La prescrizione quinquennale dei tributi erariali

La prescrizione quinquennale dei tributi erariali

Secondo la Giurisprudenza attualmente dominante (cfr. Cass. 4283/2010; Cass. 2941/2007; Cass. 9295/1993) i cosiddetti i crediti erariali, cioè quelli costituiti dalle imposte dirette quali Irpef, Irap e dall’imposta sul valore aggiunto si prescrivono a norma dell’art. 2946 c.c. e cioè nel termine di 10 anni.

Questa tesi si basa sull’assenza di disposizioni specifiche al riguardo e  sulla considerazione che il pagamento di tali somme non può ritenersi un’obbligazione di durata a cadenza periodica, ossia sorretta da una, cosiddetta, causa debendi continuativa a cui sarebbe applicabile, così come i tributi locali, il disposto dell’art. 2948 c. 4 c.c. che prevede una prescrizione di cinque anni.

Tali tributi andrebbero, piuttosto, considerati come una prestazione unitaria a cadenza annuale in cui ogni pagamento è svincolato dai precedenti, in quanto presuppone un nuovo e autonomo accertamento della sussistenza dei presupposti impositivi e dell’entità del credito.

Alcune più recenti pronunce si sono, tuttavia, discostate da tale impostazione, ritenendo che anche le imposte erariali vadano fatte rientrare nella disposizione di cui all’art. 2948 c. 4 c.c.

A tal proposito, in primo luogo, va segnalata l’Ordinanza n. 20213 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, Sesta Sezione, in data 08/10/2015.

Tale pronuncia, pur riguardando tributi locali quali Tarsu e Tia per i quali è pacificamente riconosciuta l’applicazione la prescrizione quinquennale (cfr. Cass. 4283/2010 cit.), ribadisce l’importante e basilare principio secondo cui la cartella esattoriale non è un titolo idoneo a consentire l’applicazione del disposto di cui all’art. 2953 c.c. e la conseguente applicazione del termine massimo di prescrizione, ma un mero atto interruttivo, a seguito del quale l’ordinario termine proprio di ogni tributo riprende a decorrere (conf. Cass. S.U. 25790/2009 e Cass. Sez. Lav. 6741/2012).

La Giurisprudenza di merito ha, invece, sviluppato in maniera più puntuale le argomentazioni riguardanti la prescrizione quinquennale dei crediti erariali, a partire dalla sentenza n. 513/2013, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Messina in data 24.09.2013.

Tale pronuncia, dopo aver ripercorso le motivazioni per  cui si ritiene applicabile il termine di cui all’art. 2946 c.c., ha osservato che l’argomento principale di tale tesi è semplicemente quello di carattere negativo secondo cui, stabilita per le ragioni sopra indicate l’inapplicabilità dell’art. 2948 c. 4 c.c., non vi sono norme di legge che indichino un diverso termine di prescrizione per le imposte in esame.

Tale orientamento, secondo la sentenza in oggetto, appare però insufficiente a fronte delle varie pronunce che, invece, sostengono la periodicità anche delle imposte erariali e, quindi, la loro prescrizione quinquennale.

In particolare si da conto, richiamando argomentazioni già suggerite dalla sentenza n. 496/2011 della Commissione Tributaria Regionale di Palermo, Sezione Distaccata di Catania, innanzitutto della decisione del 5 dicembre 1990 emessa dal Tribunale Civile di Roma secondo cui “l’imposta diretta, annualmente addebitata al contribuente rientra perfettamente del concetto di obbligazione periodica” in quanto la stessa “deve essere pagata periodicamente a seguito di una generale previsione legislativa che stabilisce regole valide ed efficaci per ogni anno futuro”, poi della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 207/2004, secondo cui “il diritto dell’ufficio a riscuotere l’importo iscritto a ruolo a carico del socio illimitatamente responsabile della società in nome collettivo fallita soggiace alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 c. 4 c.c.” e, infine, di quella della Cassazione n.1592/2001 in materia di Iva che ha stabilito che il credito erariale può essere fatto valere nei confronti del debitore sussidiario (nel caso in oggetto il socio accomandatario) nel termine di 5 anni.

Secondo la Commissione Tributaria Provinciale di Messina questo triplice orientamento giurisprudenziale coordinato con l’art. 23 della Costituzione, che stabilisce che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non per legge, con l’art. 8 c. 3 dello Statuto del contribuente (L. 212/2000) per il quale le disposizioni tributarie non possono modificare i termini di prescrizione oltre il limite previsto dal Codice Civile nonché con il principio del favor debitoris appare più persuasivo della tesi della prescrizione decennale dei tributi erariali il cui unico argomento è, come detto, il silenzio del legislatore che condurrebbe all’applicazione residuale dell’art. 2946 c.c.

Il Giudice adito, inoltre, rileva che la “periodicità” utile ai fini dell’applicazione dell’art. 2948 c. 4 c.c. dipende dall’annualità del pagamento dell’imposta e non da elementi quali: la necessità di una dichiarazione del contribuente per determinarne l’importo (la quale, peraltro, può anche mancare), l’individuazione di uno specifico servizio reso, come può avvenire, ad esempio, nel caso dell’imposta sullo smaltimento dei rifiuti a cui si riconosce pacificamente prescrizione quinquennale,  visto che i tributi erariali possono essere considerati come corrispettivo della genericità dei servizi offerti dallo Stato o l’accertamento dell’entità del tributo anno per anno, in quanto ciò avviene in base a criteri predeterminati per legge, validi in ogni tempo e rappresenta una questione diversa dall’obbligo di corrispondere in maniera periodica le somme dovute, dimostrata anche dalla previsione di sistemi di compensazioni e rimborsi tra un anno e l’altro che confermano l’unicità della causa debendi anche per i tributi erariali.

Infine il Giudice adito fa rilevare come, a norma dell’art. 26 DPR 602/1973, l’ente esattore sia tenuto a conservare per 5 anni copia delle cartelle esattoriali e delle relative relate di notifica: un obbligo che sarebbe chiaramente privo di senso se vi fossero tributi con prescrizione decennale.

Tali argomentazioni sono state accolte e sviluppate dalla più recente sentenza del 14 aprile 2014 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria in cui viene ribadita l’erroneità di ritenere che il principio della causa debendi continuativa di cui all’art. 2948 c. 4 c.c. non possa essere riferito anche ai tributi erariali quali le imposte dirette e Iva, in quanto le prime, ex l’art. 7 del DPR 917/86, sono dovute per “anni solari” ossia, in forma periodica con cadenza annuale in base, come detto, a norme di legge prefissate per la determinazione dell’an e del quantum delle stesse, così come la seconda che infatti viene liquidata ogni anno, sebbene i suoi presupposti maturino trimestralmente.

La sentenza in oggetto, insomma, afferma che per le imposte erariali la loro qualificazione come periodiche non dipende dalla determinazione della loro entità, ma dal fatto che l’obbligo di corresponsione delle stesse anno per anno è permanente e si fonda “sulla produzione di un reddito o la cessione di un bene (la cui mancanza, comporta l’insussistenza o la sospensione dell’obbligo di pagamento) a fronte della somministrazione di servizi indifferenziati che lo Stato si impegna a garantire.”

La pronuncia in esame, inoltre, fa leva su due ulteriori elementi normativi.

In primo luogo sulla lettera dell’art. 2948 c. 4 c.c. che prevede che la prescrizione di cinque anni si applica a tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in periodi più brevi” escludendo, pertanto, che vi possano essere tributi a versamento annuale o inferiore con una prescrizione diversa e, in secondo luogo, sul già citato art. 26 DPR 602/1973 relativo conservazione per 5 anni delle copie degli atti ingiuntivi.

Conclusivamente si può dunque affermare che, nonostante siano contenuti in pronunce ancora sporadiche, gli argomenti a sostegno della prescrizione quinquennale anche dei crediti erariali risultano di sicura pregnanza, poiché la tesi avversa poggia unicamente sul dato che non esiste una specifica norma di legge e sull’annualità dell’accertamento del tributo, argomenti che per le ragioni di cui sopra non appaiono decisivi a fronte di quelli contrari i quali, se verranno accolti anche dalle Corti di grado superiore, rappresenteranno una svolta di grande importanza per il cittadino, certamente interessato ad accertamento quanto più celere della sua posizione contributiva.

Avv. Andrea Persi


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