La prova della simulazione del contratto stipulato dal de cuius a carico del legittimario

La prova della simulazione del contratto stipulato dal de cuius a carico del legittimario

In tema di simulazione, ai sensi dell’art. 1417 c.c., la prova dell’accordo simulatorio è ammissibile senza limiti solo se la domanda di accertamento della simulazione sia proposta dai creditori o da terzi, ovvero, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se proposto dalle parti.

Ciò, pertanto, sta a significare che le parti di un negozio simulato che agiscono in giudizio per l’accertamento della simulazione dello stesso, sempre che non si tratti di far valere l’illiceità del contratto dissimulato, non potranno dar prova della simulazione del detto negozio né a mezzo prova testimoniale nè per presunzioni. Detta limitazione si giustifica in relazione al disposto degli artt. 2722 e 2729 c.c.. Infatti, quando il contratto simulato è redatto per iscritto, le parti non possono servirsi della prova testimoniale per provare l’accordo simulato, poiché tale accordo è, sul piano temporale, contestuale o anteriore al documento che contiene l’atto simulato e, sul piano del contenuto, un patto ad esso contrario.

Valgono peraltro le eccezioni al divieto della prova testimoniale di cui all’art. 2724 c.c.. Per cui le parti sono soggette alle limitazioni della prova per testimoni e per presunzioni, salvo che non ricorrano le eccezioni contemplate dal predetto articolo (principio di prova per iscritto, impossibilità morale o materiale di procurarsi un documento, perdita senza colpa del documento stesso).

Pertanto, le parti potranno dare prova della simulazione del negozio esclusivamente producendo in giudizio la cosiddetta “controdichiarazione”, ovvero quell’atto necessariamente anteriore o contemporaneo all’atto asseritamente simulato, che, pur non facendo parte del procedimento simulatorio, rende certa la volontà delle parti in merito agli effetti del contratto. Sono, inoltre, ammessi l’interrogatorio formale volto ad ottenere una confessione giudiziale e il giuramento decisorio e suppletorio, sempre che per l’atto simulato non sia richiesta la forma ad substantiam.

Tali limitazioni probatorie stabilite per le parti in ordine all’ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, non valgono per i creditori e i terzi, i quali potranno avvalersi di tali mezzi istruttori per provare la simulazione.

Ciò posto, in materia ereditaria, ove l’erede legittimo agisca in giudizio affinché venga dichiarata la simulazione di un negozio posto in essere dal de cuius, si discute se lo stesso assuma la qualità di terzo rispetto ai contraenti, con conseguente ammissibilità senza limiti o restrizioni di sorta alla prova testimoniale o presuntiva, o se questi, subentrando nella stessa posizione del de cuius, debba soggiacere a tutte le limitazioni previste dall’art. 1417 c.c..

L’azione di simulazione esercitata dal legittimario, avente ad oggetto un contratto stipulato dal de cuius, riguarda normalmente atti di trasferimento di beni del de cuius verso terzi, tra costoro compresi anche gli stessi eredi, e può avere due finalità: quella volta a dimostrare la simulazione assoluta del contratto simulato, meramente finalizzata a ricostituire il patrimonio ereditario, una volta ottenuta la dichiarazione di simulazione del contratto di trasferimento a terzi del bene alienato dal de cuius, ovvero quella volta a dimostrare la simulazione relativa di atti apparentemente onerosi che, invece, dissimulano donazioni, anche indirette, come tali da ricomprendersi ai fini dell’asse relictum più donatum, su cui viene determinata la quota di riserva.

A parere della giurisprudenza, quando l’azione di simulazione non è finalizzata alla reintegrazione della quota di un legittimario, bensì al solo scopo dell’acquisizione del bene oggetto del negozio simulato alla massa ereditaria, in vista della determinazione delle quote dei condividenti, l’erede (legittimario o meno) subentra nella stessa posizione giuridica del de cuius; quindi, non potendo essere considerato terzo rispetto al contratto simulato, soggiace a tutte le limitazioni previste dall’art. 1417 c.c.

Quando, invece, la simulazione è fatta valere dal legittimario perché strumentale alla tutela della quota di riserva, e, dunque, costui esercita un’azione volta a far dichiarare che il bene oggetto del negozio simulato fa parte dell’asse del relictum più donatum, il legittimario deve ritenersi terzo, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova della simulazione.

In tal caso, al legittimario compete la qualità di terzo, poiché agendo in riduzione per pretesa lesione di legittima, egli agisce quale titolare di un diritto proprio riconosciutogli dalla legge, qual è, appunto, quello di veder reintegrata la quota di legittima a lui riservata per legge, lesa dal de cuius con il negozio asseritamente simulato.

Alla luce delle innanzi esposte considerazioni, pertanto, può concludersi che l’erede legittimario debba ritenersi terzo rispetto agli atti impugnati asseritamente simulati, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova della simulazione, solo quando contestualmente alla azione volta alla dichiarazione di simulazione, proponga anche un’espressa domanda di riduzione per lesione della quota di legittima, facendo valere la sua qualità di legittimario e fondandosi sulla specifica premessa che il negozio simulato abbia determinato una lesione del suo diritto personale alla integrità della quota di riserva spettantegli, in quanto solo in questo caso egli si pone come terzo, nei confronti della simulazione (cfr. Cassazione civile , sez. II , 07/01/2019 , n. 125).


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