La responsabilità precontrattuale ha natura contrattuale

La responsabilità precontrattuale ha natura contrattuale

La natura giuridica della responsabilità precontrattuale è sempre stata al centro di lunghi dibattiti, stretti tra quanti ne affermano la matrice extracontrattuale e quanti ne rivendicano quella contrattuale: tertium non datur.

Per lungo tempo secondo l’orientamento tradizionale, la responsabilità precontrattuale, ovvero quella sorgente in assenza di contratto ma comunque in sua prossimità, è stata collocata nell’ampio spettro della responsabilità ex art. 2043 c.c. I comportamenti scorretti posti in essere dai privati prima della stipula del formale accordo sarebbero da ricondurre nel generale principio del neminem laedere. Sarebbe proprio l’assenza del contratto a fugare ogni dubbio.

È doveroso, tuttavia, osservare che i privati, nella regolazione dei propri interessi patrimoniali, giungono alla stipula del contratto non senza aver attraversato prima un lungo iter ricco di trattative. L’assenza formale dell’accordo non sarebbe quindi sufficiente ad incardinare, per ciò solo, tale forma di responsabilità in quella della lex Aquilia.  I paciscenti, anche prima del contratto, sono legati da una relazione, generatrice anch’essa di doveri e obblighi (in particolare di buona fede), in grado di qualificare tale situazione come fonte di responsabilità contrattuale. È questo, infatti, l’orientamento di altra parte della dottrina che, esaltando la prossimità della sottoscrizione del contratto nonché la determinatezza dei soggetti interessati (in ciò distinguendosi dalla indeterminatezza della responsabilità ex art. 2043 cc.), riconduce l’ipotesi a quella di cui all’art. 1218 c.c..

Ovviamente, stabilire la natura giuridica della responsabilità precontrattuale non è un mero esercizio accademico, essendo piuttosto rilevanti le conseguenze sul piano giuridico. Così, a seconda che si aderisca al primo o al secondo orientamento, diverso sarà il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno. L’art. 2947 c.c., infatti, fissa nel termine di cinque anni il periodo di prescrizione nell’ipotesi di responsabilità da fatto illecito, mentre quella ex contractu rientrerebbe nei termini di prescrizione ordinaria di cui all’art. 2946 cc., fissata in anni dieci. È evidente, dunque, quanto sia più favorevole quest’ultimo nei confronti del danneggiato.

Ancora, le differenze riemergono in punto di onere della prova, laddove l’esistenza del danno, il suo ammontare, nonché il dolo o la colpa del danneggiante sono onere del danneggiato qualora la responsabilità fosse qualificata come aquiliana.

La questione, data la massima importanza, è stata recentemente affrontata dalla Corte di Cassazione con sentenza n°14188/2016. I giudici di legittimità, nell’affrontare l’annosa questione, in particolare riguardante la natura giuridica della responsabilità precontrattuale avente ad oggetto i negozi stipulati con la Pubblica Amministrazione, hanno destituito ogni dubbio in favore della natura contrattuale. Nello specifico, la Corte di Cassazione riconfermando la natura “qualificata” della relazione sorgente tra il privato e la p.a., ha ricondotto tale rapporto in quelle “variis causarum figuris” di giustiniana memoria, ex art. 1173 cc.

Quest’ultimo, infatti, nell’individuare le fonti delle obbligazioni affianca al contratto e al fatto illecito “qualunque altro atto o fatto idoneo a produrle”. Nata per ricomprendere le figure del “quasi contratto”, quali il pagamento dell’indebito (art. 2033 e ss. c.c.) e la negotiorum gestio (art. 2028 e ss. c.c.), questa classificazione è stata nel tempo estesa a tutti quei rapporti caratterizzati da una relazione qualificata.

Un rapporto in cui, pur mancando formalmente il contratto, sorge una relazione biunivoca, tra soggetti ben individuati, fonte di responsabilità ed affidamento reciproco, e dunque più vicino ad una relazione di tipo contrattuale. Esempi di questo genere sono da sempre ricondotti in giurisprudenza al rapporto alunno e insegnante, medico dipendente di struttura ospedaliera e paziente, istituto di credito  e beneficiario del titolo. Rapporti, questi, tutti accomunati dall’assenza di un accordo ma dalla consistenza di un “contatto socialmente qualificato”.

È in questi casi che si parla, appunto, di “responsabilità da contatto” e di “rapporto obbligatorio senza obbligo di prestazione”. Gli obblighi generatori di responsabilità, in questo caso, non dipenderebbero dall’esistenza di una formale prestazione, data l’insussistenza del contratto, ma dal rispetto degli obblighi di buona fede immancabili anche prima della stipula, di informazione e di attenzione reciproci. Tutti fattori questi, che avvicinano sempre di più siffatte relazioni qualificate al contratto, piuttosto che al torto e al fatto illecito.

Ne deriva, secondo i giudici della Cassazione, che anche la relazione instauratasi tra p.a. e privato durante l’espletamento di un procedimento amministrativo è da ritenersi “qualificata”, sorretta dalle regole della buona fede e della correttezza che tanto inondano il mondo dei contratti. La violazione di questi obblighi, infatti, determina conseguenze sul piano giuridico perfettamente assimilabili alla violazione di obblighi di natura strettamente contrattuale. Infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno già avuto modo di affermare che rientrano nelle controversie di natura contrattuale non solo  quelle riguardanti il mancato adempimento di una prestazione di fonte negoziale, ma anche quelle in cui l’attore alleghi l’esistenza di una regola di condotta legata da una “relazione liberamente assunta tra lui e l’altra parte” e ne lamenti la violazione da parte di quest’ultima (Cass.  24906/2011).

L’affidamento ingenerato dalla relazione di tipo “qualificato” fa sorgere, allora, obblighi reciproci tra le parti che non possono che fondare una responsabilità di tipo contrattuale. La Suprema Corte, infine, precisa il contenuto del rapporto qualificato, intendendo per tale non una qualsiasi relazione, bensì quella destinata al perseguimento di uno scopo, da raggiungere sinergicamente secondo i canoni della buona fede e della correttezza.


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