della vita.”

Inoltre, relativamente al già descritto valore delle leggi speciali nella determinazione della tollerabilità, l’arresto in esame ha specificato che sono illecite tutte quelle attività produttive che superino i limiti disposti dai suddetti leggi e regolamenti. Pertanto, il Giudice non potrà non considerare illecita una attività che superi i parametri legalmente previsti. Accertato così il superamento della normale tollerabilità, il Giudice potrà procedere ad un temperamento con le esigenze della produzione solo al fine di “adottare quei rimedi tecnici che consentano l’esercizio della attività produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni superiori alla normale tollerabilità.”[3]

Ancora, Cass. Civ. sez. 2 ord. n. 21554 del 3.9.2018 accoglie il motivo di doglianza di parte ricorrente relativo al fatto che la Corte territoriale, nonostante la sua valutazione di superamento della tollerabilità, aveva tenuto conto della “assoluta priorità temporale dell’attività commerciale esercitata, rispetto alla destinazione abitativa, nella determinazione dei danni.”

Il Giudice di legittimità ha ricordato l’esistenza di un obbligo di sopportazione di quelle inevitabili immissioni prodotte nel rispetto di norme generali che disciplinano l’esercizio solo qualora tali immissioni siano comunque rientranti in una situazione di tollerabilità, accertata tenendo conto delle esigenze di produzione, di eventuali leggi speciali, del preuso e dello stato di fatto. Qualora, come nel caso di specie, sia stata valutata e accertata la effettiva intollerabilità delle immissioni, “l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’articolo 844 cod. civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni,  l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi  contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in  tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato  a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni  di cui all’articolo 2043 del codice civile e, specificamente, per quanto  concerne il danno non patrimoniale risarcibile, dell’articolo 2059 cod. civ.”

Pertanto, essendo la valutazione equitativa del danno sottratta al giudizio di legittimità salvo che per quanto riguarda l’accertamento di vizi logici e giuridici, ed essendo per l’appunto la pronuncia della Corte territoriale viziata dall’uso inesatto dei criteri di priorità d’uso ed esigenze di produzione al di fuori della valutazione della tollerabilità, la Suprema Corte ha avuto modo di censurare il ragionamento del giudice di merito, cassando la pronuncia.

È appena il caso di notare che secondo l’arresto in parola, il danno biologico non sarebbe sussistente in re ipsa nella violazione della normale tollerabilità ma richiederebbe la prova di un nesso tra le immissioni e una specifica lesione del diritto alla salute. Ciò però non osterebbe al riconoscimento del danno non patrimoniale da lesione del “normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo” (Cfr., sul punto. Cass. SS. UU. 2611/2007).

Relativamente all’inapplicabilità del contemperamento in caso di danno da immissioni, la decisione appena esaminata si muove in continuità con un orientamento costante in materia.

Cass. civ., sez. III, sent. n. 5844 del 13.03.2007, ad esempio, sottolinea che al di fuori del limite di tollerabilità accertato tenendo conto delle circostanze di fatto, del preuso e delle esigenze di produzione e delle norme sulla produzione, le immissioni sono illegittime e nessun temperamento con i criteri sopra esposti può essere valido. (Cfr., per lo stesso orientamento, Cass. nn. 17281/2005; 1156/1995; 7411/1992).

Nel cassare la decisione della Corte territoriale, il Giudice ha sottolineato proprio l’incoerenza a cui era andata incontro la Corte di merito nel riconoscere il superamento della tollerabilità ma nel ricorrere poi al bilanciamento col preuso e la produzione nella determinazione del danno in via equitativa.

Diversamente dal recentissimo giudizio esposto poc’anzi, in questa pronuncia più risalente la Suprema Corte ha ritenuto che, tanto per il danno biologico quanto per il danno non patrimoniale, “l’accertamento dell’eventuale intollerabilità delle immissioni comporta l’esistenza del danno in re ipsa e per il vicino il diritto ad ottenere il risarcimento del danno a norma dell’art. 2043 c.c”. (Cfr.  Cass. nn. 4693/1978; 2580/1987; 10169/2015)

Infine, Cass. civ. sez. 2 n. 10169 del 18.05.2015 è un interessante caso di unione delle due argomenti or ora affrontati. Infatti, ribadisce l’irrilevanza del contemperamento successivo alla valutazione di intollerabilità ricordando la natura suppletiva e alternativa del criterio del preuso: “La discrezionalità del ricorso a siffatto criterio, riconosciuta dalla costante giurisprudenza di questa Corte (v. per tutte Cass. n. 161 del 1996), in considerazione del chiaro dettato normativo (articolo 844 c.c., comma 2, p. 2) secondo il quale il giudice non deve, ma “può tener conto della priorità di un determinato uso…”), rende incensurabile la relativa scelta del giudice di merito, nella specie adeguatamente motivata…”.

Possiamo quindi concludere che le esigenze della produzione e il preuso possano incidere sulla determinazione della normale tollerabilità solo nel contesto di una valutazione che tenga conto dello stato dei luoghi e (soprattutto) di eventuali leggi che fissano specifiche soglie di tollerabilità e/o disciplinano determinate attività industriali, la cui violazione – come detto – anche se valutabile dal Giudice nel caso concreto, costituisce prova dell’illegittimo superamento della soglia di normale tollerabilità.

Qualora sia dunque accertato tale superamento, gli elementi indicati dall’art. 844 C.C. sono inapplicabili per un eventuale valutazione del danno da immissioni ex art. 2043 C.C., ed ex art. 2059 C.C. il quale, secondo un orientamento recente, risulta in re ipsa quantomeno nel caso in cui si tratti di danno non patrimoniale (poiché il valore del normale svolgimento della vita quotidiana e familiare rientra tra i diritti tutelati anche dalla CEDU),  mentre richiederebbe la prova di un nesso tra immissione e lesione nel caso di danno biologico.

In alternativa, i criteri di contemperamento sarebbero applicabili solo al fine di determinare gli accorgimenti tecnici da apportare all’attività produttiva per far rientrare le immissioni nella soglia di tollerabilità, tenuto conto del diritto alla salute e alla qualità della vita dei vicini: ciò in quanto il valore della salute è concepito dalla Cassazione come limite insito nella attività di produzione stessa, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 844 del Codice Civile.

Inoltre, il criterio della priorità d’uso ha un valore sussidiario ed eventuale, essendo impiegabile solo nel caso in cui non sia chiaro se vi sia stato effettivo superamento della normale tollerabilità tramite l’applicazione degli altri elementi di fatto acquisiti.


[1] Per una analisi completa della sentenza, vedasi, Lavinia Locont, Danno da immissioni rumorose: chiarimenti sul calcolo del limite differenziale, in Giuricivile, 2018, 2 (ISSN 2532-201X), nota a Cass. sent. n. 1025 del 17.01.2018
[2] Per un’analisi completa della sentenza, vedasi Gabriele Voltaggio, Limite di tollerabilità delle immissioni: va fissato con riguardo al caso concreto, in Giuricivile (ISSN 2532-201X), 2.11.2015
[3] Massima ufficiale inserita nel maggio 2010 nelle banche dati di Foro Italiano.

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Avvocato del Foro di Roma con attività prevalente nel diritto civile, nel diritto di famiglia e minorile e nella responsabilità civile. Laureato in Giurisprudenza nel novembre 2017 presso La Sapienza Università degli Studi di Roma con una tesi in Diritto Pubblico Comparato dal titolo "La tutela dei diritti fondamentali dinnanzi alla minaccia del terrorismo internazionale." Autore anche presso altre riviste giuridiche telematiche tra cui Cammino Diritto e GiuriCivile.

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