La responsabilità medica da malposizionamento del paziente in sala operatoria

La responsabilità medica da malposizionamento del paziente in sala operatoria

Una recente sentenza del Tribunale di Como (23.4.2018 – Giudice Alessandro Petronzi) offre validi spunti di riflessione sugli effetti della completezza della cartella clinica  ed in particolare del registro operatorio.

La controversia è stata instaurata da una donna di 25 anni che era stata operata in data 20.10.2011 in regime di day-hospital e che, immediatamente dopo l’intervento, aveva presentato problematiche post-operatorie (gonfiore del piede dell’arto operato) che si erano aggravate nei giorni seguenti sino alla comparsa di una paralisi dell’arto operato.

La paziente si era quindi sottoposta a visite ed esami clinici dai quali erano emersi possibili profili di responsabilità della struttura sanitaria per aver disatteso le linee guida applicabili e chiedeva pertanto il risarcimento dei danni patiti.

La struttura sanitaria si costituiva in giudizio e, oltre a chiedere di chiamare in giudizio il medico che aveva eseguito l’operazione per l’eventuale manleva/regresso, si difendeva adducendo la correttezza dell’operato per aver l’equipe rispettato tutti i protocolli e le linee guida applicabili nel caso di specie.

La CTU espletata nel corso del giudizio rinveniva la causa della lesione ad una reazione imprevedibile al farmaco anestetico oppure all’errato posizionamento della paziente sul tavolo operatorio ed in particolare ad una compressione/stiramento della struttura nervosa da posizionamento sul letto operatorio e/o da modificazioni posturali dell’arto in corso di intervento durante le manovre chirurgiche, ciò anche in funzione del fatto che la paziente presentava almeno un fattore di rischio per lesione da posizionamento, cioè l’obesità.

Il Giudice del Tribunale di Como condannava tanto la struttura quanto il medico al risarcimento dei danni patiti dall’attrice, infatti i convenuti non fornivano prova della corretta esecuzione del suddetto posizionamento né di aver tenuto conto del fattore di rischio della paziente di subire una lesione da malposizionamento.

Infatti la struttura si limitava a produrre documentazione relativa alle prassi seguite nella struttura, inidonea a dimostrare la corretta applicazione delle stesse da parte del personale sanitario in occasione dello specifico intervento eseguito sulla persona dell’attrice, tantomeno la corretta esecuzione della predetta manovra sulla paziente risultava dalla cartella clinica poiché la stessa si presenta sotto tale profilo del tutto incompleta.

Giova rammentare che nella cartella clinica deve essere sempre riportata la copia del registro operatorio, ossia il verbale di ogni intervento, che costituisce atto pubblico nonché parte integrante e rilevante della cartella clinica (circolare 900.2/2.7/190 del 14 marzo 1996 del Ministero della Sanità); il registro deve riportare alcune informazioni fondamentali tra i quali, per quel che in questa sede interessa, la descrizione chiara e particolareggiata della procedura attuata.

Deve altresì evidenziarsi come la problematica del corretto posizionamento del paziente sul lettino chirurgico sia di particolare rilevanza tanto da essere inquadrato come obiettivo specifico dal Ministero della Salute nella Raccomandazione per la sicurezza in sala operatoria (ottobre 2009), sulla scia delle linee guida OMS 2008 “Guidelines for Safe Surgery”, tale raccomandazione mira all’implementazione degli standard di sicurezza tramite l’applicazione della Checklist per la sicurezza in sala operatoria, da recepirsi in ogni struttura sanitaria pubblica e privata.

Il Ministero della Salute, sul presupposto che la non corretta preparazione e/o il non corretto posizionamento rappresenta un punto critico degli interventi chirurgici e può causare gravi conseguenze ai pazienti, richiede che i direttori sanitari adottino procedure specifiche per il corretto posizionamento dei pazienti e per le tecniche da adottare nelle diverse tipologie di interventi, con particolare riferimento alle manovre da evitare. Tale procedura deve anche prevedere un addestramento specifico degli operatori poiché tutti i componenti dell’équipe operatoria condividono la responsabilità per il corretto posizionamento del paziente, collaborano all’identificazione ed esecuzione della posizione che garantisce la migliore esposizione chirurgica in relazione al tipo di intervento ed alla tecnica chirurgica, compatibilmente con la necessità di assicurare la sorveglianza anestesiologica e le condizioni ottimali di omeostasi respiratoria e cardiovascolare, evitando di procurare danni fisici da compressione e/o stiramento di strutture nervose, articolazioni e/o tessuti.

Nel caso che ci occupa la direzione sanitaria aveva predisposto la procedura aziendale ma nel registro operatorio non vi era alcuna traccia della tecnica utilizzata per posizionare la paziente né vi era menzione della valutazione di specifici fattori di rischio: il registro, e quindi la cartella, erano incompleti.

La Giurisprudenza di legittimità è ormai ferma nell’affermare che l’omessa o incompleta compilazione della cartella clinica non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente ma anzi consente di far desumere l’esistenza di nesso causale tra l’operato del medico ed il danno patito dal paziente (Cass. 27561/2017, Cass. 12218/2015). Del pari, è stato affermato che “la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente” (Cass. 6209/2016).

Tali principi in ordine all’onere della prova sono stati pedissequamente applicati dal Tribunale di Como che, in assenza di informazioni sulla procedura di posizionamento applicata alla paziente e quindi dinanzi ad una cartella clinica incompleta, ha desunto il nesso causale tra le lesioni occorse alla donna e l’operato dei sanitari, pertanto condannati al risarcimento dei danni patrimoniali, biologici e morali.


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