La nuova vita degli accordi di ristrutturazione dei debiti

La nuova vita degli accordi di ristrutturazione dei debiti

Sommario: 1. Gli accordi di ristrutturazione: brevi cenni – 2. Natura giuridica – 3. Novità CCI – 4. L’impatto della pandemia: il cram down5. Conclusioni

 

1. Gli accordi di ristrutturazione: brevi cenni

L’art. 182-bis del RD 267/42 disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti[1]. Essi costituiscono un mezzo di risanamento a cui l’impresa in crisi ricorre per tentare di ridurre l’esposizione debitoria ed assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. Con l’introduzione di tale istituto il legislatore ha voluto, da un lato, garantire maggiore autonomia al debitore all’interno di un procedimento negoziale di soluzione della crisi, dall’altro, incentivare gli accordi stragiudiziali nella prospettiva di salvaguardare la continuità aziendale.

L’attuale disciplina è il risultato di una complessa stratificazione normativa dovuta a molteplici interventi del legislatore che si sono susseguiti negli anni[2].

In termini semplicistici, si tratta di un accordo stipulato dall’imprenditore in stato di crisi con un numero di creditori che rappresentino il 60% dei crediti, avendo ampio spazio circa il contenuto. Il già menzionato accordo deve essere necessariamente “certificato” attraverso una relazione di un professionista abilitato, il quale attesti la veridicità dei dati, nonché l’attuabilità dell’intesa ed infine, lo stesso accordo è soggetto all’omologazione da parte del Tribunale. La sua ratio è di consentire il salvataggio dell’impresa e di sanare la crisi, garantendo ai creditori non aderenti l’integrale soddisfazione del credito. Con l’accordo di ristrutturazione è l’imprenditore stesso che continua a dirigere la propria impresa e – su istanza di parte – il suo patrimonio è assistito da alcune tutele (come il blocco delle azioni esecutive e cautelari), per consentirgli di realizzare il risanamento.

L’istituto, dalla sua entrata in vigore ad oggi, non è mai concretamente decollato a causa della sostanziale riluttanza da parte dei professionisti, che assistono gli imprenditori in crisi, nei confronti dello stesso. Spesso gli operatori preferiscono, soprattutto per le difficoltà che incontrano gli accordi di ristrutturazione nel raccogliere in tempi ragionevoli il consenso dei maggiori creditori[3], accedere al binario regolamentato del concordato preventivo, quand’anche comporti un ineludibile controllo dell’autorità giudiziaria.

2. Natura giuridica

Lo strumento in esame, anche a causa dei continui e poco chiari interventi legislativi, ha dato vita a numerosi dibattiti. In particolare, in dottrina ed in giurisprudenza si discute[4], ormai da tempo, sulla natura degli accordi e segnatamente, se l’istituto possa annoverarsi tra le procedure concorsuali o se, piuttosto, non vada considerato come un istituto di natura privatistica – negoziale. La querelle sul carattere concorsuale o meno degli accordi di ristrutturazione dei debiti non costituisce una questione puramente teorica, bensì assume notevole rilevanza per le importanti ricadute pratiche che ne conseguono[5]. Tale questione, infatti, produce conseguenze in primo luogo sia sull’applicazione analogica, in quanto compatibili, delle norme previste per le procedure concorsuali, in particolare quelle dettate per il concordato preventivo, sia sul riconoscimento della prededucibilità, ex art. 111 L. F., dei crediti derivanti dalle obbligazioni contratte in occasione o in funzione delle procedure concorsuali della stessa legge.

La dottrina maggioritaria[6], aderendo alla tesi privatistica, ha tradizionalmente escluso la natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione dei debiti; in particolare, secondo i sostenitori di tale tesi, i creditori non perdono la loro individualità, mentre nelle procedure concorsuali l’interesse della classe si sostituisce a quello del singolo cosicché le decisioni prese a maggioranza siano vincolanti anche per i creditori dissenzienti. Diversamente, negli accordi di ristrutturazione dei debiti i creditori che non vogliono prendere parte all’accordo conservano il diritto ad essere interamente soddisfatti e la loro titolarità ad esperire azioni individuali per la soddisfazione del loro credito poiché gli accordi non producono effetto nei confronti dei terzi.

Altra parte della dottrina[7], fino ad oggi minoritaria, ritiene che l’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti andrebbe qualificato come procedura concorsuale, poiché, pur basandosi su un accordo privatistico, prevede successivamente che il medesimo accordo confluisca in un procedimento che presenti gli elementi caratterizzanti il concorso, i quali non devono necessariamente manifestarsi tutti contemporaneamente e con la stessa intensità nei singoli procedimenti.

Sul tema, particolarmente dibattuto, è intervenuta, a più riprese e in pochissimo tempo, la Suprema Corte che è orientata a riconoscere la concorsualità agli accordi di ristrutturazione[8]. L’orientamento di legittimità, ormai consolidato, che qualifica gli accordi di ristrutturazione come una procedura concorsuale, assume poi una rilevanza del tutto peculiare se lo si considera nella prospettiva delle tendenze evolutive[9] del diritto dell’Unione Europea manifestatesi attraverso il Regolamento (UE) 2015/848  che definisce “procedure concorsuali pubbliche anche quelle in cui semplicemente una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali è concessa da un giudice o per legge al fine di consentire le trattative tra il debitore e i suoi creditori, purché le procedure per le quali è concessa la sospensione prevedano misure idonee a tutelare le masse dei creditori”.

3. Novità CCI

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono stati recepiti, tra gli strumenti di regolazione della crisi, dal nuovo Codice della crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D. lgs 14/2019 seguito dal decreto correttivo n. 147/2020,  (la cui entrata in vigore è stata, recentemente, posticipata, dall’art. 1 del D.L. n. 118/2021,che ha modificato l’art. 389 del D.lgs. n. 14/2019, al 16 maggio 2022) che predispone gli operatori verso soluzioni ancora più attente alla conservazione dei valori aziendali.

L’istituto non verrà solcato da abbondanti novità (artt. 57-61 D. lgs 14/2019), arricchendosi, tuttavia, di significative sfaccettature[10]. Poche sono le innovazioni che l’art. 57 CCI apporta alla sostanza dell’accordo di ristrutturazione disciplinato oggi dall’art. 182-bis L.F. In estrema sintesi, le innovazioni riguardano i presupposti, soggettivi e oggettivi, prevedendo che si debba trattare, per poter accedere all’istituto, di un imprenditore anche non commerciale che non sia “minore”[11], che si trovi in stato di crisi o insolvenza[12]. La legge fallimentare non si sofferma sul contenuto, lasciando ampio spazio all’autonomia negoziale e ciò, in generale, è valido anche per il CCI, che però contiene una nuova disposizione in merito al contenuto, rappresentata dal secondo comma dell’art. 57, secondo cui gli accordi devono contenere l’indicazione degli elementi del piano economico-finanziario che ne consentono l’esecuzione. Inoltre, per quanto concerne gli effetti della domanda, diversamente da quanto stabilito nella legge fallimentare, il CCI non prevede alcun effetto dalla presentazione della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, con riguardo agli atti di straordinaria amministrazione che può compiere l’imprenditore nella misura in cui, come invece accade nel concordato preventivo, la domanda non comporti alcun limite o vincolo ai poteri del debitore.

Di particolare interesse è poi la disciplina contenuta nell’art. 58 del CCI che, finalmente, disciplina le ipotesi di rinegoziazione degli accordi o modifiche del piano. L’art. 58 è teso a colmare le lacune oggi presenti nella disciplina dell’art. 182-bis L.F. e, in particolare, il modus procedendi per la corretta gestione di modifiche sostanziali al piano di ristrutturazione e/o agli accordi con i creditori “aderenti” che intervengano sia prima dell’omologa sia successivamente all’omologa[13].

Il legislatore del CCI non ha colto l’occasione per rivedere le percentuali già previste all’art. 182-bis L.F. (60%), ma ha introdotto una figura di accordo agevolato (all’art. 60 CCI): si tratta di un accordo di ristrutturazione del tutto nuovo, giustificato dalla previsione di pagamento dei creditori “estranei” senza ricorrere alla moratoria di legge (art. 57, comma 3, CCI) e dall’assenza di richiesta di (e di rinuncia alle) misure protettive. In questo caso l’accordo può essere raggiunto con il 30% invece del 60% dei creditori. Verosimilmente la ridotta percentuale dei creditori aderenti e l’immediata debenza della debitoria residua, faranno sì che questa tipologia di accordo venga maggiormente, se non esclusivamente, utilizzata in ipotesi residuali di crisi finanziaria particolarmente modesta[14].

Il CCI (art. 61 D.lgs. 14/2019) ha, inoltre, introdotto gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa. La norma ricalca il precedente art. 182-septies legge fallimentare estendendone l’applicazione soggettiva. In passato, la norma riguardava unicamente i creditori finanziari; l’attuale art. 61 CCI, invece, si applica ai creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria e non solo alle banche e agli intermediari finanziari. Preme ricordare che, in ambito negoziale, vige il generale principio di relatività del contratto, in virtù del quale gli effetti dello stesso non possono estendersi ai terzi, salvo i casi previsti dalla legge (artt. 1372, 1411 c.c.). Ebbene, l’art. 61 d. lgs. 14/2019 prevede una deroga al suddetto principio, statuendo che l’accordo esteso produca effetti, quando ricorrono determinate condizioni individuate dalla norma, anche verso i creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria individuata, tenuto conto dell’omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici.

4. L’impatto della pandemia: il cram down

Parallelamente alle novità previste dal CCI, l’avvento della pandemia ha spinto il legislatore ad intervenire per salvaguardare il tessuto imprenditoriale. In particolare, ha introdotto il meccanismo del cram down in ambito di transazione fiscale nei procedimenti di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti[15]. Nello specifico, l’art. 3, comma 1-bis, lett. b), D.L. n. 125/2020 conv. L. 159/2020, ha integrato l’art. 182-bis, comma 4, L.F., prevedendo che il tribunale omologhi l’accordo in mancanza di adesione da parte dell’ufficio erariale o degli enti previdenziali-assistenziali quando l’adesione sia decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale del 60%, a condizione che il professionista indipendente attesti che la proposta sia più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. La “mancata adesione” alla proposta si configura sia laddove l’ente pubblico manifesti di non aderirvi, sia laddove lo stesso non esprima alcuna scelta[16]. Pertanto, il tribunale potrebbe, quando sussistono le condizioni previste dalla legge (art. 182-bis comma 4 L.F.), omologare l’accordo in caso di “mancata adesione” dell’ufficio erariale e/o dell’ente previdenziale-assistenziale, vuoi per inerzia, vuoi per diniego espresso[17].    D’altra parte, nel contesto degli accordi ex art. 182-bis L.F., in caso di “silenzio” da parte dell’ente pubblico, la mancata adesione alla proposta transattiva discende dalle regole “negoziali” che informano l’istituto.

5. Conclusioni

In conclusione, il nuovo Codice della crisi d’Impresa e dell’Insolvenza e la legislazione emergenziale non hanno apportato modifiche trascendentali all’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti; tuttavia, i temi della salvaguardia dell’azienda e della tutela della continuità aziendale, che rappresentano il fulcro della riforma nonché l’obiettivo della legislazione emergenziale, hanno invaso, ancor di più, il contesto degli accordi di ristrutturazione assumendo un ruolo centrale pur nella costanza di meccanismi e presidi a tutela dei creditori. Naturalmente la performance dell’istituto, che ad avviso dello scrivente è una delle soluzioni conservative dell’impresa maggiormente versatile ma allo stesso tempo meno utilizzata, sarà da misurare e soppesare nell’esperienza concreta, avendo ben presente che le potenzialità dello stesso sono formidabili.

 

 

 

 

 


[1] L’art. 182 bis L.F., al comma I, dispone che “ l’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’articolo 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini: a) entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione”.
[2] L’istituto è stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, e successivamente ritoccata dal d.lgs. 169/2007, dal D.L. 78/2010, convertito dalla legge 122/2010 e dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 134, dal D.L.  n. 27 giugno 2015 n. 83, convertito in legge 6 agosto 2015 n. 132 e dalla L. 19 ottobre 2017, n. 155. La disciplina era originariamente contenuta nel solo art. 182-bis, poi hanno fatto seguito altri articoli (segnatamente, da 182-quater a 182-septies, oltre alla disciplina di natura penale contenuta negli articoli 217-bis e 236-bis L.F.).
[3] Cfr. S. BONFATTI, “Le nuove procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa: piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione”, in www.dirittobancario.it , 26 settembre 2018; M. Fabiani, “Dal codice della crisi d’impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno”, in www.ilcaso.it , 14 ottobre 2018.
[4] Cfr. S. BONFATTI, “La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione dei debiti”, in www.dirittobancario.it ,  gennaio 2018; In giurisprudenza si v. Trib. Reggio Emilia, 19 luglio 2018, in www.ilcaso.it; Trib. Benevento, 8 febbraio 2017, in www.Pluris.it;   Trib. Milano, 10 novembre 2016, in www.DeJure.it.
[5] In tal senso C. TRENTINI, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono una procedura concorsuale: la Cassazione completa il percorso”, in Fall., 2018, p. 989 ss., il quale evidenzia che “Occorre rimuovere un’impressione talora ricorrente nei pratici, che si tratti di un problema del tutto teorico, privo di ricadute pratiche”.
[6] In dottrina, tra i tanti si v. M. FABIANI, “Fase esecutiva degli accordi di ristrutturazione e varianti del piano e dell’accordo”, in Fall., 2013, p. 770; Nello specifico, i fautori di tale classificazione propendevano per tale ricostruzione sulla base di una molteplicità di elementi: I) non vi è un procedimento ed un provvedimento di apertura; II) non vi è la nomina di organi appositi (giudice delegato, commissario, comitato dei creditori); III) il dissesto non è regolato concorsualmente (non tutti i creditori sono coinvolti e gli accordi non sono obbligatori per i creditori dissenzienti).
[7] Cfr. M. ABATE, “La spinta degli accordi di ristrutturazione verso la concorsualità”, in Fall., 2013, p. 1181 ss; In tal senso vengono richiamati: I) la modalità di formazione dell’accordo che richiama quella del concordato preventivo e la competenza del tribunale fallimentare per l’omologazione; II) il blocco delle azioni esecutive e cautelari; III) la previsione dell’esenzione da revocatoria fallimentare degli atti posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato.
[8] In tal senso Cass., Civ., Sez. I, sent. n. 9087, 12.4.2018: “la sfera della concorsualità può essere oggi ipostaticamente rappresentata come una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell’autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal nucleo (la procedura fallimentare) fino all’orbita più esterna (gli accordi di ristrutturazione dei debiti), passando attraverso le altre procedure di livello intermedio, quali la liquidazione degli imprenditori non fallibili, le amministrazioni straordinarie, le liquidazioni coatte amministrative, il concordato fallimentare il concordato preventivo, gli accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento degli imprenditori non fallibili, gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria. Restano all’esterno di questo perimetro immaginario solo gli atti interni di autonoma riorganizzazione dell’impresa, come i piani attestati di risanamento e gli accordi di natura esclusivamente stragiudiziale che non richiedono nemmeno un intervento giudiziale di tipo omologatorio”; Id. Cass., Civ., Sez. I, sent. n. 1882, 18.1.2018.
[9] Cfr. M. DEL LINZ, “La Cassazione fissa un punto fermo sulla vexata quaestio della natura giuridica degli accordi di ristrutturazione dei debiti” in www.dirittofallimentare.it, maggio 2018.
[10] Cfr. L. DE SIMONE, “Dalla Crisi all’emergenza: strumenti e proposte Anti-Covid al servizio della continuità d’impresa”, in www.dirittodellacrisi.it, maggio 2020.
[11] È tale secondo l’art. 2 lett. d) d. lgs. 14/2019 “l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell’articolo 348”.
[12] Preme segnalare come la legge fallimentare (art. 182-bis) prevedesse solo lo stato di crisi, anche se la dottrina vi faceva rientrare l’insolvenza. Per crisi s’intende “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” (art. 2 lett. a) d. lgs 14/2019). Per insolvenza s’intende “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” (art. 2 lett. b) d. lgs 14/2019).
[13]  La norma afferma che “Se prima dell’omologazione intervengono modifiche sostanziali del piano, è rinnovata l’attestazione di cui all’articolo 57, comma 4, e il debitore chiede il rinnovo delle manifestazioni di consenso ai creditori parti degli accordi. l’attestazione deve essere rinnovata anche in caso di modifiche sostanziali degli accordi. Mentre al secondo comma precisa che “Qualora dopo l’omologazione si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l’imprenditore vi apporta le modifiche idonee ad assicurare l’esecuzione degli accordi, richiedendo al professionista indicato all’articolo 57, comma 4, il rinnovo dell’attestazione. in tal caso, il piano modificato e l’attestazione sono pubblicati nel registro delle imprese e della pubblicazione è dato avviso ai creditori a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata. entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso è ammessa opposizione avanti al tribunale, nelle forme di cui all’articolo 48”.
[14] Cfr. F. ROLFI, “Note sugli accordi di ristrutturazione agevolati e ad efficacia estesa nel Codice della crisi d’impresa”, in www.ilcaso.it, 25 novembre 2020.
[15]Cfr. M. MONTELEONE, “Il nuovo “cram down” del tribunale nella transazione fiscale”, in www.ilcaso.it, 9 febbraio 2021.
[16] Cfr. L. GAMBI, “Questioni aperte sul cram down nella transizione fiscale”, in www.ilfallimentarista.it, 25 gennaio 2021.
[17]Cfr. G. ANDREANI, “Le novità del codice della crisi sulla transazione fiscale”, in www.ilfallimentarista.it , 30 novembre2020.

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Domenico Calabrese

Praticante legale e tirocinante ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la II sez. civile del Tribunale di Salerno.

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