La responsabilità professionale dell’infermiere di triage

La responsabilità professionale dell’infermiere di triage

Uno dei più gravi problemi che il nostro Paese si trova a dover affrontare ogni giorno è dato dal sovraffollamento dei Pronto Soccorso; numerosi pazienti, infatti, si recano sempre di più in ospedale per farsi visitare, aumentando in molti casi il numero dei codici bianchi e verdi (casi non urgenti) ed innalzando, così, i tempi di attesa.

Questo fenomeno, peraltro, può comportare conseguenze anche fatali, perché magari la valutazione clinica del paziente viene fatta in ritardo o in modo approssimativo o, ancora, in maniera errata.

Ma, in caso di esiti infausti, di chi è la colpa?

Quando un paziente giunge in Pronto Soccorso, la prima operazione che viene svolta dall’infermiere di turno è il c.d. “triage”.

Il termine “triage” deriva dal francese “trier” e significa scegliere, selezionare e consiste in una metodica che serve a classificare le persone in relazione al problema evidenziato, per predisporre nel modo più veloce possibile la terapia, il trasporto e il ricovero più adeguato.

L’infermiere di triage ha subito una profonda evoluzione nel corso del tempo, da semplice esecutore di determinate mansioni stabilite dalla legge, a figura professionale autonoma dotata di particolari competenze e requisiti, con una conseguente trasformazione del livello di esperienza.

Egli è il primo punto di contatto tra paziente e struttura ospedaliera, per cui è una figura fondamentale che deve essere formata ed istruita proprio per essere in grado di riconoscere immediatamente l’esistenza di particolari situazioni urgenti in cui è necessario intervenire tempestivamente.

E’ grazie all’assegnazione dei codici colore che viene stabilita la gravità della situazione e, quindi, l’ordine con cui i pazienti verranno visitati dal medico.

L’infermiere svolge, pertanto, la funzione di garante nei confronti dei diritti alla vita ed alla salute dei pazienti e per questo motivo è responsabile delle condotte colpose che ledano i suddetti diritti.

A tal proposito è intervenuta una recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. IV, n. 18100 del 10.04.2017, la quale ha ritenuto sussistenti le condizioni oggettive e soggettive per l’affermazione di responsabilità rispetto al reato di omicidio colposo in capo all’infermiere di triage, il quale aveva violato sia le linee guida del triage, sia le regole di comune diligenza e perizia tenuto conto dei sintomi del paziente (perdita di conoscenza, incontinenza) e dell’acquisita anamnesi familiare. Egli, infatti, aveva assegnato un errato codice colore al paziente (verde, anziché rosso) e l’aveva lasciato presso l’astanteria del Pronto Soccorso senza controlli, né terapie, violando le linee guida del triage e provocando, così, la morte del paziente. Se, infatti, l’infermiere avesse assegnato il codice colore corretto, il paziente sarebbe stato sottoposto, entro 30 minuti, all’elettrocardiogramma e così, si sarebbe potuto intraprendere il corretto percorso diagnostico e terapeutico (per dovere di cronaca si sottolinea che l’infermiere non ha subito, nel caso in esame, una condanna penale per intervenuta prescrizione del reato, ma che la sua responsabilità è stata comunque riconosciuta dalla Suprema Corte ai fini civili).

Insomma, l’infermiere ha numerosi compiti e responsabilità: egli dovrà garantire in maniera continuativa, durante tutto il periodo di apertura del servizio, la funzione di triage; dovrà accogliere e valutare il paziente, sorvegliarlo, provvedere ad una rivalutazione ed effettuare un adeguato passaggio di consegne in caso di fine turno.

Tutto ciò premesso, si può sostenere che il responsabile degli esiti infausti che avvengono in Pronto Soccorso dovuti alla violazione delle linee guida del triage (di cui ogni struttura ospedaliera si avvale) è da ritenersi l’infermiere.


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