La prova illecita nel processo civile

La prova illecita nel processo civile

Nel nostro ordinamento la nozione di prova illegittimamente acquista si ritrova nel campo processual-penalistico, all’art. 191 c.p.p., il quale dispone che non sono utilizzabili nel processo quelle prove acquisite in violazione ai divieti stabiliti dalla legge.

Si tratta di un vizio della prova che può essere rilevato anche d’ufficio dal giudice.

La ratio di tale disposizione va ricercata nella tutela dei diritti costituzionalmente garantiti, in primis il diritto alla difesa ex art. 24 Cost.

Nel campo processual-civilistico, invece, non vi è una corrispondente norma che operi in tal senso.

La nozione di inutilizzabilità di prove certamente esiste, ma non vi è alcun riferimento alle norme acquisite illegittimamente.

Eppure, le matrici che hanno ispirato la norma, la regola iuris sopracitata e contenuta nel codice di procedura penale, sono o dovrebbero essere le stesse che regolano anche il processo civile.

Per meglio dire, il diritto è unico insieme che solo convenzionalmente è stato suddiviso in vari rami (diritto penale, diritto civile, diritto amministrativo, diritto costituzionale e via dicendo).

Ma ciò non vuol dire che se ci si trova nel campo del diritto penale, allora si applicheranno principi che non si applicano invece nel campo civilistico.

Il sistema di garanzie posto alla base dell’uno o dell’altro può essere più o meno intenso, ma non presente nell’uno e assolutamente assente nell’altro.

Per questo motivo, la giurisprudenza, anche quella di legittimità, nel tentativo di colmare la lacuna si è pronunciata seppur non sempre in maniera coordinata.

In particolare, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, a partire dal 1993 con sent. n. 2560/93, e poi in diverse occasioni, ha dichiarato l’inutilizzabilità di documenti riservati di proprietà del datore di lavoro che il lavoratore abbia fotocopiato a sua insaputa e prodotto in giudizio.

La compatibilità tra il diritto di difesa e il dovere di segretezza” – argomenta la Suprema Corte – “è un obiettivo raggiungibile grazie all’intermediazione giudiziale: la divulgazione del contenuto dei documenti riservati può essere disposta dal giudice, tramite un ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c., ed eventualmente accompagnata da cautele come l’omissione dei nomi di terzi ivi indicati. Il datore di lavoro potrà pure sottrarsi al comando giudiziale di esibizione, ma tale comportamento inciderà sulla decisione e comunque il conflitto tra la posizione del datore, titolare del diritto alla riservatezza aziendale, e quella del lavoratore, titolare del diritto alla prova, non può essere risolto in via unilaterale da quest’ultimo, che in osservanza del dovere di lealtà non deve far uso di mezzi illeciti o abusare di mezzi leciti“.

Da ultimo, la VI sez. civile della Corte di Cassazione, con ordinanza  n. 22677/2016 si è pronunciata nel senso della inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite.

Il caso in questione era un giudizio di addebito della separazione, in cui uno dei coniugi avrebbe voluto che  fossero acquisite e considerate dal giudice di merito, ai fini dell’addebito all’altro coniuge, alcune registrazioni audio sottratte illegittimamente all’altra parte, che tuttavia si trovavano in possesso del primo.

Il ricorrente per Cassazione era il coniuge che aveva prodotto nei gradi di merito le registrazioni, il quale, con ricorso lamentava l’omesso esame di un fatto decisivo, poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello, non avrebbero tenuto conto delle registrazioni da lui prodotte.

I giudici di legittimità confermato la sentenza, ribadendo con fermezza l’inutilizzabilità nel giudizio civile “…del materiale probatorio acquisito mediante sottrazione fraudolenta alla parte processuale che ne era in possesso”.

La giurisprudenza ad oggi sembra costante nel ritenere inutilizzabili le prove illegittimamente acquisite.

Sarebbe infatti impensabile che una parte possa arbitrariamente e unilateralmente predisporre le prove, sia nel processo penale che in quello civile, unicamente a proprio favore, a scapito dei diritti costituzionalmente garantiti.

Il signore del processo è il giudice, arbitro terzo e imparziale, il quale è l’unico a poter valutare le prove ed eventualmente ad ordinarne la esibizione alla parte che ne sia in possesso.

Di certo non è la parte che unilateralmente può risolvere un conflitto tra il proprio diritto alla prova e un diritto costituzionalmente garantito. Se così fosse le conseguenze di tali azioni sarebbero aberranti.

Si auspica, perciò, un intervento chiarificatore del legislatore, volto a colmare la lacuna in materia nel processo civile di prove acquisite illegittimamente.


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Ilaria Iacobone

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