La responsabilità penale sanitaria ai tempi del Covid-19: inadeguatezza dell’art. 590 sexies c.p.

La responsabilità penale sanitaria ai tempi del Covid-19: inadeguatezza dell’art. 590 sexies c.p.

La particolare crisi pandemica che il mondo intero sta vivendo negli ultimi mesi ha visto giocare il ruolo fondamentale di medici ed operatori sanitari, che dall’inizio della diffusione del Sars-Cov-2 hanno dovuto gestire – e ancora oggi gestiscono- una seria emergenza sanitaria.In Italia, in anticipo rispetto ad altri Paesi europei, il personale sanitario ha saputo fronteggiare un’ondata di diffusione del virus repentina, lavorando senza sosta contro un nemico invisibile e mettendo la propria attività al servizio della collettività: in assenza di un sistema di protezioni sufficientemente preparato, questo ha comportato l’assunzione di rischi e pericoli notevoli, che hanno coinvolto l’incolumità del personale e non solo.In un primo momento l’impegno di medici e operatori sanitari è stato accolto come l’operato di veri e propri “eroi”, un esercito in battaglia per tutelare la vita e la salute dei cittadini. Ben presto, però, si è assistito a un progressivo mutamento dell’opinione pubblica sull’operato dei sanitari.L’evoluzione dello scenario emergenziale, specie nelle zone del Paese più colpite dall’epidemia, ha infatti richiesto di coordinare appropriatezza clinica e proporzionalità delle cure e di utilizzarle come criteri nella scelta del percorso terapeutico a cui sottoporre un paziente; a tale esigenza è poi corrisposta la necessità di una corretta allocazione generale delle risorse sanitarie. Compiti, questi ultimi, di non facile esecuzione, che hanno condotto a scelte sanitarie non sempre condivise e accompagnate dalla inerme consapevolezza di operare in una situazione di carenza strumentale generalizzata in molte strutture.È così che, con l’allentarsi della pressione epidemica e l’uscita dell’emergenza, ha preso il via il cosiddetto “periodo della rivalsa”: esso è oggi caratterizzato da un inesorabile progredire del numero di contestazioni legali avviate da cittadini che lamentano una cattiva gestione sanitaria dell’epidemia e un’ingiustificata sospensione dell’attività medico-chirurgica per consentire la precedenza al trattamento dei malati di Covid-19.A fronte di questa situazione è legittimo avanzare l’ipotesi che questa nuova “fase” della pandemia comporti importanti – seppur non auspicate – ripercussioni sul tema della responsabilità professionale sanitaria.A confermarlo è il fatto che tale proliferazione di contenziosi civili e avvio di procedimenti penali a danno di medici e operatori sanitari in prima linea nella lotta contro il Covid-19, non sorprende ed era già stata prevista tanto dalle associazioni di categoria quanto da alcune forze di governo.In ottica puramente preventiva, era stato il Senatore Andrea Marcucci (PD) a proporre un emendamento al D.L. “Cura Italia”, con il quale si proponeva l’aggiunta dell’Art. 1-bis, rubricato “Disposizioni in materia di responsabilità per eventi dannosi che abbiano trovato causa nella situazione di emergenza da COVID-19”, che disponeva:

«1. In ragione della novità ed eccezionalità dell’emergenza sanitaria determinata dal diffondersi del COVID-19, in relazione agli eventi dannosi che in essa abbiano trovato causa, la responsabilità civile delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche o private, e degli esercenti le professioni sanitarie di cui all’articolo 7 della legge 8 marzo 2017, n. 24, è limitata ai casi in cui l’evento dannoso risulta riconducibile a condotte poste in essere con dolo o colpa grave.

2. Ai fini del comma 1, si considera colpa grave quella consistente nella palese e ingiustificata violazione dei principi basilari che disciplinano la professione sanitaria, nonché dei protocolli o programmi predisposti per fronteggiare la situazione di emergenza. La valutazione della gravità della colpa è operata tenendo in considerazione anche la situazione organizzativa e logistica della struttura in relazione alla novità ed eccezionalità del contesto emergenziale, al numero di pazienti su cui è necessario intervenire e alla gravità delle loro condizioni, alla disponibilità di attrezzature e di personale, nonché al livello di esperienza e di specializzazione del singolo operatore.

3.Per i fatti indicati nell’articolo 590-sexies del codice penale che si siano verificati durante l’emergenza epidemiologica di cui al comma 1 o che in essa abbiano trovato causa, la punibilità è limitata ai soli casi di colpa grave. La colpa si considera grave laddove consista nella palese e ingiustificata violazione dei principi basilari che disciplinano la professione sanitaria o dei protocolli o programmi emergenziali eventualmente predisposti per fronteggiare la situazione in essere, tenuto conto di quanto stabilito nell’ultimo periodo del comma 2.».

La ratio di tale emendamento era l’esplicita introduzione di un’attenuazione della responsabilità civile e penale del personale sanitario operante nella situazione emergenziale, che consentisse di bloccare il diffondersi del fenomeno problematico della “medicina difensiva”, nonché il preoccupante moltiplicarsi di contenziosi civili e penali a danno di medici, sanitari e strutture sanitarie.

In data 24 aprile 2020, tuttavia, il decreto “Cura Italia” è stato convertito nella Legge n. 27, senza accogliere l’emendamento surrichiamato: per tale ragione, la disciplina applicabile ratione temporis a fattispecie di responsabilità civile e penale dei sanitari resta quella introdotta, e a tutt’oggi prevista, dalla Legge Gelli-Bianco.

Occorre a questo punto chiedersi se la disciplina penalistica prevista da tale Legge sia adeguata per la valutazione di eventuali profili di responsabilità penale a titolo di colpa, che si andranno ad imputare ai medici e agli operatori sanitari che hanno operato durante l’emergenza sanitaria da Covid-19.

La suddetta Legge Gelli-Bianco aveva, invero, fatto passi in avanti rispetto alla disciplina previgente, dettata dal Decreto Balduzzi (convertito nella L. n. 189/12), intervenendo per limitare i casi di responsabilità colposa del sanitario al ricorrere di alcune circostanze e affidando un ruolo centrale al rispetto delle linee guida medico/sanitarie da parte del personale medico nell’esecuzione della propria attività.

Sul punto, giova rammentare che la disciplina generale dispone che la responsabilità penale del medico – la quale sorge quando la violazione dei doveri professionali costituisce un reato previsto dal codice penale oppure è punita da disposizioni di leggi speciali – sia colposa, ai sensi dell’art. 43 c.p., quando il medico o l’operatore sanitario abbiano commesso il fatto penalmente rilevante per negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline.

La colpa c.d. generica, dunque, può consistere: – nella “negligenza”, cioè nell’omesso compimento di un’azione doverosa; – nell’ “imprudenza”, cioè nella violazione di un divieto assoluto di agire con particolari modalità; – nell’ “imperizia”, cioè in una carenza di cognizioni o di abilità esecutive nello svolgimento di attività tecniche o professionali.

Tratto comune delle regole di diligenza, prudenza e perizia è la finalità preventiva o cautelare che deve avere carattere esclusivo, ossia la finalità di evitare che dalla condotta dell’agente possano derivare eventi dannosi o pericolosi prevedibili (1).

Tali regole possono essere contenute in norme di fonte pubblica o privata che, però, devono distinguersi dalle leggi, dai regolamenti o dagli ordini e discipline specifiche la cui inosservanza comporterebbe la sussistenza di una responsabilità, sì per colpa, ma nella fattispecie per “colpa specifica”.

Con l’art. 5 della legge Gelli-Bianco il Legislatore, recependo l’evoluzione giurisprudenziale avutasi in materia, ha introdotto uno specifico articolo nel nostro codice penale, l’art. 590 sexies, con il quale si intende contrastare il diffondersi del fenomeno della “medicina difensiva”, la quale ha natura di causa di non punibilità.

Tale articolo, rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, al comma 2 prevede:

«Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee-guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».

Rispetto alla normativa precedente, disciplinata all’art. 3 del decreto Balduzzi, possono individuarsi tre elementi di novità: il sanitario è esente da qualsiasi responsabilità penale per omicidio o lesioni colpose se ha cagionato l’evento agendo nel rispetto di linee-guida, non solo accreditate, ma anche adeguate alle specificità del caso concreto; l’espresso riferimento all’imperizia da parte del legislatore, il quale ha portato la giurisprudenza a ritenere che le linee guida, la cui osservanza può escludere la responsabilità per colpa, siano solo quelle che dettano regole di perizia; il mancato  espresso riferimento alla colpa lieve.

Nonostante le novità apportate dalla Legge Gelli-Bianco in materia di responsabilità colposa del sanitario, la formulazione dell’art. 590 sexies c.p. ha destato sin da subito serie perplessità applicative ed interpretative, che sono state trattate e risolte emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 21.12.2017 (c.d. Sentenza Mariotti).(2)

Con tale pronuncia le Sezioni Unite hanno affermato che la «sola possibilità interpretativa», consentita dalla lettera del citato art. 590 sexies, è quella che esclude la responsabilità penale del medico in ipotesi di errore colposo (da imperizia) nella fase di esecuzione dell’intervento. Si precisa però che per sostenere che la linea guida sia stata rispettata è necessario che lo scostamento da parte del medico, rispetto alla corretta esecuzione della stessa, sia stato solo marginale, recuperandosi in tal modo il concetto di responsabilità per colpa lieve ritenuta implicita nella formulazione dell’art. 590 sexies c.p.

La Sentenza Mariotti, in continuità con la disciplina previgente, torna quindi ad attribuire alla colpa lieve nell’attività medico-chirurgica un rilievo decisivo per escludere la responsabilità penale del medico/sanitario, rispettoso delle linee guida, per morte o lesioni del paziente; si riconosce infatti all’art. 590 sexies c.p. natura di causa di non punibilità e non già di una causa di esclusione della colpevolezza, atteso che l’agente ha indubbiamente agito con colpa, per quanto lieve, e che pertanto il fatto stesso è rimproverabile.

Per le Sezioni Unite della Cassazione, in definitiva, la Legge Gelli-Bianco, al fine di contrastare il fenomeno della c.d “medicina difensiva” e, con essa, il pericolo di un buon esito delle cure mediche, ha inteso creare «un’area di non punibilità che valga a restituire al sanitario la serenità dell’affidarsi alla propria autonomia professionale e, per l’effetto, ad agevolare il perseguimento di una garanzia effettiva del diritto costituzionale alla salute».

Nonostante gli sforzi interpretativi fatti dalla Suprema Corte di Cassazione, però, la stessa ha continuato a riscontrare problemi nell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 590 sexies ai casi concreti di responsabilità professionale del sanitario in successive pronunce.

Questo perché, da un lato, la giurisprudenza della Cassazione fa fatica a individuare indicazioni normative per ciò che si deve intende per “imprudenza, negligenza o imperizia”, giungendo in numerose pronunce a concettualizzare l’imperizia come “violazione delle regole tecniche della scienza e della pratica (leges artis) con ciò differenziandosi dall’imprudenza e dalla negligenza alla cui base vi è la violazione di cautele attuabili secondo la comune esperienza”. (3)

Dall’altro lato, le criticità interpretative riguardano il contenuto delle linee guida richiamate dall’art. 590 sexies c.p., il quale risulta poco chiaro anche seguendo l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite prima richiamata. Nella sentenza in questione infatti, dapprima si afferma che nelle linee-guida sono contenuti “indici cautelari di parametrazione” per il giudizio penale, le si indica come parametro per l’esatta esecuzione delle prestazioni sanitarie di medici e altri sanitari e si dice che esse non hanno idoneità ad assurgere a livello di regole vincolanti. Poi, in un passaggio successivo, si sostiene che esse sono «parametri tendenzialmente circoscritti per sperimentare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia, non trattandosi però, di veri e propri precetti cautelari, capaci di generare…colpa specifica, data la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto». Infine si arriva ad affermare che «sono regole cautelari valide solo se adeguate rispetto all’obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente».

Detto questo, sia che si ritengano le linee guida un contenitore di mere raccomandazioni dal contenuto generico e defettibile, sia che le si consideri come vere e proprie regole cautelari più o meno rigide, quel che viene messo implicitamente in rilievo è l’esistenza di uno spazio valutativo affidato per intero al sanitario che, in solitudine, è chiamato a individuare l’agire doveroso. (4)

Sul personale medico/sanitario, dunque, graverà non solo l’oscurità del quadro clinico ma anche la difficoltà di riconoscere la situazione di rischio e individuare la misura da adottare per effetto della lacunosa positivizzazione.

Alla luce di quanto detto, l’emergenza sanitaria inedita che il nostro Paese ha vissuto e sta tutt’ora vivendo, rende oggi più che mai gli operatori del diritto dubbiosi sull’adeguatezza della disciplina penalistica prevista dall’art 590 sexies c.p. a fronteggiare le fattispecie concrete che vedono il personale medico/sanitario ancora esposto a responsabilità colposa in svariati casi non disciplinati espressamente da detta norma.

Per alcuni interpreti e operatori del diritto l’inadeguatezza di tale dispositivo normativo, infatti, può riscontrarsi nell’impossibilità: –  di far riferimento al rispetto di linee guida adeguate da parte di medici e sanitari nell’esecuzione della loro attività durante una crisi sanitaria di entità mai fronteggiata prima, data la loro mancanza; – di escludere la responsabilità colposa del sanitario limitatamente ai reati di omicidio o lesioni gravi e, dunque, non per reati diversi quale ad esempio il reato di epidemia colposa; –  di limitare l’esclusione di detta responsabilità colposa al solo caso in cui essa derivi da imperizia non grave.

Si ricorda, infatti, che ai sensi della Legge Gelli-Bianco la responsabilità penale non è esclusa in ipotesi di colpa (anche lieve) per negligenza, imprudenza o  imperizia se il caso concreto non sia regolato da linee guida ovvero se il medico non abbia individuato una linea guida adeguata; oppure se l’evento si sia verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.

Sorgono, dunque, numerosi dubbi sulla possibile applicazione della causa di non punibilità, disciplinata dall’art. 590 sexies c.p., per il personale medico/sanitario operante ai tempi della crisi sanitaria da Covid-19.

Non si può non rilevare, a tal riguardo, che i medici e gli operatori sanitari, al fine di fronteggiare il diffondersi dei contagi e di rimediare agli effetti prodotti dal virus tra i contagiati, hanno agito in condizioni di stress psicologico rilevanti, in alcuni casi in assenza totale o parziale di strumentazione idonea e, in molti casi, in condizioni di ignoranza professionale (data la possibilità per i medici di svolgere attività clinico assistenziali di non aderenza specialistica per carenza di personale nelle strutture sanitarie).

Tali “contingenze” non possono essere sottovalutate nella valutazione del grado di colpa dell’agente.

Si ritiene infatti impossibile, in tale contesto medico-sanitario emergenziale, far valere i principi generali della responsabilità per colpa del personale sanitario, che altrimenti verrebbe chiamato a rispondere ingiustamente per situazioni e fattispecie venutesi a creare in ragione dell’adempimento di compiti e doveri dettati dalle decisioni governative prese per fronteggiare la pandemia.

Ciò esporrebbe medici e operatori sanitari a innumerevoli richieste risarcitorie, nonché a contestuali procedimenti penali volti ad accertare la sussistenza di una responsabilità penalmente rilevante.

Ed allora è necessario chiedersi se sia sufficiente affidarsi all’attività creatrice della giurisprudenza – che verrà chiamata a risolvere le future controversie – all’applicazione dell’art. 2236 c.c. tout court o della normativa penale di cui all’art. 590 sexies c.p.; o se sia necessario invece, che il legislatore intervenga disciplinando in modo più dettagliato la materia.

Ci si dovrebbe auspicare, infatti, un intervento legislativo volto ad attenuare la responsabilità penale del sanitario prevedendo: – una nozione dettagliata di colpa grave; – una limitazione della responsabilità per dolo o colpa grave; – un allargamento dei reati per cui si esclude la responsabilità sanitaria ecc.

Non si tratta di voler ottenere dal Legislatore uno scudo o un’impunità assoluta per i medici e il personale sanitario, ma di veder adottare una disciplina penalistica più incentrata sui principi costituzionali di proporzionalità e ragionevolezza nella valutazione della responsabilità colposa, la quale tenga conto della peculiarità, irripetibilità ed eccezionalità della situazione pandemica in cui il personale medico è stato costretto ad operare.

Che sia questa la strada di apertura verso quella che alcuni definiscono la “quarta stagione della responsabilità sanitaria”? Non resta che attendere le future scelte legislative sul tema.

 

 

 


  1. Cfr Marinucci-Dolcini, “Manuale di Diritto Penale”, VIII edizione, pag. 381.
  2. Cfr Cass. Sez. Un., 21.12.2017, n. 8770, Mariotti.
  3. Cfr Cass. Sez IV, 20.3.2015- dep. 23.4.2015 n.16944.
  4. Sul punto si richiama la motivazione della Sentenza della IV Sez. Penale della Corte di Cassazione 15258/20 pag. 19 e 20.

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