La nuova responsabilità sanitaria (Legge 8 marzo 2017, n. 24)

La nuova responsabilità sanitaria (Legge 8 marzo 2017, n. 24)

Il tema della responsabilità medica e le recenti novità introdotte dalla legge numero 24 dell’8 marzo 2017 impongono di constatare l’attuale stato dell’arte su una tematica delicata e tra le più controverse nel panorama giuridico.

Le prospettive post riforma richiedono di verificare il mutamento del nuovo scenario: dal contatto sociale all’illecito aquiliano, nonché inquadrare il riparto dell’onere probatorio nella nuova responsabilità sanitaria.

L’art. 7 della L. n. 24/2017 introduce e disciplina il c.d. doppio binario di responsabilitàcontrattuale (ex art. 1218 cod. civ.) a carico delle strutture sanitarie (pubbliche e private), quindi, rimane il contratto atipico c.d. rapporto di spedalità tra ospedale e paziente; extracontrattuale (ex art. 2043 cod. civ.) per l’esercente la professione sanitaria (salvo che non abbia concluso un’obbligazione contrattuale con il paziente) che svolge la propria attività nell’ambito di una struttura sanitaria (pubblica o privata, ovvero, in rapporto convenzionale con il servizio sanitario nazionale).

Al riguardo occorre operare, però, una breve riflessione sulla reintegrazione del danno. A ben vedere, la responsabilità civile non può essere sempre riparatoria. D’altronde quale somma potrà mai ridare una gamba amputata per errore ad un paziente? Di conseguenza, il risarcimento assume carattere sanzionatorio ai sensi dell’art. 2058 cod. civ. Ciò posto, al fine di meglio comprendere tale asserzione appare necessario citare l’art. 185 cod. pen. e il suo richiamo normativo all’art. 2059 cod. civ. Detta operazione consente la rilettura della fattispecie nell’ottica della seguente deduzione: se non è possibile riparare il danno è meglio sanzionare.

Ad ogni buon conto appare utile effettuare una annotazione incidenter tantum partendo dal concetto della colpa. Tale elemento psicologico nel soggetto agente lo si ricava dall’art. 43 cod. pen., ma nel codice civile occorre procedere ad un’interpretazione normativa. Difatti, il concetto di colpa parte dall’analisi dell’art. 2043 cod. civ. per poi terminare con la disamina dell’art. 1176 cod. civ., ove si opera una distinzione tra colpa generica (ex art. 1176, co. 1, cod. civ., diligenza media del buon padre di famiglia) e colpa specifica (ex art. 1176, co. 2, cod. civ., diligenza professionale).

In tale prospettiva, la colpa è sì una devianza della regola di condotta, ma in campo professionale rappresenta anche la violazione delle legis artis.

Tout court, detta violazione può accertarsi in concreto dalla lettura del secondo comma dell’art. 1176 cod. civ. D’altronde se la figura del buon professionista viene qualificata come un parametro astratto a cui ricondurre l’immagine del professionista medio, allora, l’asticella della responsabilità dipende dal modo in cui gli operatori del diritto immaginano il modello di perfezione. Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 20216 del 16 novembre 2012 (Cfr. Cass. sent. n. 16023/2002), ha ribadito un concetto chiave in merito alla diligenza professionale. Difatti, il professionista medio, di cui all’art. 1176, co. 2, cod. civ., non è il professionista mediocre, ma è il professionista bravo.

In tale visione giuridica viene elevata la soglia minima di diligenza richiesta nell’obbligazione reinterpretando il concetto di diligenza professionale dettato dal secondo comma dell’art. 1176 cod. civ. In questo senso l’alea della colpa si è allargata[1].

Ne consegue che, secondo tale prospettazione, la valutazione della colpa si desume dalla condotta del professionista, ovvero come si sarebbe comportato il professionista medio, il quale osserva le regole del codice deontologico.

A ben guardare, la corrispondenza tra il codice deontologico e la responsabilità civile è dettata dalla conclusione del seguente sillogismo giuridico.

La premessa minore denota il professionista medio come colui che non viola il codice deontologico.

Dunque, il rispetto del codice deontologico comporta l’osservanza delle regole delle legis artis.

Ne consegue che, secondo la premessa maggiore, se vengono osservate le legis artis si è un professionista medio.

In conclusione solo il rispetto delle legis artis evita la responsabilità del medico, ma non è tutto. Difatti tornando all’analisi dell’articolo 7 della riforma Gelli-Bianco che, con spirito innovativo, introduce il c.d. doppio binario di responsabilità, si deve ricondurre la riflessione giuridica su un duplice aspetto: il riparto dell’onere probatorio e i termini di prescrizione dell’azione.

Sul tema le ricadute sono più che evidenti.

L’art. 7 della L. n. 24/2017 salva il contratto atipico, ovvero, il c.d. rapporto di spedalità tra paziente e struttura sanitaria. D’altronde, l’art. 1372 cod. civ. prevede che il contratto produce i suoi effetti solo tra le parti contraenti (paziente-struttura), ma non produce alcun effetto rispetto ai terzi (ex art. 1372, co. 2, cod. civ.), se non nei casi previsti dalla legge. Al riguardo il riferimento è più che manifesto nei confronti del marito della gestante, ovvero dei fratelli del nato malformato, quali titolari di un interesse meritevole di tutela, sia pur di riflesso rispetto alla partoriente[2].

Sulla responsabilità del professionista sanitario, invece, c’è chi ha intravisto la possibile diminuzione dei giudizi, in tema di responsabilità medica, nell’immediato futuro, ma non è così, perché il focus (il mirino) delle azioni giudiziarie si è spostato nei confronti della struttura ospedaliera lasciando maggior respiro al professionista.

Ad ogni buon conto con la tipizzazione della responsabilità extracontrattuale in capo al medico non può ritenersi abbandonato del tutto lo schema normativo dell’art. 1218 cod. civ. A ben guardare, l’art. 7 della L. n. 24/2017 afferma l’applicazione dell’art. 2043 cod. civ., salvo che il medico abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente.

In tale prospettiva, forse, la via di fuga dalla responsabilità extracontrattuale potrebbe essere rappresentata dalla firma del modulo del consenso informato che, qualificherebbe il rapporto contrattuale medico-paziente (ex art. 1218 cod. civ.), sia pur nei limiti dell’obbligazione assunta nella predetta sottoscrizione. Tale questione però è discutibile in dottrina, in quanto non è possibile qualificare come contratto ogni fattispecie invocando la responsabilità ex art. 1218 cod. civ., ma è altresì vero che lo schema normativo di cui all’art. 2043 cod. civ. rappresenta un “vestito” estremamente corto per il professionista sanitario[3]. D’altronde il paziente si rivolge al medico, perché in lui ripone tutta la fiducia e l’affidamento (contatto sociale). Tuttavia, se la regola giurisprudenziale del contatto sociale la si ricava dall’interpretazione dell’art. 1173 cod. civ., ovvero:”le obbligazioni derivano anche da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle“, tale norma termina con la seguente asserzione:”in conformità dell’ordinamento giuridico“. Ciò farebbe intendere che non dovrebbe mai mancare la norma di richiamo, ovvero la legge di copertura, con riferimento al rapporto in questione.

Ciò posto, sulla volontà legislativa dettata dall’art. 7 della L. n. 24/2017 si sono sviluppate tre orientamenti in dottrina.

Il primo ha ritenuto applicabile la responsabilità ex art. 1218 cod. civ. solamente all’atto di assunzione di un’obbligazione contrattuale.

Il secondo orientamento dottrinale ha valutato l’intento legislativo come il voler collocare l’ars medica nell’ambito delle attività pericolose ai sensi dell’art. 2050 cod. civ. e, quindi, il sanitario risponderebbe anche ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. per le cose in custodia, come ad esempio il bisturi ed altri strumenti in suo possesso necessari per esercitare l’attività professionale. Seppur suggestiva, tale argomentazione, non appare convincente, perché sul piano probatorio risulterebbe difficoltoso imputare la responsabilità del professionista nell’ambito della violazione delle linee guida con conseguente decompressione del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.).

Il terzo orientamento che, attualmente, in dottrina è il più accreditato ha valutato il doppio binario di responsabilità introdotto dall’articolo 7 della legge di riforma come il voler ripristinare il principio dell’art. 2043 cod. civ. e, di conseguenza, un inversione della regola di vicinanza della prova a favore del medico.

Sul piano dei termini di prescrizione, invece, non troverà più applicazione lo schema normativo di cui all’art. 2946 cod. civ. (prescrizione ordinaria) nell’ambito della responsabilità del sanitario, bensì l’art. 2947 cod. civ. (prescrizioni del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, ex art. 2043 cod. civ.) che prevede un termine quinquennale per il diritto all’azione.

Ad ogni modo, in caso di danni da emotrasfusioni, il dies a quo della prescrizione decorre dal momento in cui la malattia viene percepita, ovvero, da quando può essere percepita quale danno ingiusto conseguente alla condotta dolosa o colposa posta in essere dal terzo.

In tale prospettiva si evidenzia, certamente, la peculiare situazione in cui oggi versa il sottosistema della responsabilità civile del professionista intellettuale. Al riguardo non v’è dubbio che i profili propulsivi di evoluzione hanno visto, in ambito civilistico, sia l’inasprimento dello standard di diligenza richiesto, sia l’alleggerimento dei parametri di riscontro del nesso causale, ma dal punto di vista legislativo assistiamo ad un inversione dell’onere probatorio che non sarà più a carico del sanitario ma del paziente stesso.

In conclusione, il medico resta sempre determinante e protagonista assoluto nell’ambito delle proprie scelte operate, anche se appartiene al passato la pia applicazione dello schema normativo di cui all’art. 1218 cod. civ. ritenuto compatibile non solo in presenza di un vero e proprio contratto, ma anche sussistendo un semplice contatto tra medico e paziente (c.d. contatto sociale), perché la nuova strada tracciata dall’art. 7 della L. n. 24/2017 pone il limite della responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 cod. civ.). Tale elemento chiude il cerchio su un tema delicato ed in continua evoluzione sul quale sarà interessante osservare l’orientamento delle Corti nei futuri pronunciati.


[1] Sulla responsabilità civile da malpractice medica, nell’ampio panorama dei contributi esistenti cfr.: M. Rossetti, Responsabilità medica – le fattispecie di danno e il consenso informato, Milano, 2012, 12; Naso, La responsabilità civile del medico e i danni risarcibili, Padova, 2012, 1; Ferrando, Mariotti, Serpetti, La responsabilità medica, Milano 2010, 1.

[2] R. F. Iannone, Omessa o tardiva diagnosi prenatale: profili risarcitori, 2016, Giuffrè Editore, Milano, 2016.

[3] L. Viola, La nuova responsabilità sanitaria (L. 8.3.2017, n. 24, Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, in G.U. 17.3.2017, n. 64), Centro Studi Diritto Avanzato Edizioni, Milano, 2017; R. F. Iannone, La responsabilità medica dopo la riforma Gelli-Bianco – Legge 24/2017, Edizioni Ad Maiora, Roma, 2017; G. Marseglia, L. Viola, La responsabilità penale e civile del medico, Halley Editrice, Matelica, 2007.


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