La procedura di infrazione e il caso ungherese

La procedura di infrazione e il caso ungherese

Abstract: Recentemente l’Ungheria è stata al centro di un dibattito che ne ha scalfito la posizione e la credibilità all’interno dell’Unione Europea. Più volte è stata ripresa dalla Commissione europea e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per aver violato i principi fondamentali derivanti dai Trattati, uno su tutti quello della rule of law, del rispetto dello Stato di diritto, in merito a questioni politicamente sensibili concernenti le regole in materia di immigrazione. Si analizza in questa sede il profilo giuridico della questione mentre in ultima battuta si darà spazio a possibili scenari sulla questione.
Sommario: 1. La vicenda – 2. Il ruolo della Commissione e la procedura di infrazione – 2.1. Procedura formale: sistema EU Pilot e fase pre-contenziosa – 2.2. Fase contenziosa – 3. Possibili sviluppi

 

1. La vicenda 

La Commissione europea ha, per la quinta volta dal 2015, attivato una procedura di infrazione a carico dell’Ungheria per il mancato corretto rispetto delle procedure previste dal diritto europeo in materia di asilo. Per molti mesi i richiedenti protezione sono stati bloccati nella possibilità di potersi avvalere di tale diritto sul suolo ungherese e, infatti, molte persone provenienti da paesi extra-europei venivano dirottate nelle ambasciate ungheresi di Belgrado o Kiev dalle quali, poi, potevano procedere nel richiedere asilo.

Le misure prese dalla Commissione si presentano, quindi, come reazione alle restrizioni di accesso perpetrato dalle autorità ungheresi nei confronti dei richiedenti asilo. Nella lettera di messa in mora, infatti, si evince l’ambiguità della nuova procedura in materia di asilo, entrata in vigore nello stato membro in questione per far fronte alla pandemia legata al diffondersi del coronavirus (Sars-CoV2 o COVID-19), in quanto presenta elementi fortemente contrastanti rispetto alle norme comunitarie. Ci si riferisce, nel caso in esame, alla Direttiva Procedure[1] e alla Direttiva Accoglienza[2], parti integranti del contesto normativo in materia migratoria che è disciplinato dal Regolamento di Dublino III[3], il quale, interpretato alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, è ostracizzato continuamente dalle politiche perseguite da Budapest.

Dal suo canto, l’Ungheria difende il suo cambio di politica giustificandolo come misura atta al contenimento della pandemia[4], e ciò ha sollevato non ben poche critiche nell’ambito del suo operato, tra le quali spiccano anche quelle delle Nazioni Unite.

Il paese guidato da anni dal presidente Orbán e dal partito conservatore Fidesz[5] non è nuovo a dissidi con le massime istanze europee. Ad aggravare la situazione non è solo la difficoltà con cui il paese del blocco Visegrad[6] non riesce – o non vuole – adattarsi alle norme di diritto europeo in materia, violando così lo stato di diritto (la cd. Rule of law). Più volte sono state registrate gravi violazioni dei diritti umani, riscontrate nella detenzione illegale, nella privazione di cibo ai richiedenti asilo – i quali versano già in condizioni precarie – e del diritto ad essere assistiti da un’organizzazione nazionale o internazionale o da una ONG, privandoli così del diritto ad un equo trattamento e facendo venir meno la possibilità di essere protetti all’interno di uno stato che non sia quello di origine.

Nel luglio 2018 la Commissione aveva, inoltre, espresso le sue preoccupazioni sul pacchetto legislativo ‘Stop Soros’[7]che criminalizza le attività che supportano le richieste di asilo e di stabilimento, molte delle quali non venivano nemmeno esaminate dalle autorità competenti ma dichiarate inammissibili apriori, ciò ulteriormente restringeva il diritto dei richiedenti. La Commissione europea, dunque, dopo aver emesso un parere motivato nel gennaio 2019, in quanto la risposta alla lettera di messa in mora non fosse soddisfacente, riteneva che la questione non poteva in nessun modo privare l’Ungheria dall’essere citata in giudizio davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (ECJ). In parallelo, un analogo processo si svolgeva davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale aveva indicato varie misure e obbligato l’Ungheria a sfamare le persone che si trovano nelle zone di transito ungheresi.

Nell’ottica della Commissione, è oltremodo preoccupante la situazione nelle zone di transito dell’Ungheria al confine con la Serbia, dove ai rifugiati – che essi si trovino sul suolo ungherese o ai suoi confini – è precluso richiedere la protezione internazionale e, per tali ragioni, si vedono costretti a far ritorno nel loro stato d’origine o richiedere protezione in un altro stato, nel quale i loro diritti non sono a rischio o quantomeno hanno più possibilità di essere ascoltati e protetti.

2. Il ruolo della Commissione e la procedura di infrazione

La Commissione europea, in quanto perno del sistema comunitario, è l’istituzione che più caratterizza l’ordinamento dell’Unione, essendo chiamata ad esprimere il principio di sovranazionalità e a rappresentare e garantire l’interesse generale dell’Unione, in piena indipendenza rispetto a qualsiasi Stato membro, istituzione o altro organo (art. 17 TUE)[8]. A tale istituzione non solo compete l’avvio del procedimento legislativo, essa è anche rappresentante esterno dell’Unione – non per la politica di sicurezza e difesa comune –, dà esecuzione al bilancio ed esercita funzioni di coordinamento, esecuzione e di gestione. Pertanto, spetta alla Commissione il compito di sorvegliare sulla corretta applicazione dei Trattati e del diritto dell’Unione, poiché il suo operato è volto alla promozione dell’interesse della comunità.

Così come previsto dall’art. 17 TUE, carattere essenziale di tale istituzione, quale organo operante nell’interesse comunitario, è il suo potere di vigilanza sull’applicazione delle norme dei Trattati e del diritto derivato da parte sia degli Stati membri che delle istituzioni e degli stessi privati, infatti è molte volte descritta come ‘‘guardiana dei Trattati’’ e per tali fini essa dispone di vari poteri di verifica e di controllo sia preventivi che successivi, nonché di poteri sanzionatori.

Ora, il nostro focus si concentra sul potere esclusivo che ha la Commissione europea di perseguire nei confronti degli Stati membri ogni violazione degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione al fine di assicurarne la corretta osservanza, si analizza quindi il potere di promuovere la procedura di infrazione dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, di propria iniziativa o su richiesta di uno Stato membro. La procedura in questione ha inizio dopo l’espletamento di una procedura pre-contenziosa e si conclude con un parere motivato della Commissione sul caso in questione, dopo aver messo lo Stato soggetto alla procedura in condizioni di presentare le proprie osservazioni (art. 258 TFUE)[9].

La Commissione, agendo per vie legali, individua così possibili violazioni del diritto dell’UE sulla base di indagini che essa stessa effettua o in conseguenza di denunce da parte di privati cittadini, imprese o altre parti interessate. La decisione relativa all’attivazione di tale procedura rientra nella totale discrezione della Commissione stessa, la quale, esercitando tale funzione potrà agire su denuncia di privati, sulla base di un’interrogazione parlamentare o di propria iniziativa.

La procedura di infrazione costituisce uno strumento indispensabile per garantire il rispetto delle regole e dell’effettività del diritto dell’Unione. Quando, infatti, si ritiene che uno Stato abbia mancato a uno degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea, la Commissione si attiva avviando tale tipo di procedura, in particolare, l’infrazione di cui si tiene conto può consistere nella mancata attuazione di una norma comunitaria o di una disposizione o pratica amministrativa che con essa risulta in contrasto. L’incompatibilità con la disposizione europea è il parametro di riferimento che dispone per la proposizione della procedura di infrazione, concernente la violazione di una norma europea in conseguenza dell’azione od omissione di uno Stato che ad essa non si è conformato.

2.1. Procedura formale: sistema EU Pilot e fase pre-contenziosa

Una volta individuate le possibili violazioni del diritto dell’UE, svolte le indagini o recepito una denuncia, ovvero, qualora vi siano i presupposti per l’attivazione della procedura di infrazione, la Commissione procede con l’invio di una lettera di messa in mora, con la quale viene concesso un termine allo Stato membro di destinazione entro il quale presentare le proprie osservazioni.

Anteriormente all’apertura di una procedura formale di infrazione si attiva il sistema EU Pilot, istituito nel 2008 con la Comunicazione della Commissione ‘‘ Un’Europa dei risultati – Applicazione del diritto comunitario’’[10], e che ha sostituito la prassi dell’invio di lettere informali avanti lo scopo di avviare un iniziale confronto. Esso costituisce un meccanismo di scambio di informazioni tra la Commissione europea e gli Stati membri, nei casi in cui si possano presentare problemi legati alla mancata o non corretta applicazione delle norme europee, si tratta di un sistema di banca dati elettronica, messo in moto da una rete di contatti che gestisce i dati, le richieste di informazione, le denunce nonché i casi aperti d’ufficio, e assicura che raggiungano la corretta destinazione. Con tale sistema si cerca di semplificare il lavoro di vigilanza della Commissione, valorizzando la cooperazione come strumento che permette di snellire il procedimento di raccolta di indagini, risolvendo i problemi in maniera più efficace e rapida.

Si consente così agli Stati membri di rispondere direttamente ai propri cittadini fornendo a questi le informazioni richieste o proponendo soluzioni al problema presentato. La risposta dello Stato membro è esaminata entro dieci settimane e la valutazione viene caricata sul sistema EU Pilot; qualora nessuna soluzione si ritiene compatibile con il diritto dell’Unione allora verrà avviata la procedura d’infrazione.

Tuttavia, la Commissione ha deciso di ridurre il ricorso al sistema EU Pilot in una Comunicazione del 2016[11], limitandone l’apertura soltanto per quei casi che sono prettamente di natura tecnica, mentre le altre osservazioni ricadono nella procedura ex art. 258-260[12].

La fase pre-contenziosa si esaurisce in un termine preciso, che generalmente è di due mesi, e vede la cd. lettera di costituzione in mora o di intimazione il suo primo atto ufficiale, nella quale viene indicata la violazione che si contesta allo Stato membro, e che – come anticipato – può consistere nella mancata attuazione di una norma o in una disposizione o una pratica amministrativa nazionali che risultano con essa incompatibili. La lettera è condizione di forma sostanziale per l’addebito nei confronti dello Stato membro e quindi la ricevibilità del ricorso successivo ammette il fondamentale esercizio per esso del diritto di difesa.

La procedura ex art 258 TFUE può presentare vari risvolti in relazione al comportamento dello Stato membro, e ciascuna fase si conclude con una decisione formale, la Commissione potrà archiviare il caso, se lo Stato in questione si conforma alla decisione dell’organo, o in caso contrario, ha il potere di emanare un parere motivato, che chiude la fase pre-contenziosa.

Se appare evidente che il paese in questione sia venuto meno ai propri obblighi con il parere motivato si chiede formalmente allo Stato membro di conformarsi al diritto dell’Unione, e vengono allegate nello stesso le motivazioni per le quali la Commissione ha ritenuto di attivare la procedura. Così, viene cristallizzato in fatto e in diritto l’inadempimento ed è concesso un termine preciso, generalmente di due mesi, entro il quale il paese interessato deve comunicare le misure che adotta per redimere la violazione commessa. Se non viene trasmessa alcuna comunicazione o queste non rientrano nel termine utile che una direttiva dispone per la sua attuazione, è legittimo che la Commissione possa chiedere alla Corte di giustizia di imporre sanzioni al membro che si è macchiato con la violazione.

Qualora, invece, tale Stato continui a non conformarsi al diritto dell’UE, la Commissione potrà deferirlo alla Corte di giustizia[13], presentando ricorso per inadempimento. La fase pre-contenziosa è un prezioso filtro che si è introdotto per snellire il procedimento e non sovraccaricare ulteriormente l’operato della Corte, infatti, molte questioni vengono risolte prima di essere sottoposte alla Corte stessa.

Una volta che si giunge a presentare ricorso e deferire la questione alla Corte, si esaurisce la fase pre-contenziosa ed inizia il giudizio vero e proprio, il quale è volto all’accertamento della situazione d’inosservanza dello Stato.

Sia la lettera di messa in mora che il parere motivato sono adempimenti necessari per la regolarità della procedura, poiché non solo garantiscono allo Stato la possibilità di potersi difendere, ma anche perché volti al ristabilimento della legalità.

2.2. Fase contenziosa

Una volta proposto ricorso per inadempimento davanti alla Corte di giustizia, ovvero nel caso in cui lo Stato membro non si sia conformato al parere della Commissione, si apre la fase contenziosa.

Anche in questa fase la Commissione ha a disposizione un ampio potere discrezionale, essendo libera di valutare i tempi e l’opportunità del suo esercizio, poiché, in quanto guardiana dei Trattati, ha il potere-dovere di intervenire per ristabilire ed assicurare il corretto funzionamento del sistema dell’Unione. Per tale ragione, su di essa incombe l’onere della prova circa l’esistenza della violazione contestata allo Stato membro.

La fase contenziosa si interrompe nel momento in cui lo Stato membro presta dovute garanzie circa il suo adempimento, ripristinando l’ordine e conformandosi alla norma in precedenza violata.

L’azione per infrazione è volta al ristabilire della legalità comunitaria, se la Corte di giustizia accerta che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi che gravavano su di esso in virtù dei Trattati, questo è tenuto a prendere provvedimenti atti ad eliminare l’infrazione, conformandosi a quanto la sentenza della Corte statuisce in merito.

La sentenza, che si impone a tutte le autorità dello Stato, ha natura dichiarativa, limitandosi ad accertare la violazione e per tanto non può prescrivere le misure o i comportamenti che lo Stato in questione deve tenere per porre fine all’inadempimento.

Qualora, invece, lo Stato non si conformi alla sentenza viene a configurarsi un ulteriore inadempimento e ciò, comportando una nuova violazione, può dar luogo ad una nuova procedura ex art. 260 TFUE, ove si contesta l’inadempimento ulteriore ed autonomo rispetto alla prima violazione, ovvero consistente nella mancata attuazione dei provvedimenti necessari per l’esecuzione della sentenza di accertamento. La norma in questione ha subito un’evoluzione in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ed introduce la possibilità, ai sensi del par. 2 art. 260 TFUE[14], per la Commissione di richiedere alla Corte l’imposizione di una condanna pecuniaria in relazione alla ‘messa in mora’, semplificando il procedimento d’infrazione ed evitando di intraprendere una nuova fase pre-contenziosa.

3. Possibili sviluppi

L’iter procedimentale seguito dalla Commissione ha visto più volte l’Ungheria in qualità di soggetto destinatario di tali azioni, spesso riguardanti tematiche ricorrenti quali la lesione dello stato di diritto o della leale collaborazione. Di contro, si sottolinea la ricorrente introversione dello Stato membro in questione a conformarsi ai richiami frequenti di Commissione e Corte di giustizia. Da ultimo, il pacchetto legislativo Stop Soros e la pandemia di coronavirus hanno contribuito all’inasprimento dei rapporti tra il paese guidato da Victor Orban e le massime istanze europee sulla tematica migratoria, ove, da un lato sono state lese le norme europee di riferimento in materia, dall’altro il livello di protezione garantito dalle norme di diritto internazionale.

Benché la Commissione si sia attivata nel richiamare il paese ungherese al ripristino della situazione così come i Trattati prescrivono, la procedura di infrazione ha sempre avuto esiti blandi o quasi nulli. L’Ungheria, dal suo canto, ha sempre retto al confronto e le sanzioni nei suoi confronti, così come le sentenze della Corte a suo carico, mai sono riuscite a ricostruire quella legalità comunitaria scopo primario della procedura stessa.

La procedura di infrazione è – indubbiamente – un valido strumento per richiamare gli Stati membri che hanno violato, in tutto o in parte, una norma europea o ad essa non si sono conformati, ma, nonostante ciò, essa ha poche volte prodotto gli effetti sperati, essendo imputata al comportamento dello Stato e al suo operato la soluzione circa l’eliminazione della violazione commessa o del suo mancato adempimento, in quanto responsabile. Critiche alla procedura in sé sono difficili da rilevare, in quanto non presenta gravi lacune o insufficienze. Una più efficace e trasparente azione della Commissione potrebbe riguardare la modifica del sistema EU Pilot, rinforzandolo e rendendo la comunicazione e la collaborazione tra Stati membri più celere e sicura.

L’unica sostanziale critica che si volge a riguardo concerne l’effettività dell’iter procedimentale, ovvero del suo esito, poiché allo Stato membro non si delinea come rientrare dalla violazione o come ripristinare il diritto europeo leso dal suo comportamento. È, quindi, auspicabile una correzione in tal senso e, più nello specifico, bisognerebbe favorire l’inserimento di un meccanismo che permetta di costruire un percorso o affiancare l’operato dello Stato membro, vigilandolo e consigliandolo, così che non perduri lo stato di inadempienza e non vengano lesi diritti e doveri dei cittadini europei ed extra-europei che possono essere colpiti da una legislazione che non si conformi ai parametri dettati dal Trattato.

Per l’Ungheria si tratterebbe di un percorso lungo e non poco difficoltoso, vista l’ostracizzazione che l’opinione pubblica prevalente del paese ha nei riguardi delle istituzioni europee, ma non impossibile. Abbiamo di fronte un grande paese di transito per i flussi migratori dell’area balcanica e pertanto non può gestire i traffici migratori in maniera discriminante per le migliaia di persone che sono già afflitte dalla loro precaria situazione e, che sono in cerca di tranquillità e stabilità e non disordine e indifferenza. All’interno di un ordinamento come quello dell’Unione le velleità politiche hanno da sempre ostacolato il percorso di integrazione europea per i loro vari motivi. Ora, invece, è il momento di rafforzare quello che si è costruito in questi anni, non avendo paura di prendere posizioni anche drastiche nei confronti di uno Stato membro.

Il diritto dell’Unione e la rule of law non devono essere scalfite da atti unilaterali ed irrispettosi, la cooperazione e il coordinamento di intenti sono le armi che abbiamo a disposizione in questo quadro giuridico-politico per far fronte ad esigenze ed emergenze che i singoli Stati del continente europeo da soli non possono pretendere di affrontare.

 

 

 

 


[1] Asylum Procedures Directive n. 2013/32/EU https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:32013L0032&from=en
[2] Reception Conditions Directive n. 2013/33/EU https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:32013L0033&from=EN
[3] Regulation n. 604/2013 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:32013R0604&from=IT
[4] Agli Stati è concessa la possibilità di derogare, in particolari situazioni, ai trattati stipulati sui diritti umani, per cui, in una situazione emergenziale come quella attuale, legata al diffondersi del virus, molti paesi hanno potuto attuare politiche di confinamento nazionale, restringendo la libertà dei cittadini. Tale possibilità, dunque, è stata sfruttata da molti paesi, che hanno reagito in diverso modo all’epidemia, e il caso ungherese non fa eccezione, in quanto le difese addotte da tale Stato per l’adozione di misure legislative ultra-restrittive ricadono proprio nella possibilità accordata dal diritto internazionale di poter derogare ai trattati sui diritti umani in casi di situazioni emergenziali, come una pandemia.
[5] Fidesz o Fiatal Demokratàk Szovetsége è un partito conservatore, nazionalista, populista e democristiano oltre ad essere tradizionalmente euroscettico.
[6] Il gruppo di Visegrad è un’alleanza politico-culturale tra quattro paesi dell’Europa centrale: Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia (prima Cecoslovacchia), tutti entrati a far parte dell’Unione europea nel 2004.
[7] https://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-REF(2018)020-e
[8] Art. 17 TUE (Trattato sull’Unione Europea), par.1: La Commissione promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Vigila sull’applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei trattati. Vigila sull’applicazione del diritto dell’Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea. Dà esecuzione al bilancio e gestisce i programmi. Esercita funzioni di coordinamento, di esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite dai trattati. Assicura la rappresentanza esterna dell’Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dai trattati. Avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell’Unione per giungere ad accordi interistituzionali.
[9] Art. 258 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, ex-art.226 TCE) par.1: La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni.
[10] [COM (2007)502] Communication from the Commission – A Europe of Results – Applying Community Law https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:52007DC0502&from=it
[11] COM (2016)8600 – Communication from the Commission — EU law: Better results through better application https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=uriserv%3AOJ.C_.2017.018.01.0010.01.ENG&toc=OJ%3AC%3A2017%3A018%3AFULL
[12] Articolo 260 (ex articolo 228 del TCE) par. 1: Quando la Corte di giustizia dell’Unione europea riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta.
[13] L’art. 258 TFUE par. 2 evidenzia il carattere discrezionale della Commissione nella locuzione: Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell’Unione europea.
[14] Art 260 TFUE par. 2. Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta‚ la Commissione, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte. Essa precisa l’importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze. La Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità. Questa procedura lascia impregiudicate le disposizioni dell’articolo 259.

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Cristian Franzese

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