La pattuizione di interessi ultra-legali e l’usura sopravvenuta

La pattuizione di interessi ultra-legali e l’usura sopravvenuta

L’art. 1815 c.c., attinente alla disciplina del contratto di mutuo, nella sua formulazione originaria, disponeva che se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale. Alla luce di tale disciplina, quindi, opera un adeguamento automatico del contratto, in applicazione dell’art. 1339 c.c., mediante il quale si realizza l’inserimento di diritto nel contratto della clausola conforme a legge, in sostituzione di quella difforme prevista dalla parti. In punto di regime giuridico del contratto, si rileva che, in ossequio a quanto previsto dal 2°co. dell’art. 1419c.c., la singola clausola nulla, sostituita di diritto da norme imperative, non determina la nullità dell’intero contratto. Pertanto, alla luce della previgente disciplina giuridica, il debitore, rispetto ad una clausola avente ad oggetto interessi usurari, restava vincolato al contratto nella sua interezza e, in ragione della sostituzione automatica di clausole, era tenuto a corrispondere gli interessi solo nella misura legale. Correlativamente, la previsione di cui all’art. 644c.p., recava una nozione di usura legata alla sussistenza dell’approfittamento dello stato di bisogno del soggetto passivo, in base al quale l’agente si fa dare o promettere interessi o vantaggi usurari. Guardando a tale quadro normativo, non vi è coincidenza tra l’usura civile (rilevante in relazione al contratto di mutuo) e l’usura penalmente rilevante, con la conseguenza che non potrà darsi luogo alla nullità del contratto usurario per contrarietà a norma imperativa, quale è quella incriminatrice, ex art. 1418,1°co.,c.c.. Successivamente, è intervenuta la L.n.108/1996, recante disposizioni in materia di usura, che ha modificato sia l’art. 1815 c.c., che le norme penali incriminatrici in tema di usura. Con particolare riguardo al profilo civilistico si osserva che, attualmente, l’art. 1815c.c. si compone di due commi: il 1°, detta la regola per cui, salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante, per la determinazione dei quali si osservano le disposizioni di cui all’art. 1284c.c.; il 2°, in base al quale se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. Circa la nuova disciplina degli interessi usurari, si è osservato, in primo luogo, che la nullità della clausola non determina l’operatività del meccanismo di sostituzione automatica di clausole di cui all’art. 1339c.c. quanto, piuttosto, una sorta di conversione legale del contratto, nella misura in cui, posta la nullità della clausola, gli interessi non devono essere comunque corrisposti nella misura legale, ma non sono dovuti. Pertanto, si è osservato che, nel caso di specie opera una conversione del contratto di mutuo oneroso (considerato nullo), in un contratto di mutuo gratuito, nella misura in cui non sono dovuti interessi. Una tale prospettazione sembra essere avvalorata dalla modifica normativa intervenuta in sede penale, ove la nuova formulazione dell’art. 644 c.p., eliminato il riferimento all’approfittamento dello stato di bisogno, incrimina chiunque si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari; ne deriva di conseguenza che è possibile operare una sovrapposizione tra il concetto civile di usura e la nozione penale di usura pecuniaria, ragione per cui il contratto in cui siano convenuti interessi usurari potrebbe qualificarsi nullo ai sensi dell’art. 1418, 1°co, c.c.. Inoltre, la nuova disciplina in materia di usura è intervenuta sull’art. 8 del d. l. n.70/2011 determinando i criteri di computo del tasso di interesse usurario e prevedendo che per la determinazione del tasso usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese collegate all’erogazione del credito (escluse quelle per imposte e tasse); pertanto, avendo di mira anche indici concreti, potrebbe verificarsi il caso in cui gli interessi convenuti al momento della conclusione del contratto in misura inferiore al tasso-soglia (e, quindi, leciti e validi), assumano successivamente, nel corso dello svolgimento del rapporto, carattere usurario. Si pone, dunque, il problema di individuare il momento in cui valutare la conformità del tasso di interessi ai limiti legali, con conseguente qualificazione del contratto in termini di validità od invalidità: in via specifica, ci si è chiesti, dunque, se possa avere rilevanza il superamento del limite legale previsto per l’usura, verificatosi in un momento successivo alla stipulazione e, quindi, attinente al momento dell’esecuzione/corresponsione dell’interesse.

La problematica concerne, in via generale, la configurabilità della nullità virtuale c.d. sopravvenuta: il problema si pone per quelle ipotesi in cui, posta la sussistenza di un contratto ad esecuzione continuata, la norma imperativa, la cui violazione determina nullità, sopravvenga in un momento successivo alla conclusione del contratto. In base ad una prima prospettazione, si nega la stessa ammissibilità di una tale categoria giuridica, in quanto, la nullità è rimedio operante in relazione alle patologie del momento genetico del contratto che non può, quindi, trovare spazio operativo nella fase funzionale. Pertanto, il contratto validamente concluso, non può qualificarsi nullo (per nullità sopravvenuta) ove, in corso di esecuzione, interviene una norma imperativa che ne vieta la stipulazione. Diversamente, per altra tesi, la nullità sopravvenuta potrebbe configurarsi, valorizzando il fondamento stesso della nullità, quale rimedio teso ad eliminare dal mondo giuridico fattispecie contrastanti in maniera particolarmente incisiva con il modello legale; pertanto, alla luce della tutela di interessi generali collegata alla previsione delle cause di nullità, si osserva che, in presenza in una norma a carattere imperativo che interviene a vietare la conclusione di un certo contratto, non può consentirsi il perdurare dell’efficacia dello stesso, benché concluso antecedentemente, in conformità al modello legale all’epoca vigente.  Rapportando tali prospettazioni generali alla fattispecie specifica del contratto usurario si pone il problema della qualificabilità o meno in termini di usura sopravvenuta del contratto concluso prima dell’introduzione della previsione di cui all’art. 8. D. l. n.70/2011 ed in corso di esecuzione dopo l’entrata in vigore della stessa. Al riguardo, per evitare che si dia luogo all’esecuzione di un contratto usurario (e, quindi, non meramente squilibrato per quanto riguarda le prestazioni tra privati ma, finanche contrastante con una norma penale), è stata prospettata la figura dell’usura sopravvenuta, operante in maniera retroattiva, così da travolgere la validità dell’originaria pattuizione. Tuttavia, quale correttivo, al fine di rendere compatibile il carattere sopravvenuto dell’invalidità con la qualificazione della nullità quale rimedio della fase genetica, si è precisato che la causa sopravvenuta di nullità virtuale operi con efficacia “ex nunc” intervenendo, sostanzialmente, ad interrompere l’esecuzione del contratto.

Sul punto, di fondamentale rilievo è stato l’intervento del legislatore, che nel 2001 ha adottato una legge di interpretazione autentica della l.n.108/1996, disponendo espressamente che, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, 2°co. c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promossi o, comunque, convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. La nuova disciplina in esame, che ha portata generale, applicandosi anche al di fuori del contratto di mutuo, ha definitivamente stabilito che il carattere usurario dell’interesse va valutato al momento della conclusione del contratto, così superando la necessità di dover ricorrere alla categoria della nullità sopravvenuta. Tuttavia, non deve tralasciarsi di rilevare che, trattandosi di norma di interpretazione autentica, questa opera retroattivamente, ragione per cui è applicabile anche ai contratti conclusi prima del 1996; in tal caso, però, il rimedio non è la nullità quanto, piuttosto, la sostituzione automatica di clausole. Adottando tale soluzione, quindi, il debitore non sarà tenuto a corrispondere, comunque, interessi usurari effettuando uno spostamento patrimoniale che, nel momento in cui si realizza non è conforme all’ordinamento e, dall’altro lato, non si ricorre ad una categoria di dubbia configurabilità quale la nullità sopravvenuta.

Da ultimo, è opportuno segnalare l’ordinanza di rimessione del 31 gennaio 2017, n. 2484, sul contrasto insorto in ordine all’applicabilità dei criteri fissati dalla l.n.108/1996 per la determinazione degli interessi usurari ai contratti di mutuo ancora pendenti alla data di entrata in vigore della menzionata legge, anche in considerazione degli effetti della norma di interpretazione autentica di cui alla l.n.24/2001. Dall’ordinanza emergono i  due orientamenti che, contendendosi il campo, giustificano la rimessione della questione alle Sez. Un.. In base ad un prima tesi, si esclude che, all’esito della legge di interpretazione autentica, il superamento del tasso soglia degli interessi corrispettivi originariamente convenuti in modo legittimo (senza oltrepassare il limite di usurarietà), in corso di esecuzione del rapporto possa determinare ex artt. 1339 e 1418c.c. la riconduzione entro il predetto tasso soglia stabilito dalla legge, così come integrata dai d.m. periodicamente emanati. La legittimità iniziale del tasso convenzionalmente pattuito spiega la sua efficacia per tutta la durata del contratto, nonostante l’eventuale sopravvenuta disposizione imperativa che per una frazione o per tutta la durata del contratto successiva al suo sorgere ne rilevi la natura usuraria a partire da quel momento in poi (tesi confermata da S.C. n. 801/2016). Altro orientamento (sostenuto da S.C. n. 17150/2016) ritiene che le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in maniera da raggiungere la soglia usuraria, pur non essendo retroattive, comportano l’inefficacia “ex nunc” delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore sula base del semplice rilievo, operabile anche d’ufficio dal giudice, che il rapporto giuridico, a tale momento, no si era ancora esaurito.  Quello tracciato dall’ordinanza di rimessione è, dunque, lo stato dell’arte in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite.


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