La responsabilità penale del medico specializzando

La responsabilità penale del medico specializzando

Al giorno d’oggi, nel pieno di una crisi pandemica del tutto eccezionale, il personale sanitario soffre della cronica assenza di forza lavoro ed, anche per tale motivo, stiamo assistendo ad una vera e propria chiamata alle armi dei medici specializzandi. Invero, un pressante timore che spinge i giovani medici a scegliere branche mediche rispetto a quelle chirurgiche è il pericolo di incappare in responsabilità di tipo civile o penale. Purtroppo, sempre a causa dell’esiguo numero di medici disponibili, si assiste a casi patologici di «indebito utilizzo degli specializzandi in funzione di ‘supplenza’ del personale strutturato», ma anche alle ipotesi, fisiologiche, di svolgimento dell’attività assistenziale richiesta nell’ambito del percorso di formazione medica, comprensiva delle guardie mediche eventualmente svolte. Dunque, vengono affidati incarichi a medici specializzandi che non sono ancora dotati di preparazione appropriata e non è difficile ipotizzare un loro possibile coinvolgimento in procedimenti giudiziari. In questa sede ci occuperemo della responsabilità di tipo penale.

All’interno della scala medico-gerarchica, una posizione di vertice è assunta dal medico primario. Quest’ultimo non può sottrarsi alla posizione di protezione assunta nei confronti dei propri pazienti, adducendo che gli stessi sarebbero stati affidati ad altri medici del reparto o che il suo apporto è necessario solo in casi complessi. Su tale questione si è espresso il Supremo Collegio che ribadendo il ruolo apicale, assunto dal medico primario, vi è da escludere la possibilità di invocare il principio di affidamento, non potendo il primario dismettere il suo ruolo di supervisore sull’operato del reparto di propria pertinenza (Cass. 4985/2014). Invero, lo stesso profilo di responsabilità si ripercuote sul capo dell’equipe della sala operatoria, il quale non esaurisce il suo ruolo alla sola fase dell’operazione chirurgica richiesta, ma conserva la propria posizione di garanzia anche nella fase successiva, al fine di assicurare che al paziente sia garantita l’opportuna assistenza (Cass. 20584/2010). Egli, pertanto, potrebbe essere responsabile per omicidio colposo anche se il paziente morisse durante il decorso post-operatorio.

Venendo adesso a trattare delle posizioni di garanzia assunte da personale medico “secondario”, quali l’aiuto medico, il medico specializzando e il personale infermieristico è evidente che il primo riveste il ruolo di successore al primo medico chirurgo, subentrando nella medesima posizione di garanzia, in precedenza assunta dal primario; sull’aiuto medico incombe in primis, verificare che la terapia prescritta dal primario sia adeguata alle esigenze del paziente per evitare così possibili complicanze. Invece, il ruolo più arduo da dover codificare è assunto dal medico specializzando, il quale è titolare di una posizione di garanzia in relazione alle attività personalmente svolte, purché nel rispetto delle direttive impartite (cd. autonomia vincolata) e sotto il controllo del medico gerarchicamente sovraordinato. Lo specializzando deve rifiutare l’assunzione d’incarichi che non ritiene ancora in grado di poter svolgere, poiché, altrimenti ne diviene responsabile a titolo di cd. colpa per assunzione. Dunque, nel caso si verificasse l’evento infausto si potrebbe configurare una cooperazione colposa (art. 113 c.p.) tra lo specializzando, che ancora non gode di appropriata preparazione, e il medico tutore, che non verifichi il corretto adempimento dei compiti impartiti allo specializzando. Infine, non va dimenticato che anche il personale infermieristico abbia una propria posizione di garanzia, in quanto gravati dall’obbligo di supervisionare, il periodo della convalescenza del paziente ricoverato in reparto.

Alla stregua di tutto ciò, l’assenza di una responsabilità disciplinare in senso stretto, derivante dall’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la struttura ospedaliera nella quale il m.s. presta la propria attività genera, evidentemente, l’impossibilità di valutare la prestazione del m.s. ai sensi dell’art. 2104 cod. civ. e, conseguentemente, di esercitare il potere sanzionatorio tipico del datore di lavoro ed elemento caratteristico della subordinazione, anche nei rapporti di pubblico impiego privatizzato, e della posizione di soggezione gerarchica del lavoratore, tutto ciò però non comporta l’assenza della responsabilità penale in capo allo specializzando. Quest’ultimo, anche se gode dell’assenza di una responsabilità disciplinare è vincolato alle direttive ricevute dal tutor, ma viene comunque qualificato come titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente in relazione al concreto e personale ruolo svolto all’interno della condotta lesiva, sia pur condividendo la responsabilità, secondo i rispettivi ambiti di pertinenza e incidenza, con i medici strutturati.


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Carlo Giannoni

ha conseguito la laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università Federico II di Napoli. Ha svolto lo stage di formazione teorico-pratica presso gli uffici giudiziari, nella sezione dibattimento penale della nona Sezione Penale del Tribunale di Napoli, ai sensi dell'art. 73 del d.l. 69/2013, e ha collaborato con studi legali penali e civili.

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