La partecipazione alle gare d’appalto degli enti del terzo settore

La partecipazione alle gare d’appalto degli enti del terzo settore

La partecipazione di un soggetto ad una gara d’appalto prescinde dalla natura pubblica o privata, e dal perseguimento di uno scopo di lucro, e dipende dalla nozione di operatore economico, che negli ultimi anni ha subito un’evoluzione grazie anche al diritto europeo.

Il vecchio codice degli appalti, raccolto nel D.lgs. n. 163 del 2006, non definiva il concetto di operatore economico, che è stato affidato a successivi interventi normativi e giurisprudenziali.

Ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett.p) del codice vigente, D.lgs. n. 50 del 2016, si definisce operatore economico un soggetto che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi.

La disciplina generale sugli operatori economici è oggi contenuta nell’art. 45 del d.lgs. n. 50 del 2016, e nell’art. 46 dello stesso decreto, che si occupa, in particolare, dell’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura.

Nel concetto di operatore economico, ai sensi dell’art. 45 d.lgs. n. 50 del 2016, vi rientrano: gli imprenditori individuali, anche artigiani, e le società, anche cooperative, i consorzi tra società cooperative di produzione e lavoro, i consorzi stabili, i raggruppamenti temporanei tra imprese, i consorzi ordinari ex art. 2602 c.c., le aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete, e i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (c.d. GEIE).

Invece, per quanto riguarda i prestatori di servizi di ingegneria e architettura sono ammessi a partecipare alle procedure di evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 46, d.lgs. n. 50 del 2016: i professionisti singoli e associati, le società tra professionisti, le società di ingegneria ed architettura, i prestatori di servizi di ingegneria e architettura identificati con i codici CPV 74200000-1 a 74276400-8 e da 74310000-5 a 74323100-0 e 74874000-6 stabiliti in altri Stati membri, i raggruppamenti temporanei di imprese, e i consorzi stabili di società di professionisti o di ingegneria.

In ogni caso, i suddetti operatori economici devono essere tutti in possesso dei requisiti di carattere generale, di cui all’art. 80 del codice dei contratti pubblici, nonché dei requisiti minimi di idoneità professionale, di capacità economico-finanziaria, e di capacità tecnico-professionale. Questi requisiti devono essere posseduti dalla presentazione dell’offerta per tutta la durata della procedura, e nel caso di aggiudicazione, per tutta l’esecuzione del contratto, senza soluzione di continuità.

Ai fini che qui interessano appare opportuno evidenziare l’evoluzione che ha subito il concetto di operatore economico, abilitato a partecipare alle gare d’appalto, che ormai è sganciato dal concetto di imprenditore commerciale.

In passato, sono stati esclusi dalle gare le associazioni non profit, le fondazioni, e le società semplici che non avrebbero potuto svolgere attività commerciale in base al nostro codice civile.

Tuttavia, la direttiva europea 2014/24/UE non limita la partecipazione alle procedure di evidenza pubblica solo a quei soggetti che possiedono la qualifica di imprenditore commerciale, necessariamente legata alla produzione di un utile; la normativa europea, difatti, fa riferimento ad una nozione ampia di operatore economico,  che viene identificata in colui che offre un bene o un servizio sul mercato. In particolare, il considerando 14, della predetta direttiva afferma che <<la nozione di “operatori economici” dovrebbe essere interpretata in senso ampio, in modo da comprendere qualunque persona e/o ente che offre sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare. Pertanto, imprese, succursali, filiali, partenariati, società operative, società a responsabilità limitata, università pubbliche o private e altre forme di enti diversi dalle persone fisiche dovrebbero rientrare nella nozione di operatore economico, indipendentemente dal fatto che siano “persone giuridiche” o meno in ogni circostanza>>[1].

Ciò implica che anche gli enti pubblici possono prendere parte alle procedure d’appalto, sebbene la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate sui potenziali effetti distorsivi che tale partecipazione può comportare alla procedura comparativa ed alla concorrenza, tutelata a livello nazionale, dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287,  ed europeo, dagli artt. 101 e 109 T.F.U.E.

L’alterazione della concorrenza, nel caso di specie, potrebbe derivare dai finanziamenti pubblici di cui usufruiscono tali enti, e ciò implica che questi non siano gravati dallo stesso rischio di impresa che caratterizza, invece, gli altri operatori economici.

Di conseguenza, l’offerta presentata dai predetti operatori economici potrebbe godere di una posizione di vantaggio che rischia di pregiudicare il confronto competitivo.

La direttiva 92/50/CEE, tuttavia, consente espressamente la partecipazione alle procedure di evidenza pubblica anche degli enti che siano finanziati con fondi pubblici.

La giurisprudenza nazionale, poi, sulla scia della normativa europea, ha riconosciuto come la partecipazione alla gara si fondi su un criterio oggettivo, ovvero sull’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, e non dipende perciò da elementi soggettivi, come la natura (pubblica o privata), o la produzione di un utile [2].

L’unico limite a tale partecipazione potrebbe derivare da clausole auto-limitative dello statuto dell’Ente, o comunque dagli scopi istituzionali che lo stesso si prefigge di realizzare, che precludono, sicchè la presentazione dell’offerta.

Segnatamente, per il diritto europeo, e oggi anche per quello nazionale ciò che rileva non è la forma con cui si organizza l’ente, ma l’attività che svolge.

Di conseguenza, il suddetto interrogativo si è posto, altresì, per gli enti del Terzo settore, ovvero gli enti non profit, i quali, per statuto, realizzano finalità socialmente rilevanti e di pubblica utilità, non perseguono in via prioritaria una finalità di lucro e di distribuzione di utili, ed impiegano le proprie risorse per l’attuazione del proprio scopo.

Tali organizzazioni sono operative in diversi settori come quello culturale, di ricerca, di studio, assistenziale, sanitario ed ambientale.

Inoltre, a livello strutturale possono assumere diverse forme giuridiche come ad esempio di associazioni riconosciute, associazioni non riconosciute, fondazioni, comitati, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, organizzazioni non governative, e associazioni di promozione sociale.

Proprio le predette caratteristiche hanno escluso per questi soggetti la qualifica di operatore economico, e di conseguenza la partecipazione alle procedure di evidenza pubblica.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, la partecipazione alla gara comporta un regime di responsabilità patrimoniale e personale [3].

L’assenza dello scopo di lucro, e, quindi, la qualifica di imprenditore commerciale, a lungo, ha costituito il limite ostativo alla partecipazione alla gara.

Tuttavia, la giurisprudenza nazionale, sull’abbrivo di quella europea, ha incluso tra gli operatori partecipanti alla gara anche gli enti del Terzo settore [4].

Quanto detto si pone in linea con l’obiettivo perseguito dalla normativa comunitaria in materia di appalti pubblici che è quello dell’apertura alla concorrenza nel modo più ampio possibile [5].

In particolare, tale apertura si è basata sulla distinzione comunitaria tra lucro in senso oggettivo e lucro in senso soggettivo [6] e si è evidenziato che anche gli enti non profit svolgono un’attività in senso oggettivo lucrativa.

Ne deriva che è stata ampliata la nozione di operatore economico di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 50 del 2016, ricomprendendovi anche i soggetti che appartengono al Terzo settore.

Di recente, inoltre, è stato approvato un emendamento da parte della Commissione Politiche dell’Unione Europea, la quale ha reinterpretato l’art. 46 del d.lgs. n. 50 del 2016, sulla base dell’indirizzo espresso di recente dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’UE [7], che è volto ad includere tra i soggetti abilitati a prestare i servizi di architettura e ingegneria, anche gli enti non profit.

Inoltre, già in passato la Corte di Giustizia ha preso posizione sull’argomento rilevando un’incompatibilità tra la normativa europea e quella italiana, fondata in particolare sull’art. 34 del d.lsg. n. 163 del 2006, il quale vietava ad enti che non perseguono un preminente scopo di lucro di partecipare ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico [8].

Ciò ha avvalorato l’assunto secondo cui il perseguimento di un utile, non rappresenti un elemento essenziale della nozione di operatore economico, titolare di un’azienda.

L’art. 2195 c.c., invero, definisce l’imprenditore commerciale come colui che svolge un’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni e di servizi, senza fare alcun riferimento allo scopo di lucro.

È orientamento consolidato quindi quello in base al quale alle gare d’appalto possano partecipare anche gli enti non profit.

Tuttavia, quanto detto incontra un limite nella valutazione di anomalia dell’offerta.

Un’offerta è anomala quando la stessa appare poco affidabile, come può accadere rispetto ad un’offerta che presenti un prezzo particolarmente basso che costituisce il sintomo dell’impossibilità per l’impresa di mantenere gli impegni assunti con la stazione appaltante.

Inoltre, tale offerta anormalmente bassa potrebbe ingenerare il c.d. dumping [9] e di conseguenza alterare il libero gioco della concorrenza.

In ogni caso, occorre considerare come la remunerabilità dell’offerta non rappresenti un presupposto su cui si fonda la stessa, anche alla luce dell’art. 87 d.lgs. n. 50 del 2016.

La soglia di anomalia, però, tiene conto dell’utile di impresa, quale esito fisiologico di una partecipazione ad una gara d’appalto.

Per gli enti non profit, invece, il predetto utile, posto che si tratta di enti che non perseguono uno scopo di lucro, potrebbe essere pari a zero.

Di conseguenza, la giurisprudenza si è interrogata, in diverse occasioni, circa l’ammissibilità di un’offerta che non presenti un utile per l’operatore economico.

Sull’argomento si sono contesi il campo due filoni giurisprudenziali.

Secondo l’orientamento restrittivo e minoritario la presunzione di inaffidabilità dell’offerta opera anche quando l’offerta preveda un utile pari a zero e sia presentata da un ente non profit [10].

Inoltre, si potrebbe creare una situazione contraddittoria ovvero tra imprese del secondo settore che perseguendo a livello statutario uno scopo di lucro devono dimostrare la congruità degli utili, a pena di esclusione dell’offerta presentata perché anomala o incongrua, e gli enti del terzo settore per i quali l’utile non costituisce un presupposto indefettibile e di conseguenza non devono dimostrare il proprio profitto.

L’orientamento prevalente, invece, è partito dalla mancanza di un riferimento normativo rispetto al c.d. utile necessario, che troverebbe la propria giustificazione esclusivamente nel carattere innaturale e perciò inaffidabile di un’offerta in pareggio.

Secondo il Consiglio di Stato <<per i soggetti che operano per scopi non economici, bensì sociali o mutualistici, l’obbligatoria indicazione di un utile di impresa si tradurrebbe in una prescrizione incoerente con la relativa vocazione non lucrativa, con l’imposizione di un’artificiosa componente di onerosità della proposta>>[11].

Inoltre, secondo la Corte di Giustizia dell’Unione europea [12], la presenza sul mercato di associazioni di volontariato soddisfa due interessi, come l’erogazione del servizio in condizioni di equilibrio economico a livello di bilancio, ed il rispetto di elevati standard qualitativi.

Per le suddette ragioni sono abilitati a partecipare alla gara anche le onlus, o in generale le associazioni di volontariato che presentino perciò un’offerta senza utile, sebbene entro certi limiti; difatti, la mancanza di questo lucro non può andare a detrimento di altre esigenze come la regolarità nell’erogazione della retribuzione per i dipendenti, il rispetto degli oneri previdenziali a favore dei lavoratori e di quelli fiscali. L’offerta segnatamente non deve presentare un fine predatorio o anticoncorrenziale.

In altra occasione il Consiglio di Stato ha specificato che non costituisce utile il reimpiego di personale inattivo, o il prestigio che potrebbe derivare all’impresa dall’aggiudicazione dell’appalto [13].

Di recente il T.A.R. Veneto ha ribadito l’orientamento prevalente ed ha riconosciuto come il principio dell’utile necessario non è estensibile nei confronti di soggetti che perseguono interessi sociali o mutualistici e non anche economici[14].

Inoltre lo stesso giudice di prime cure sottolinea come la scelta di sottoporre l’offerta a verifica di anomalia, ai sensi dell’art. 97, co. 6 del d.lgs. n. n. 50 del 2016 è rimessa ad una valutazione discrezionale della stazione appaltante, ed in particolare, di tipo tecnico e perciò sindacabile da parte del G.A. solo in caso di macroscopica erroneità o irragionevolezza della stessa[15].

Alla luce di quanto detto, è stata recepita dall’ ordinamento nazionale una nozione ampia di “operatore economico” ricomprendendovi anche gli enti appartenenti al Terzo settore, a garanzia del principio della più ampia concorrenza nelle procedure di evidenza pubblica.

 

 

 

 


[1] Cfr. considerando 14, Direttiva 2014/24/UE;
[2] Così TAR Lazio, Roma, n. 539 del 2015;
[3] Consiglio di Stato, sentenza n. 2785 del 2003;
[4] T.A.R. Lazio, 19 gennaio 2018, n. 667;
[5] Corte di Giustizia UE, sentenza 19 maggio 2009, causa C-538/2007;
[6] La Corte di Giustizia nella sentenza del 21 marzo 2002, n. 174 ha sottolineato come <<la qualificazione di un’organizzazione come organizzazione “senza scopo lucrativo” deve essere effettuata prendendo in considerazione l’insieme delle attività della stessa>> e che <<un’organizzazione può essere qualificata come organizzazione “senza scopo lucrativo”, anche se essa tende sistematicamente a produrre eccedenze, che in seguito vengono dalla stessa destinate all’esecuzione delle sue prestazioni>>;
[7] Corte di Giustizia sentenza dell’11 giugno 2020, C-219/19;
[8] Corte di Giustizia sentenza del 23 dicembre 2009, C-305/2008;
[9] Il dumping viene anche definito discriminazione del prezzo. Tale pratica viene spesso utilizzata da imprese che operano in regime di quasi-monopolio nel mercato interno e si sostanzia nella vendita di prodotti a prezzi inferiori sui mercati esteri, rispetto a quelli praticati sul mercato interno, al fine di conquistare un nuovo mercato;
[10] T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 14 marzo 2014, n.347;
[11] Consiglio di Stato, Sez. V, 19.11.2018 n. 6522; così anche Cons. Stato, V, sent. 84 del 2015 ;
[12] Corte di Giustizia UE, 11 dicembre 2014, C-113;
[13] Consiglio di Stato, Sez. V, 15 aprile 2013, n.2063;
[14] T.A.R. Veneto, Venezia, 7 dicembre 2020, n.1183;
[15] T.A.R. Veneto, Venezia, 15 marzo 2021, n.343.

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