La psicologia della testimonianza nel processo

La psicologia della testimonianza nel processo

“Il codice di procedura penale impone un vastissimo orizzonte di riflessione interdisciplinare” concernente “profili epistemologici, tecnico-giuridici, retorico-argomentativi, psicologici e deontologici”. Tutti questi aspetti meritano studi approfonditi in quanto finalizzati al perfezionamento degli strumenti operativi, ma soprattutto, ad un “miglioramento dell’efficienza della macchina-processo”.[1]

Qualsiasi giurista deve aver consapevolezza di non poter trascurare la forte interconnessione del diritto con le altre branche del sapere, né la rilevanza delle stesse al fine di ottenere la risposta a specifici quesiti ed a problematizzare altri, per i quali si ritiene già esistente una risposta.

Il diritto è un fatto umano, prodotto dall’uomo e per l’uomo, “è ricchissimo di concetti che, oltre al sapere giuridico, rimandano anche a quello psicologico (diligenza del buon padre di famiglia, coscienza e volontà, comune sentimento, suggestione…) il legislatore li enuncia e li usa senza però spiegare in che modo vadano intesi. Toccherà, quindi al giurista il compito integrato di colmare questa lacuna”.[2]

I rapporti tra psicologia e diritto sono complessi, ma le due discipline presentano delle similitudini: non sono statiche bensì sottoposte ai cambiamenti dovuti alla politica, al miglioramento dei metodi di ricerca, alle modifiche nella morale, della domanda sociale e allo sviluppo di nuove tecnologie.[3]

È denominata psicologia giuridica la branca della psicologia che studia le peculiarità (aspetti intellettivi, comportamentali ed attitudinali) delle persone coinvolte in procedimenti giudiziari allo scopo di sottoporle all’analisi dell’autorità giudiziaria.

Con la pubblicazione di Psicologia Giudiziaria, datata 1925, Enrico Altavilla[4] giurista napoletano, docente di Diritto e Procedura Penale, concretizza una vera sistematizzazione della psicologia giuridica, coniugando il Diritto e la Psicologia all’interno del processo e pur lasciando ad entrambe la loro autorevole autonomia.

Le partizioni di codesta disciplina sono numerose (psicologia penitenziaria, criminale, legislativa, rieducativa…) tra queste vi è: la psicologia della testimonianza.

Nei secoli passati la testimonianza è stata oggetto di ampie trattazioni storiche e giuridiche, l’analisi psicologica della stessa, giunge in tempi più recenti. La psicologia, è considerata una materia giovane, distaccatasi solo verso la fine dell’Ottocento dalla filosofia[5] e dalla fisiologia[6], ha acquisito il peso che attualmente ha, solo nel corso del Novecento.

Originariamente la ricerca della psicologia testimoniale si focalizza sulla testimonianza oculare: la capacità di un teste di recuperare il ricordo di eventi legati ad episodi criminosi. [7]

In Germania, agli inizi del ventesimo secolo, lo psicologo William Stern[8] dedica alla psicologia della testimonianza un’intera rivista, pur essendo noto per il suo contributo in altri settori della psicologia (lo studio dello sviluppo cognitivo e sociale del bambino), ed esamina il problema relativo all’attendibilità della testimonianza. Già nel 1902 egli asserisce: “Il ricordo difettoso non è l’eccezione ma la regola.”[9]

Negli Stati Uniti, Hugo Münsterberg[10], ritenuto oggi il padre della psicologia forense, studia la fragilità della memoria, sottolineando che sia possibile ricordare in maniera sbagliata e riconoscere una persona innocente come colpevole di un reato, incorrendo in un grave errore giudiziario.[11]

Nel 1909 l’italiano Fiore[12], dichiara che il valore psicologico della testimonianza sia il capitolo più importante della psicologia giudiziaria e nel 1931 Cesare Musatti[13] pubblica un’opera monografica sullo stesso tema “Elementi di psicologia della testimonianza” la cui straordinaria attualità viene ancora oggi riconosciuta dai moderni studiosi di psicologia giuridica.

Si afferma progressivamente la convinzione per cui la testimonianza costituisce un evento eminentemente psicologico: l’esame del teste è anche esame della sua personalità intelligenza, memoria!

Si suole sottolineare la scarsa affidabilità del mezzo di prova poiché il ricordo “difettoso” è prassi.[14]

Dal 1970 e nei due decenni successivi, la psicologia della testimonianza si è occupata prevalentemente dei processi riguardanti l’identificazione del colpevole.

Recentemente la ricerca si è concentrata sul tema della memoria (senza tralasciare le precedenti ed ulteriori problematiche) per due motivi: in primis il ricorrere sempre maggiore di casi giudiziari, nei quali, individui adulti recuperano ricordi “dimenticati” di abusi subiti durante l’infanzia. Il riemergere della memoria suole verificarsi al termine di terapie anche molto lunghe, di rado, tramite flash improvvisi.

“La ricerca si è quindi mossa per capire se e in che misura sia possibile dimenticare per decenni avvenimenti traumatici, e se e in che misura sia poi possibile recuperare a distanza di tanti anni eventi apparentemente completamente dimenticati (…) se sia possibile creare illusioni di ricordo, ossia ricordi che sembrano veri, ma che sono falsi perché relativi ad avvenimenti mai accaduti.”[15]

In secondo luogo, è emerso l’ “effetto pericolosamente distorcente”[16] di interrogatori condotti in maniera inadeguata.

La psicologia testimoniale, ergo, consente di analizzare il testimone, sotto un profilo che va al di là delle norme codicistiche, svelando i complessi meccanismi che sottendono le dichiarazioni rilasciate dallo stesso. In virtù di ciò, Jeremy Bentham[17] spiega cosa sia un teste e sottolinea l’importanza del colmare lacune giuridiche che lo riguardano: “È un ente morale dotato della facoltà di sentire, di percepire, di attendere, di giudicare, di ricordarsi, di immaginare (…). Procedete quindi più oltre: esaminate le anomalie della facoltà di sentire, indagate i gradi di maggiore o minore forza nel percepire (…) svelate le vacillazioni e le infedeltà della memoria (…). Ma credete voi di sortire nel vostro intento leggendo il codice civile o criminale, oppure sommando e sottraendo sui dati offertivi dalla tariffa positiva delle prove?”.[18]

Questa si presenta come una domanda retorica, alla quale, il traduttore della prima versione italiana della Teoria delle prove giudiziarie, Barnaba Vincenzo Zambelli[19] risponde negativamente esortando il giurista “ad aprirsi ad altri saperi”.[20]

Tra la fine dell’800 ed i primi del ‘900 il tema dell’attendibilità della testimonianza è di interesse ormai crescente anche grazie all’avvento della psicologia scientifica[21], la quale, con le ricerche sul comportamento umano, ha contribuito a mettere in crisi le teorie appartenenti alla Scuola Classica.

Le due opposte concezioni della Scuola Classica e Scuola Positiva relative alla testimonianza si sono scontrate durante i lavori preparatori del codice di procedura penale.

La prima scuola ricostruisce la testimonianza secondo tre postulati: completezza della testimonianza, volontaria narrazione della verità, infine, neutralità psichica del testimone. Ne consegue che il teste ha l’abilità di percepire tutto, salvo non abbia l’interesse di mentire, dichiara il vero, poiché risulta essere psichicamente neutrale rispetto al fatto a cui assiste. Qualora si aderisse a tale visione della testimonianza, al magistrato non resterebbe che individuare eventuali legami di interesse tra teste e parti processuali (“Il teste ha qualche interesse a dire il falso? Perché mai dovrebbe mentire?”), in assenza dei quali, la dichiarazione dell’esaminato è da ritenersi veritiera.

Ben presto, questi postulati si son dimostrati fallaci.

La Scuola Positiva si è servita del metodo scientifico-sperimentale negli studi relativi all’essere umano. Essa sottolinea l’utilità pratica di un’indagine psicologica della testimonianza per verificarne l’obiettività e la veridicità.

Come anticipato, agli inizi del ‘900, si è avuto modo di verificare che “non è vero che il testimone vede tutto quello che ha di fronte”[22] in virtù del fatto che le sue capacità di percezione sono limitate ed imperfette. Si è anche accertato che “la deposizione non è un atto completamente volontario, poiché è influenzabile dall’inconscio (…) il testimone può dire il falso per motivi completamente diversi dal suo interesse nel processo (…) non esistono mai testimonianze neutrali su di un reato, perché il fatto cui si assiste è un evento drammatico”.[23]

Gli studi sviluppatisi sin dalle prime intuizioni, consentono attualmente di dichiarare con totale sicurezza che un teste possa riferire il falso, indipendentemente dalla volontà di mentire, ma semplicemente per motivi che attengono alla natura umana stessa.

È esattamente nel contesto giudiziario che i brillanti esiti degli studi di psicologia sperimentale sulle interferenze percettive e mnestiche hanno trovato uno dei più proficui campi di applicazione. Molto spesso, i clamorosi errori giudiziari sono commessi a causa di deposizioni testimoniali errate rilasciate in buona fede. È certamente utopistico pensare di poter evitarli tutti e di colmare la falla sussistente tra verità ed errore, ma la consapevolezza della sua presenza può ridurre il rischio di porla in essere.

Conoscere i meccanismi che regolano l’acquisizione, la conservazione e la rievocazione delle informazioni, permette a chi opera nella pratica giudiziaria “di risalire ai fattori che possono aver influenzato positivamente o negativamente la formazione della testimonianza, ma soprattutto individuare quali sono le cautele da adottare affinché il momento dell’escussione del teste non diventi esso stesso fonte di danneggiamento del ricordo”.[24]

L’oggetto di studio della psicologia della testimonianza è, quindi, l’intero processo di formazione della stessa; tuttavia l’indagine scientifica presuppone di tener conto dell’influenza di fattori quali: età, sesso, ambiente sociale, attività che esercita, eventuali psicopatologie.

Nel complesso, il processo psichico, di cui la testimonianza costituisce il momento terminale, comincia con la percezione dei fatti, alla quale segue la fase denominata dagli psicologi: latenza mnestica. Durante questo stadio i fatti, percettivamente vissuti, sono conservati in uno stato di potenziale efficienza. In ciascuno di questi momenti possono concretizzarsi delle interferenze tali da compromettere la capacità di memorizzare o riferire in merito ai fatti di cui il teste ha fatto esperienza.

In particolare, i ricordi latenti subiscono ininterrottamente l’influenza dell’ambiente, che li trasforma: Gutta cavat lapidem![25]

Ancor prima che il soggetto sia chiamato a deporre, il fatto figura alla sua coscienza in maniera differente a seconda che sia apparso rilevante sin dal momento in cui si è concretizzato, o abbia assunto un carattere di gravità per risonanze dovute alla stampa od opinione pubblica. In queste situazioni il soggetto tenta di rimembrare, riflette, elabora una personale valutazione ed interpretazione, scambia informazioni con altri possibili futuri testimoni, scambiando con questi ultimi impressioni, ancora può cercare di accordare le sue personali percezioni ed i suoi ricordi con quelli di eventuali futuri testimoni, infine può discutere con questi per sostenere la propria personale e diversa visione dei fatti.[26]

Inoltre, prima di considerare falsa una deposizione, è opportuno applicare la teoria comunemente accolta del cosiddetto “vero soggettivo” per cui: la falsità dipende non dal contrato tra dichiarato e accaduto, bensì dal contrasto tra dichiarato e percepito; ne consegue che è falsa non la dichiarazione che diverge dalla realtà oggettiva, ma quella che diverge da tutto ciò che il dichiarante ha visto ed udito.

Così è sintetizzato un tema centrale della psicologia della testimonianza, senza tener conto delle “complicazioni psicologiche” che, sin dal primo stadio della percezione, intervengono per soggettivizzare il “percepito”.

Nel 1909 Fiore elabora il grafico della “descrizione empirica della testimonianza” il quale ben veicola il complesso sviluppo delle fasi percettive e mnestiche che concernono la dichiarazione testimoniale[27]:

a+ x

Fatto che si rivela agli esseri viventi in genere.

(a+ x) +y

Fatto come si rivela allo specifico individuo testimone del processo.

(a+ x +y) + z

Fatto come è registrato dal testimone.

(a+ x +y + z) + b

Fatto come conservato in memoria dal testimone.

(a+ x +y + z + b) + c

Fatto come ricordato ed espresso dal testimone in sede di escussione.

Sin dal primo passaggio si evince come il ricordo non riproduca mai il fatto in sé, bensì consista in una crasi di interpretazione, riproduzione e ricostruzione. Risulta dalla combinazione tra l’evento codificato, le proprie strutture cognitive, il contesto in cui si svolge l’evento, le strategie di recupero del ricordo, nonché il coinvolgimento emotivo dello stesso teste.

Con l’intervento al convegno del 1974 dedicato alla testimonianza nel processo penale, Cesare Musatti, prende coscienza, in qualità di psicologo, che il problema della testimonianza nel processo penale si pone in maniera contraddittoria. Precisamente, né è ipotizzabile che nei processi penali si possa eliminare la prova dichiarativa, né “si può non riconoscere che ogni prova testimoniale è di per sé priva di certezza”.[28]

Le ricerche psicologiche, condotte sull’argomento dedicato alla veridicità della testimonianza, non hanno consentito di delineare la figura del testimone assolutamente veridico e capace di rendere una deposizione completa. È vero che la legge punisce il teste reticente o menzognero, ma anche il teste convinto di dire il vero altera la descrizione dei fatti.

“La tecnica moderna ci fornisce strumenti di registrazione visiva ed auditiva perfezionate al massimo grado. Ci consente di conservare perfettamente quanto è registrato”.[29] Ma non si devono confondere le prestazioni eccezionali di una memoria elettronica (in ogni momento reperibili, riattivabili nella loro forma originaria ergo immutabili) con quelle della memoria umana. Questa segue le leggi della scienza biologica, e come tutti gli altri processi biologici è sottoposta ad una costante trasformazione nel corso del tempo. Il ricordo non è inerte e non è ripescabile in maniera inalterata, è res viva e si comporta come un organismo: può arricchirsi di nuovi elementi, impoverirsi di altri fino ad annullarsi e morire.

L’interpolazione di un ricordo può avere carattere radicale. Questo è il parere dei primi autorevoli studiosi di psicologia della testimonianza, i quali, hanno visto nelle dichiarazioni di Caterina Fort, dopo la condanna all’ergastolo, un tentativo della sua coscienza, di espungere dei fatti raccapriccianti ed inaccettabili.  Quello di San Gregorio a Milano, datato 1946, è uno dei crimini più feroci che la cronaca nera d’Italia abbia mai affrontato. Caterina Fort (“la belva di via San Gregorio”) viene condannata per l’omicidio della moglie del suo amante e dei suoi tre bambini.[30]

La donna ha più volte cambiato versione sui fatti, ma anche dopo l’espiazione della condanna (il Presidente della Repubblica le concede la grazia) ha continua a sostenere di ricordarsi perfettamente di non aver mai toccato i bambini. Diversi studiosi sostengono che nessun interesse muove la Fort a dire il falso al proprio avvocato.

Anche la semplice percezione di un fatto non è un’immagine comparabile ad una fotografia, ove tutto è perfettamente riprodotto. Un’immagine percettiva “presenta zone focali e zone sfuocate e soprattutto una grande varietà di strutturazioni per cui se ci sono diversi osservatori che guardino contemporaneamente da una egual posizione, ognuno ha un’immagine diversa”.[31]

Sicché, piuttosto che ad una fotografia, l’immagine percettiva assomiglia ad un’opera impressionista. Le diverse tipologie di pittura moderna che si allontanano dal verismo hanno, difatti, l’obiettivo di riprodurre la soggettività dell’immagine percettiva!

Chi racconta i fatti, come fa il teste, effettua un’interpretazione, sicché l’avvocato ed il magistrato devono saper “interpretare la sua interpretazione”.

Oggi la normativa sulle indagini difensive riconosce al difensore nuovi spazi d’azione per la ricostruzione del fatto storico. Impone, anche, ulteriori approfondimenti al tema degli aspetti psicologici della testimonianza “che la possibilità offerta alla difesa, di assumere direttamente informazioni da persone in grado di riferire circostanze di rilievo, arricchisce di aspetti inediti”.[32] L’avvocato è solito farsi un’idea dell’attendibilità del proprio cliente, se commette errori nel valutare la sua persona, questo errore resta in privato e può essere corretto e controllato. Diversamente, se sbaglia a giudicare la persona che intervista nell’ambito delle indagini difensive, l’errore si riverbera sull’intero quadro processuale.

Apertis verbis gli studi di psicologia della testimonianza insegnano che le influenze, le pressioni, i suggerimenti esercitati sul testimone e sui suoi ricordi sin dal primo interrogatorio sono destinati a produrre effetti sulla ricostruzione dei fatti che avrà luogo in fase dibattimentale.

Rebus sic stantibus preservare il resoconto testimoniale da eventuali contaminazioni è un’esigenza fondamentale in un processo orientato alla ricerca della verità. Sono indispensabili, perciò, peculiari cautele che assicurino la genuinità del contributo conoscitivo fin dalla fase delle sommarie informazioni in corso di indagini preliminari.[33]

 

 

 

 

 


[1] G. Carofiglio, L’arte del dubbio, Sellerio editore Palermo, 2007, cit. pp. 15-16.
[2] L. De Cataldo, Il contributo della psicologia giuridica nella formulazione e valutazione della prova, in Diritto e Formazione, 2003, fasc., 5, p. 815.
[3] A. D’Ambrosio, La memoria del testimone. La tecnica dell’intervista cognitiva con l’adulto e il minore. Aspetti giuridici, teorici e pratici., contributi di A. D’Avino, E. Volpe, M. Luna, FrancoAngeli, Milano, 2010, p.156.
[4] Giurista italiano (1883-1968), caposcuola della psicologia giuridica italiana, ha partecipato ai lavori della Consulta Nazionale.
[5]Campo di studi che si pone domande e riflette sul mondo e sull’essere umano, indaga sul senso dell’essere e dell’esistenza umana.
[6]Lo studio scientifico delle funzioni vitali degli organismi viventi, animali e vegetali, in condizioni normali.
[7] G. Mazzoni, Psicologia della testimonianza, Carrocci editore, Roma, 2015, p.11.
[8] Louis William Stern (1871-1938) psicologo e filosofo tedesco.
[9] L. De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, Giuffrè, Milano, 1988, cit. p. 38.
[10] Psicologo tedesco (1863-1916)
[11]“Also in 1908, Hugo Münsterburg wrote On the Witness Stand in which he propose dide as that we now know to be true about misremembering and misidentification. Thes ewere the early glimmerings of correspondence between the two fields, but not much materialized for year safter these initial link ages.” W.D. Woody, Psychology and the legalsystem: an interview with Edie Greene, Teaching of psychology, 2003, Vol.30, n.2, p.176.
[12] Autore dal 1905 di Articoli assieme a S. G. Ferrari, E. Ferri, A. Renda, F. Consoni, S. De Sanctis sulla “Rivista di Psicologia”, poi autore di Manuale di Psicologia giudiziaria (1909) e Il valore psicologico della testimonianza (1910).
[13]Cesare Luigi Eugenio Musatti (1897-1989) psicologo, psicoanalista e accademico italiano, fondatore della psicoanalisi italiana.
[14] O. Campisi, La “contaminazione” della prova dichiarativa, in Diritto penale e processo, 2013, fasc. 5, p. 608.
[15] G. Mazzoni, Psicologia della testimonianza, Carrocci editore, Roma, 2015, cit., p.22.
[16] G. Mazzoni, Psicologia della testimonianza, Carrocci editore, Roma, 2015, cit., p.22.
[17] Filosofo e giurista inglese (1748-1832).
[18]J. Bentham, B. V. Zambelli, Teoria delle prove giudiziarie, Tipografia della società belgica, 1842, cit. p. 96.
[19] Docente universitario ed avvocato (1799-1862).
[20] L. De Cataldo Neuburger, Il contributo della psicologia giuridica nella formulazione e valutazione della prova, in Diritto e Formazione, 2003, fasc., 5, p. 816.
[21]Concordemente nata nel 1878, allorché Guglielmo Wundt, a Lipsia, istituisce un laboratorio di psicologia sperimentale. Egli configura la psicologia come una “scienza di laboratorio”, con specifici problemi e metodi sperimentali, diversi da quelli della tradizionale psicologia di derivazione filosofica (legati a speculazioni astratte). Il testo che ha fondato scientificamente questa disciplina è Psicologia fisiologica (1874). Il primo Congresso Internazionale di Psicologia, che ha legittimato la scientificità di questa disciplina, è stato quello di Parigi del 1889.
[22] P. Tonini, Manuale di procedura penale, ventesima edizione, Giuffrè, 2019, cit. p. 1138.
[23] P. Tonini, Manuale di procedura penale, ventesima edizione, Giuffrè, 2019, cit. p. 1138.
[24] S. Priori, Interferenze percettive e mnestiche nel processo di formazione della testimonianza oculare, in Diritto penale e processo, 2009, fasc.2, cit. p. 246.
[25]“La goccia scava la roccia” proverbio latino e metafora: l’acqua non può scavare le pietre, tuttavia, cadendo goccia dopo goccia, e senza sosta, riesce a scavarle con il trascorrere del tempo.
[26] R. Campisi, Psicologia della testimonianza, in Rivista penale, 1989, fasc. 7-8, p. 651.
[27] L. De Cataldo Neuburger, Il contributo della psicologia giuridica nella formulazione e valutazione della prova, in Diritto e Formazione, 2003, fasc., 5, p. 816.
[28] R. Campisi, Psicologia della testimonianza, in Rivista penale, 1989, fasc. 7-8, p. 651.
[29] R. Campisi, Psicologia della testimonianza, in Rivista penale, 1989, fasc. 7-8, p. 652.
[30] Corte d’Assise di Milano, 10 gennaio 1950; Cass. 25 novembre 1953.
[31] R. Campisi, Psicologia della testimonianza, in Rivista penale, 1989, fasc. 7-8, cit. p. 652.
[32] L. De Cataldo Neuburger, Il contributo della psicologia giuridica nella formulazione e valutazione della prova, in Diritto e Formazione, 2003, fasc., 5, p. 816.
[33] O. Campisi, La “contaminazione” della prova dichiarativa, in Diritto penale e processo, 2013, fasc. 5, p. 611.

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Alessia Aversa

Scopre presto la sua passione per la scrittura, così la coltiva iscrivendosi al Liceo Classico. Durante gli studi liceali, viene selezionata per effettuare due brevi programmi operativi nel Regno Unito, tra cui stage lavorativo presso un ufficio di consulenza d'affari. Consegue la maturità classica con il massimo dei voti, elaborando la Tesi: "La parola come strumento di accesso relativistico alla realtà" e dimostrando già un’attenzione particolare per le potenzialità performative delle parole. Frequenta la Facoltà di Legge dell'Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" e sostiene esami extra-curriculari in psicologia sociale e filosofia morale. Consegue la Laurea in Giurisprudenza Magistrale cum laude e menzione alla carriera accademica, discutendo la Tesi in Diritto Processuale Penale: "La manipolazione della memoria del testimone". In quest'ultima confluiscono non solo studi giuridici relativi all'istituto della testimonianza ed alla cross-examination, ma anche studi -da autodidatta- di psicologia della testimonianza, scienza della memoria e neuroscienze. Anche in materia testimoniale, sottolinea la rilevanza delle potenzialità delle parole, in quanto tese alla ricostruzione della verità processuale. Iscritta al Registro Praticanti Avvocati dell'Ordine di Bari, svolge la pratica forense presso uno Studio Legale che opera in ambito civile e penale, fornendo anche consulenza a società. E' selezionata come tirocinante per l'ufficio legale e contenzioso di ARPA Puglia, dove attualmente svolge un'attività intensa e proficua.

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