La responsabilità precontrattuale

La responsabilità precontrattuale

La responsabilità precontrattuale ha posto le basi del diritto privato moderno, percorso da una corrente novatrice nei riguardi di modelli pervenuti, in particolare, dalla tradizione romanistica[1]. La figura in esame è stata, com’è noto, configurata da Rodolfo Jhering[2] poco dopo la metà del XIX secolo al fine di modellare un vestimentum giuridico a quelle situazioni di danno che possono generarsi nella fase preparatoria del contratto[3].

La responsabilità precontrattuale (o culpa in contrahendo), secondo la nozione adottata da autorevole dottrina[4], indica la responsabilità per lesione dell’altrui libertà negoziale, realizzata mediante un comportamento, difforme dai canoni di lealtà, correttezza e serietà, posto in essere in sede di trattative e formazione del vincolo contrattuale.

L’art. 1337 c.c., pur non considerando direttamente il fenomeno del danno e la conseguenza del risarcimento (come avviene, invece, nelle norme sulla responsabilità: artt. 1218 e 2043 c.c.), preferisce focalizzarsi sui comportamenti collegati alla formazione di un contratto e potenzialmente idonei a creare responsabilità verso il danneggiato[5]. Con l’articolo 1337 c.c. il legislatore del 1942 ha, dunque, disciplinato, moralizzandola, la trattativa contrattuale e la formazione del contratto[6].

Il tema della responsabilità precontrattuale è stato oggetto di acceso dibattito relativamente alla sua natura: si sono divise il campo, infatti, ben tre teorie contrapposte. La prima ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale ne sancisce la natura aquiliana[7]: non si può parlare di responsabilità contrattuale poiché la condotta qualificata della responsabilità è anteriore alla conclusione del contratto e quindi il vincolo contrattuale non è ancora sorto obbligando i soggetti coinvolti a rispettare soltanto il principio generale del neminem laedere sancito dall’art. 2043 c.c. Secondo questa corrente di pensiero è importante osservare che mentre in ambito contrattuale “l’obbligazione è posta a carico di un soggetto determinato per soddisfare un particolare interesse individuale” (l’interesse del creditore: ex art. 1174 c.c.), l’obbligo generico (ex art. 2043 c.c.) “è posto a carico dei consociati per tutelare interessi della vita di relazione”[8].

Di diverso avviso è altra parte della dottrina[9] e, di recente, la Suprema Corte[10] che hanno affermato la natura contrattuale della responsabilità precontrattuale: il legame che si instaura tra i soggetti coinvolti nelle trattative è già di per sé idoneo a qualificare tale rapporto come contrattuale, sub specie da “contatto sociale qualificato”.

Una terza tesi, accolta solo dalla dottrina[11], attribuisce alla responsabilità precontrattuale natura autonoma. La tesi del tertium genus di responsabilità si limita ad escluderne la derivazione contrattuale o extracontrattuale e risulta, quindi, essere poco convincente.

Se si tiene in considerazione che l’approdo all’uno piuttosto che all’altro filone interpretativo sulla natura della responsabilità precontrattuale genera diverse ed importanti conseguenze, principalmente sotto il profilo della prescrizione e dell’onere della prova, si può facilmente intuire che la disputa sul tema non è una vexata quaestio meramente teorica ma determina effetti rilevanti anche dal punto di vista pratico.

Ai sensi dell’art. 1337 c.c. (rubricato “Trattative e responsabilità precontrattuale”) “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”. Si comprende facilmente come una norma di portata così ampia e generale abbia determinato una interpretazione vasta di essa. La dottrina ha evidenziato che la responsabilità ut supra “non tutela l’interesse all’adempimento ma l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire coartazioni o inganni in ordine ad atti negoziali”[12]. La trattativa è stata definita come “l’interazione fra le parti del futuro eventuale contratto”[13], le quali hanno interesse che questa venga condotta dalla controparte secondo buona fede. Le parti sono altresì destinatarie del dovere di diligenza nello svolgimento della trattativa: infatti, “la responsabilità precontrattuale si ravvisa [..] in ipotesi di comportamento colposo del soggetto il quale, ad es., porta avanti le trattative senza verificare le sue concrete possibilità d’impegnarsi o conclude il contratto senza accertare le cause d’invalidità che ricadono sotto il suo controllo”[14]. La previsione dell’obbligo di buona fede è da intendersi quale “canone di lealtà” che non esaurisce il tema della responsabilità precontrattuale ma è uno strumento mediante il quale veicolare la tutela della libertà negoziale[15]. Con l’imposizione di un dovere di buona fede a carico delle parti coinvolte, l’art. 1337 c.c. sancisce, secondo la dottrina prevalente, una regola di condotta nella duplice accezione “negativa”, come dovere di astenersi da qualsiasi condotta lesiva dell’interesse altrui, e “positiva”, come dovere di collaborazione finalizzato alla promozione o soddisfazione delle reciproche aspettative. Il dovere di correttezza, quindi, vieta durante la trattativa sia “comportamenti che implichino intenzione o consapevolezza d’infliggere a controparte danni ingiusti” ma “impone anche di evitare comportamenti, fonti di danno ingiusto, che prescindano da siffatta intenzione e consapevolezza e si riconducano piuttosto a superficialità, disattenzione, incompetenza”[16]. La Suprema Corte ha stabilito, altresì, che l’art. 1337 c.c. implica il dovere di astenersi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti “fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto”[17]. Secondo la dottrina minoritaria, invece, la buona fede ex art. 1337 c.c. imporrebbe soltanto obblighi negativi di astensione da comportamenti sleali[18].

Quanto precede legittima a cogliere l’idea che, le informazioni fornite vicendevolmente dai soggetti coinvolti nella fase di formazione del vincolo contrattuale, costituiscono quella che autorevole dottrina ha definito “la materia prima della buona fede precontrattuale”[19]. Su di essa infatti “si misura [..] il grado di probità della parte che, conoscendo dati di fatto importanti per la decisione contrattuale dell’altra, a questa li comunichi; o che, conoscendo una causa di invalidità del contratto, ne dia notizia all’altra parte [..]”[20]. Una tipica espressione della buona fede nelle trattative è rappresentata dal dovere di informare la controparte sulle circostanze rilevanti che attengono all’affare che, lungi dall’essere incentrate sulla convenienza del contratto, possono ricondursi alle obiettive cause di invalidità o inefficacia[21]. Recita infatti l’art. 1338 c.c.: “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto (1418 ss.), non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”.

Come è stato osservato “se c’è un dovere precontrattuale di informare, c’è a maggior ragione un dovere d’informare secondo verità” e di conseguenza la sua violazione determina una responsabilità per false informazioni soprattutto nei casi in cui tale obbligo è previsto espressamente dalla legge (basti pensare alla “responsabilità da prospetto” dell’operatore finanziario)[22].

Si ritiene, altresì, che, in ragione di un ulteriore profilo applicativo della clausola di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto, il contraente debba evitare l’utilizzo di un linguaggio suscettibile di non essere pienamente compreso dalla controparte: infatti, il contraente non si comporta secondo buona fede se approfitta dell’ignoranza dell’altra parte in ordine al significato della clausola accettata[23]. È stato osservato, inoltre, che “al dovere precontrattuale di trasparenza (informare secondo verità, e con chiarezza) possa affiancarsi un dovere idealmente opposto: un dovere di segreto, che vieta di divulgare o utilizzare notizie riservate [..] apprese in occasione della trattativa”[24].

Ulteriore ipotesi di violazione del dovere precontrattuale di buona fede è rappresentato dal recesso abusivo dalla trattativa, che richiede, però, due condizioni: la prima si sostanzia nel giustificato affidamento della controparte alla conclusione di un contratto in fieri[25]; la seconda si concreta nel recesso ingiustificato della controparte, ovvero, come dice la giurisprudenza, nella “rottura priva di giusta causa”[26]. Per ciò che concerne il primo requisito, la giurisprudenza richiede di norma che siano stati determinati tutti gli elementi essenziali del futuro contratto[27]. Per quanto riguarda la seconda condizione ci si chiede quando, in concreto, un recesso possa dirsi giusto. La tesi di Gabriele Faggella, peraltro ripresa dagli studi di Francesco Benatti[28], si basa sulla considerazione che “nel consentimento a trattare la formazione di un contratto sussiste un accordo su questo: che si elabori un progetto fino a che si giunga o alla conclusione del vincolo giuridico o al punto in cui, per la contrarietà degli interessi e pel risultato delle discussioni, l’accordo non sia più possibile. Ora il puro e semplice recesso, senza che le trattative abbiano avuto il loro svolgimento e il loro esito positivo o negativo, importa violazione di quel tacito accordo precontrattuale, e questa violazione rende arbitrario e intempestivo il recesso”[29]. Nella tesi di Faggella emerge il dogma della volontà: egli sostiene infatti che alla base della responsabilità per recesso scorretto dalle trattative vi sia l’accordo a trattare, che “contiene nella sua essenza l’obbligazione tacita di risarcire il trattante delle spese effettive e del costo del lavorio preparatorio precontrattuale”[30].

Sebbene esista, ai sensi dell’art. 1337 c.c., un espresso dovere precontrattuale di buona fede, il legislatore del 1942 non ha però previsto, altrettanto esplicitamente, una sanzione ricollegata alla violazione dello stesso. La dottrina tradizionale ritiene che la violazione di un dovere precontrattuale determini, a carico dell’autore che l’ha posta in essere, soltanto il risarcimento del danno nei limiti del c.d. “interesse negativo”, cioè “dell’interesse a non intraprendere una trattativa come quella che ha esposto il soggetto a subire le scorrettezze di controparte”[31]. Si suole distinguerlo dal c.d. “interesse positivo”, ossia “l’interesse all’esecuzione del contratto validamente concluso”[32]. Il dibattito sul tema non può che arricchirsi, ancora una volta, sulla base degli studi, ancora molto attuali, di R. Jhering, il quale nel suo noto saggio sosteneva: “chi ha colpevolmente causato l’invalidità del contratto non è obbligato a corrispondere l’equivalente della prestazione promessa, in quanto da un contratto nullo non sorge alcun dovere di adempimento. Sarà invece obbligato a porre l’altra parte nella identica posizione patrimoniale in cui si sarebbe trovato se non avesse stipulato il negozio. Ne deriva allora che il danno da risarcire coincide non con l’interesse alla esecuzione, cioè con l’interesse positivo, bensì con l’interesse alla non conclusione del contratto, vale a dire con l’interesse negativo”[33].

Ciò detto, sembra chiara la conclusione alla quale giunge il filosofo e giurista tedesco per quanto concerne la differenza tra interesse positivo e interesse negativo: il primo presuppone la validità del contratto; il secondo attiene all’invalidità[34]. Da una diversa prospettiva non sarebbe nemmeno possibile distinguerli, non sostenendo, ad esempio, che in caso di responsabilità da interesse negativo, il risarcimento debba essere circoscritto al danno emergente, dovendosi, anche in questo caso, tenere conto del lucro cessante e intendendo per danno emergente le spese che un soggetto ha effettuato nella convinzione di stipulare un negozio valido, mentre per lucro cessante la perdita di offerte favorevoli che nel frattempo quel soggetto avrebbe potuto accettare[35].

Ciò significa che nei casi di rottura ingiustificata delle trattative e di stipulazione di un contratto invalido o inefficace, il soggetto danneggiato avrà diritto al risarcimento del danno quantificabile “nelle spese inutilmente erogate e nella perdita di favorevoli occasioni contrattuali”[36]. Al riguardo, è opportuno precisare che il soggetto danneggiato ha l’onere di dimostrare che l’inutile trattativa o l’inutile stipulazione hanno determinato un impedimento relativamente alla possibilità di accettare un’offerta seria e vantaggiosa ovvero di aver ritardato il compimento dell’affare rispetto al momento in cui quest’ultimo risultava essere più favorevole sotto il profilo del prezzo di mercato[37].


[1] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, Vol. II, Giuffrè, Milano 2007, cit., p. 325.

[2] R. JHERING, Culpa in contrahendo oder schadensersatz bei nichtigen oder nicht zur perfektion gelanten vertragen, in Jahrbucher fur die dogmatik des heutigen romischen und deutschen privatrechts, IV, 1861.

[3] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 325.

[4] F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2007, pp. 873 – 874; C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Giuffrè, Milano, 2000, p. 157; F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, Le obbligazioni e i contratti, I, Obbligazioni in genere. Contratti in genere, Cedam, Padova, 1999, p. 552; A. TORRENTE e P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 1999, p. 484; U. DI BENEDETTO, Diritto civile: giurisprudenza e casi pratici, Maggioli, Rimini, 1997, p. 508.

[5] V. ROPPO, Il Contratto, in Trattato di diritto privato (a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti), seconda edizione, Giuffrè, Milano 2011, cit., p. 167.

[6] R. SACCO-G. DE NOVA, Il Contratto, IV edizione, Utet Giuridica, Milano 2016, cit., p. 1183.

[7] C. M. BIANCA, Op. cit., p. 157; Corte Eur. Giust. 17/09/2002 C-334/00, emessa sul noto caso Sacconi c. Wagner il cui nodo era rappresentato “dall’inclusione o meno della responsabilità precontrattuale nella materia contrattuale oppure in quella del fatto illecito, con conseguenze diverse sul fronte dell’individuazione del giudice competente, e la Corte scioglie l’interrogativo facendo leva su una concezione tradizionale del contratto come atto sicché tutte le condotte che ne precedono il perfezionamento vanno considerate sottratte all’area della relativa responsabilità e incluse invece in quella della responsabilità aquiliana”, così S. MAZZAMUTO, La responsabilità contrattuale nella prospettiva europea, in La didattica del diritto civile (a cura di Salvatore Mazzamuto e Enrico Moscati), Giappichelli Editore, Torino 2015, cit., p. 9; si veda, Cass. 05/08/2004 n. 15040 e Cass. 29/07/2011 n. 16735.

[8] C. M. BIANCA, Op. cit., p. 158.

[9] F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Giuffrè, Milano 1963; L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. Comm., 1956, II; C. TURCO, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Giuffrè, Milano 1990; G. FAGGELLA, Dei periodi precontrattuali e della loro vera ed esatta costruzione scientifica, in Studi giuridici in onore di C. Fadda, III, Napoli 1906.

[10] Cass. 12/07/2016 n. 14188; Cass. 20/12/2011 n. 27648; Cass. 21/11/2011 n. 24438.

[11] R. SACCO, Culpa in contrahendo e culpa aquilia; culpa in eligendo e apparenza, in Riv. Dir. Comm., 1951, II, p. 86.

[12] C. M. BIANCA, Op. cit., p. 156.

[13] V. ROPPO, Op. cit., p. 167.

[14] C. M. BIANCA, Op. cit., p. 157.

[15] Ibidem.

[16] V. ROPPO, Op. cit., p. 168.

[17] Cass. 29 settembre 2005, n. 19024.

[18] E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Giuffrè, Milano, 1953, pp. 81-82.

[19] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 341.

[20] Ibidem.

[21] C. M. BIANCA, Op. cit., p. 163; nota 25: COSTANZA, in Il contratto, Silloge in onore di Giorgio Oppo, I, Padova, 1992, 219; GRISI, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990.

[22] V. ROPPO, Op. cit., p. 171.

[23] C. M. BIANCA, Op. cit., pp. 165-166.

[24] V. ROPPO, Op. cit., p. 172.

[25] V. ROPPO, Op. cit., p. 173.

[26] Ibidem.

[27] G. MERUZZI, La responsabilità per rottura di trattative, in Trattato della responsabilità contrattuale, diretto da G. VISINTINI, vol. I, Padova, 2009, p. 792 ss.

[28] F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Giuffrè, Milano 1963, p. 51.

[29] G. FAGGELLA, I periodi precontrattuali e la responsabilità precontrattuale, Roma, 1918, cit., p. 36.

[30] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 330; G. FAGGELLA, Dei periodi precontrattuali e della loro vera ed esatta costruzione scientifica, in Studi giuridici in onore di C. Fadda, III, Napoli, 1906, p. 273 ss.

[31] V. ROPPO, Op. cit., p. 179.

[32] Ibidem.

[33] R. JHERING, Op. cit., p. 15 ss.

[34] A. DE MAURO-F. FORTINGUERRA-S. TOMMASI, La responsabilità precontrattuale, seconda edizione, CEDAM, Padova 2007, cit., p. 360.

[35] F. BENATTI, Op. cit., p. 146; A. DE MAURO-F. FORTINGUERRA-S. TOMMASI, Op. cit., p. 360.

[36] C. M. BIANCA, Op. cit., p. 175.

[37] C. M. BIANCA, Op. cit., p. 176.


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