La nuova convivenza non esclude il diritto all’assegno divorzile

La nuova convivenza non esclude il diritto all’assegno divorzile

Sommario: 1. La questione – 2. Gli orientamenti giurisprudenziali contrapposti – 3. La soluzione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite – 4. Conclusione: il principio di diritto

 

1. La questione

Ai sensi dell’art. 5, comma 6 della L.898/1970 il giudice, con la sentenza con cui viene dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può disporre, in favore del coniuge privo dei mezzi adeguati o incapace di procurarseli per ragioni oggettive, il periodico versamento di un assegno (c.d. assegno divorzile), da parte dell’altro coniuge: in altri termini, il diritto a suddetta elargizione trova la propria ragion d’essere nello squilibrio significativo delle posizioni economiche delle parti.

Detto beneficio viene meno nell’ipotesi in cui il coniuge destinatario contragga nuove nozze (art. 5, comma 10 L. 898/1970).

Ciò posto, considerata la recente regolamentazione delle convivenze di fatto offerta dalla L. 76/2016, la giurisprudenza si è a lungo interrogata sull’eventualità che tale effetto caducatorio possa prodursi anche nell’ipotesi in cui il beneficiario dell’assegno divorzile instauri una convivenza more uxorio.

2. Gli orientamenti giurisprudenziali contrapposti

Sul punto si sono formati 3 diversi orientamenti giurisprudenziali:

– secondo un orientamento più risalente, il diritto all’assegno divorzile non viene automaticamente meno per l’instaurarsi di una convivenza more uxorio, la quale potrebbe comportarne soltanto una diversa quantificazione da parte del giudice. Il fondamento di tale assunto era da rinvenirsi nella precarietà dei benefici economici derivanti dalla formazione di una convivenza di fatto: e per vero, non soltanto la contribuzione da parte dei conviventi al tenore di vita familiare veniva ricondotto all’alveo delle obbligazioni naturali ma detto tipo di rapporto, a differenza della convivenza matrimoniale, non era considerato sorretto da garanzie di una sua persistenza nel futuro tali da giustificare il venir meno dell’assegno (ex multis n. 24832 del 2014);

– secondo altro filone giurisprudenziale, il diritto all’assegno divorzile deve ritenersi sospeso per tutta la durata della convivenza, con la conseguenza che potrà esser fatto valere soltanto ove questa venga meno (ex multis civ. sent. n. 11975/2003; Cass. civ. sent. n.17195/2011);

– terzo e più recente orientamento, inaugurato con la sentenza della Corte di Cassazione n.6855/2015 e accolto da ultimo dalla Corte di Cassazione con sentenza n.29781/2020, stabilisce che il diritto alla corresponsione dell’assegno divorzile si estingue automaticamente, per l’intero e definitivamente all’instaurarsi da parte del beneficiario di una convivenza more uxorio. Tale assunto si fonda sull’applicazione del principio di autoresponsabilità: il beneficiario dell’assegno divorzile, scegliendo liberamente e responsabilmente di costituire una convivenza di fatto, pone in essere una nuova convivenza che, ove stabile e duratura, rappresenta una nuova famiglia di fatto, annoverabile tra le formazioni sociali ex 2 Cost, che rescinde ogni legame con la precedente esperienza matrimoniale ed il relativo tenore di vita, determinando l’eliminazione di ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile. In altri termini, il beneficiario, con l’instaurazione di una nuova convivenza di fatto, ha assunto “il rischio di una cessazione del rapporto e quindi esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo”.

3. La soluzione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite

La Prima Sezione della Corte di Cassazione con ordinanza interlocutoria n.28995/2020 investiva le Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza relativamente alla necessità di stabilire se, una volta instaurata una nuova e stabile convivenza di fatto tra l’ex coniuge e un terzo, il diritto all’assegno divorzile di cui il primo gode, si estingua automaticamente o siano necessarie scelte interpretative da parte del giudice. Detta Sezione era stata, infatti, assegnataria del ricorso presentato dalla ex moglie avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia, con la quale le era stato negato il diritto all’assegno di divorzio per aver instaurato una convivenza stabile con un terzo da cui aveva avuto una figlia.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza del 5 novembre 2021, n. 32198 stabilisce che l’instaurazione di una convivenza more uxorio da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno di divorzio non determina il venir meno di detto diritto, chiarendo di non poter  condividere l’orientamento più recente per due ordini di ragioni:

– letterale: l’art. 5, comma 10 della L. 898/1970 nell’individuare l’ipotesi di cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile fa tuttora esclusivo riferimento esclusivamente all’ipotesi in cui il coniuge beneficiario passi a nuove nozze, cui non è assimilabile la situazione della convivenza. A riguardo, gli Ermellini precisano inoltre che tale previsione normativa non sarebbe applicabile alla convivenza di fatto nemmeno attraverso il ricorso all’analogia considerato che questa, ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, ricorre soltanto nell’ipotesi di vuoto normativo, escluso in questo caso per la sussistenza di apposita e diversa regolamentazione;

– funzionale: la caducazione automatica ed integrale del diritto all’assegno, sia nella sua funzione assistenziale che compensativa, non è compatibile con la funzione dello stesso. Occorre chiarire sul punto che sulla scorta di quanto espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza a Sezioni Unite n.18287/2018, l’assegno di divorzio esplica una duplice funzione:

– assistenziale, quale un sostegno economico in favore del coniuge meno abbiente in seguito alla cessazione della convivenza matrimoniale;

– perequativo-compensativo, ossia volto, non alla realizzazione del medesimo tenore di vita esistente durante la vita matrimoniale, ma a conferire al coniuge economicamente più debole un vantaggio economico per il contributo dallo stesso reso alla realizzazione dell’unione familiare, della formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale e professionale dell’altro coniuge, con il sacrificio delle proprie aspettative professionali. Ove la nuova convivenza comportasse il venir meno del diritto all’assegno divorzile detta componente verrebbe meno, comportando un pregiudizio al coniuge beneficiario che, per garantire l’unione familiare, abbia rinunciato ad occasioni di lavoro e si trovi ormai fuori dal circuito lavorativo.

In particolare, prendendo le mosse da tale duplice funzione, la Cassazione ritiene che l’instaurazione di una convivenza di fatto da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno di divorzio comporta la caducazione di tale diritto soltanto con riferimento alla sua componente assistenziale ma non a quella compensativa.

Quanto alla componente assistenziale, infatti, in applicazione di quello che viene chiamato principio di autoresponsabilità, la costituzione di una nuova e stabile convivenza che sia il frutto di una scelta libera e responsabile, comporta la formazione di un altrettanto nuova unione di vita cui seguono cooperazioni patrimoniali non più costituenti adempimento di obbligazioni naturali ma del reciproco dovere di assistenza morale e materiale di cui all’art. 1, comma 36 L.76/2016. Tale nuovo legame si sostituisce al precedente, con la conseguenza che, soltanto nel primo, l’ex coniuge potrà trovare assistenza patrimoniale. Quanto espresso è coerente con l’art. 1, comma 65 L. n. 76 del 2016 che riconosce al convivente il diritto di ricevere un assegno alimentare dall’ex convivente qualora versi in stato di bisogno.

Al contrario, la componente compensativa, preso atto della sua funzione ut supra chiarita, non ha alcun legame con la nuova convivenza instaurata e, perciò, non potrà essere recuperata all’interno di questa. Ciò comporta la perdurante titolarità in capo all’ex coniuge del diritto all’assegno divorzile, seppur limitatamente alla componente compensativa, anche ove lo stesso instauri una nuova convivenza.

Sul punto le Sezioni Unite evidenziano inoltre che, in sede processuale, è onere dell’ex coniuge richiedente provare, non soltanto, l’insussistenza dei mezzi adeguati ma che questa sia stata determinata dalle rinunce professionali fatte per garantire l’unione familiare. Il giudice sarà tenuto a:

– accertare che lo squilibrio patrimoniale tra i coniugi sia frutto di scelte comuni e se lo stesso sia stato sopperito dal regime patrimoniale scelto dalla coppia (es. la comunione legale dei beni potrebbe aver incrementato il patrimonio del richiedente con conseguente esclusione della necessità della componente compensativa);

– accertare la sussistenza di introiti ulteriori che abbiano compensato le rinunce professionali del richiedente;

– considerare la durata del matrimonio (art. 5, comma 6 Legge 898/1970);

– considerare l’età del richiedente e la possibilità per lo stesso di inserirsi nel mercato del lavoro.

4. Conclusione: il principio di diritto

In conclusione, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n.32198/2021 enuncia il seguente principio di diritto: “L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno. Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa. A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge. Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve essere quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio“.


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Francesca Moncini

Abilitata all'esercizio della professione forense; Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università di Pisa.

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