La richiesta del titolo abilitativo per la realizzazione di una tettoia

La richiesta del titolo abilitativo per la realizzazione di una tettoia

La realizzazione di alcune opere, normalmente di limitata consistenza e di limitato impatto sul territorio – pergolati, gazebo, tettoie, pensiline, ecc – non sempre rende agevole, per la rilevante incertezza giurisprudenziale e normativa, individuare il limite entro il quale possono farsi rientrare nel regime dell’edilizia libera o, diversamente, assoggettarle ad una mera comunicazione all’Ente o al rilascio di un titolo abilitativo.

L’ambito della pertinenza urbanistica

Al fine di inquadrare la ratio normativa è importante delimitare la nozione di pertinenza, distinguendo la definizione civilistica da quella propria edilizio-urbanistica applicabile ai casi in trattazione.

In merito a tale distinzione, al punto 34 dell’All. A del DPCM del 20/10/2016 la pertinenza viene definita come “Opera edilizia legata da un rapporto di strumentalità e complementarietà rispetto alla costruzione principale, non utilizzabile autonomamente e di dimensioni modeste o comunque rapportate al carattere di accessorietà”.

Invece, secondo l’inquadramento civilistico, gli artt. 817 e ss. c.c. identificano le pertinenze come “cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa” circoscrivendo un elemento oggettivo (ovvero la destinazione durevole a servizio del bene principale) e un elemento soggettivo (ovvero la volontà del possessore del bene principale di porre in un rapporto funzionale il bene pertinenziale).

Dunque, la definizione civilistica di pertinenza è molto più ampia e generica di quella adottata ai fini urbanistici infatti, così come precisato da granitica giurisprudenza, la pertinenza urbanistica deve essere identificata “solo nelle opere prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico”.

Conferma dell’ambito operativo più stringente della definizione urbanistica si rinviene anche a livello normativo. Infatti, l’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” che al comma 1, lett. e.6 stabilisce che sono da definire “interventi di nuova costruzione” gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% di quello dell’edificio principale.

Tale aspetto evidenzia che risulterebbe esclusa dal regime di nuova costruzione, rientrando dunque nella disciplina della pertinenza edilizie, la realizzazione di manufatti con volume inferiore al 20% rispetto alla consistenza dell’edificio principale.

In conclusione, per identificare in maniera più o meno compiuta l’ambito di applicazione della pertinenza edilizia, distinguendola così dal concetto civilistico generale, possono utilizzarsi degli indicatori specifici, ovvero: 1) il presupposto di nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale; 2) il mancato possesso di una destinazione d’uso diversa rispetto alla cosa principale (escludendo dunque la pluralità di destinazioni); 3) carattere durevole; 4) la non utilizzabilità economica in differente modo rispetto alla cosa principale e, dunque, escludendone un autonomo valore di mercato; 5) ridotta dimensione; 6) individualità fisica e strutturale propria purchè garantisca l’accessione ad un edificio preesistente edificato.

Tali elementi rappresentano, come detto, dei meri elementi indicatori in grado di circoscrivere la disciplina di riferimento poiché, per l’applicazione del caso specifico, deve essere fatta autonoma ed attenta valutazione che tenga conto di tutti gli elementi della fattispecie concreta.

Classificazioni tecnico/strutturali degli elementi esterni di maggiore fruibilità dell’immobile

In materia, il D.P.R. n. 380/2001, all’art. 6, elenca l’insieme delle opere di edilizia c.d. “libera”, ovvero quelle opere che non necessitano di nessun titolo abilitativo. Tuttavia, a prescindere dalla natura esemplificativa e riassuntiva che si vuole riconoscere a tale elenco, va evidenziato che al suo interno sono presenti voci di per sé abbastanza generiche in grado di poter abbracciare e regolare opere che non vi sono espressamente richiamate.

La giurisprudenza ha provato ad arginare il fenomeno dell’incertezza definitoria e sul punto si registra un importante contributo giurisprudenziale del Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 306 del 25/01/2017) che, entrando nel merito, ha circoscritto e delimitato la portata delle singole tipologie costruttive.

Infatti, partendo dal caso concreto oggetto della sentenza richiamata, il Supremo Consesso ha fornito una definizione delle diverse tipologie di strutture operando, per esclusione, la loro riconducibilità alla tipologia di costruzione oggetto della fattispecie ed offrendo, allo stesso tempo, uno spunto ed una preziosa ricostruzione utile ad identificare e ricondurre le singole strutture nella fattispecie giuridica di riferimento.

Di seguito, partendo dall’importante contributo fornito dal Consiglio di Stato, si percorrerà una mappa ricostruttiva delle caratteristiche delle singole opere edilizie che maggiormente destano problemi in sede autorizzativa. 

Il pergolato

Il Consiglio di Stato ha avuto modo di evidenziare come il pergolato abbia una funzione e natura prettamente ornamentale. Infatti è costituito da una struttura realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o terrazze e consiste, quindi, in un’impalcatura, generalmente di sostegno di piante rampicanti, costituita da due (o più) file di montanti verticali riuniti superiormente da elementi orizzontali posti ad una altezza tale da consentire il passaggio delle persone.

Il pergolato, per sua conformazione, è una struttura aperta su almeno tre lati e nella parte superiore. La sua funzione ornamentale, insieme alla sua peculiare struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, ha prevalente funzione di sostegno per piante rampicanti attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5409 del 29/09/2011). Per tali peculiari ragioni, la realizzazione di un pergolato non necessita di titoli abilitativi edilizi.

Tuttavia, quando il pergolato viene coperto, nella parte superiore (anche per una sola porzione) con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è assoggettata tuttavia alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie. Si può notare come un elemento che a primo impatto potrebbe apparire irrilevante determina una sostanziale modifica della disciplina edilizio/urbanistica ad esso applicabile. 

Il gazebo

Nella sua configurazione tipica rappresenta una struttura leggera, indipendente e quindi non aderente ad altro immobile edificato, con copertura superiore ed aperta sui lati, realizzata con struttura portante in ferro battuto, alluminio o legno strutturale che può, in taluni casi, essere anche chiuso sui lati solo da tende facilmente rimuovibili.

La veranda.

Nell’adozione del regolamento edilizio – tipo di cui all’art. 4, comma 1 – sexies del D.P.R. n. 380/2001, oggetto di Intesa sottoscritta nel 2016, la definizione di veranda ha trovato un suo riconoscimento nell’Allegato A, secondo cui può essere definita come “Locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili”.

La veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che, all’occorrenza, si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro.

Pertanto, dal punto di vista edilizio, la veranda determina l’inevitabile modifica della sagoma dell’edificio ed un relativo aumento della volumetria richiedendo allo stesso tempo il necessario permesso di costruire per la sua realizzazione.

La pergotenda.

La pergotenda rappresenta una tipologia di struttura di agevole realizzazione che, grazie all’uso di tecniche e materiali del tutto innovativi, rendono meglio fruibili e vivibili gli spazi esterni delle unità abitative.

Tali strutture sono pensate al fine di non soddisfare esigenze “precarie”, garantendo quindi il loro effetto in maniera stabile e duratura.

La pergotanda, tenuto conto della sua consistenza, delle caratteristiche costruttive e della loro funzione, non costituisce un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo.

La pensilina

La pensilina rappresenta sostanzialmente un elemento di arredo, riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici.

L’allegato A del DPCM del 20/10/2016, al punto 38, la definisce “Elemento edilizio di copertura posto in aggetto alle pareti perimetrali esterne di un edificio e priva di montanti verticali di sostegno”.

Dal punto di vista strutturale è caratterizzata da una struttura ancorata al muro perimetrale del fabbricato e, generalmente, si caratterizza per l’apertura su tre lati.

La pensilina, per sua natura, deve essere di limitate dimensioni in quanto la struttura che la sorregge può essere ancorata solo al muro dell’immobile non avendo possibilità di essere implementata da pilastri di supporto o sostegno infissi a terra, altrimenti entrerebbe nel perimetro operativo del portico o loggia.

Dal punto di vista autorizzativo, fungendo la pensilina da limitato elemento di protezione e riparo di porte e finestre, generalmente non necessità di titolo abilitativo seppur, in alcuni casi, comportando una sostanziale modifica del prospetto dell’immobile, alcuni regolamenti edilizi comunali possono richiedere uno specifico titolo abilitativo (soprattutto in luoghi ove sono previsti specifici vincoli paesaggistici).

La struttura

Effettuata la preliminare ricostruzione dal punto di vista tecnico/pratico delle opere, bisogna ora soffermare l’attenzione all’elemento giuridico che identifica la possibilità di assoggettare l’opera a titolo abilitativo.

Dal punto di vista normativo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380/2001, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione in grado di determinare una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio.

Nel caso di specie la norma fa un passo interpretativo ulteriore.

Infatti, ai fini della valutazione dell’assoggettabilità o meno al titolo edilizio, non va presa in considerazione la struttura in sé, intesa quale elemento strutturale di sostegno portante dell’opera, bensì si deve fare una valutazione tout court della realizzanda opera.

Infatti, riprendendo il caso della pergotenda di cui sopra, ai fini dell’applicabilità degli artt. 3 e 10 del D.P.R. 380/2001, l’opera principale ai fini della valutazione edilizio – urbanistica deve essere non la struttura – da intendere quale mero elemento accessorio necessario al sostegno e all’estensione dell’opera – bensì la tenda, poiché è essa a rappresentare l’elemento di fruibilità del bene.

Infatti, così come valutata nella sua completezza, la struttura portante insieme all’elemento di copertura e/o chiusura, non può considerarsi nuova costruzione in quanto non presenta le caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante in grado di comportare una trasformazione del territorio.

La copertura e la chiusura perimetrale, qualora realizzate con materiale privo di quelle caratteristiche di consistenza e di rilevanza (fissità, stabilità e permanenza) che possano connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una costruzione, non configurano una nuova costruzione.

Anche la giurisprudenza di merito ha avuto modo di precisare che qualora ci sia “inesistenza di uno spazio chiuso stabilmente configurato, non può parlarsi di organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 306 del 25/01/2017 e Tar Toscana n. 1627/2016). 

In criterio della precarietà dell’opera

 Altro argomento importante da affrontare riguarda la natura precaria o meno dell’opera da realizzare.

La precarietà dell’opera funge da elemento in grado di circoscrivere l’uso specifico e temporalmente limitato del bene, escludendone dunque caratteristiche atte a soddisfare esigenze permanenti nel tempo.

Il criterio, molto labile nella sua individuazione, opera da elemento indispensabile ai fini della richiesta di un titolo abilitativo per la realizzazione del manufatto.

Tuttavia, il concetto di precarietà, al contrario di quanto generalmente si possa pensare, non dipende dal sistema di ancoraggio al terreno poiché, l’elemento cardine che viene valutato attiene all’idoneità del bene a operare una stabile trasformazione del territorio.

Al fine della valutazione della precarietà dell’opera non sono tanto rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibilità della stessa rilevando, al contrario, la valutazione delle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare ovvero, dalla stabilità dell’insediamento indicativa dell’impegno effettivo e durevole nel contesto territoriale.

Dunque, l’elemento costruttivo non opera come elemento fondamentale nella valutazione della precarietà e quindi del relativo regime autorizzativo, rilevando tuttavia come elemento indiziario importante in quanto, ad esempio, una struttura ancorata al suolo con un plinto in cemento ne fa presumere, oltre ogni ragionevole dubbio, la sua natura duratura nel tempo che ne esclude a monte le esigenze di precarietà.

In conclusione, ai fini della valutazione della precarietà e della richiesta del relativo titolo abilitativo, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che, in via preliminare non opera il criterio strutturale – eventualmente solo indiziario – rilevando, al contrario, il criterio funzionale ovvero l’attitudine del bene a garantire un’utilità prolungata nel tempo alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all’opera dai proprietari.

La volumetria

In materia edilizio/urbanistica il volume edilizio è rappresentato da una costruzione che abbia almeno un piano di base e due superfici verticali contigue.

In pratica, per potersi identificare un volume edilizio, vi deve essere la chiusura di almeno 3 lati del manufatto, caratterizzati da un rapporto di contiguità.

Infatti il volume chiuso è riferito a strutture in cui la parte superiore è contigua alle parti laterali e, ai fini urbanistici, rileva solo l’ambiente coperto e chiuso su tre lati.

Per mero tuziorismo espositivo – rientrando nella nozione tecnica di volume edilizio – si deve tracciare la differenza con il vuoto tecnico che non da vita ad un volume, rappresentando una camera d’aria tra il solaio del piano terra e le fondazioni.

Differente è anche il volume tecnico, intendendosi per tale i locali completamente privi di un’autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinati a contenere impianti serventi ad una costruzione principale per esigenze tecnico funzionali della costruzione stessa (cfr. Tar Campania – Napoli, Sez. VIII, n. 3490/2015).

La giurisprudenza ha così individuato degli indici di riferimento per poter qualificare il volume tecnico. In via preliminare troviamo il parametro di tipo funzionale (identificandosi in rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione); l’impossibilità di soluzioni progettuali diverse (in pratica il volume tecnico non può essere ubicato all’interno della parte abitativa); parametro della mancanza di autonomia funzionale (in quanto servente alla costruzione principale).

La precisazione è necessaria poichè il volume tecnico è escluso dal calcolo della volumetria, a condizione però che non assuma le caratteristiche di vano chiuso – dunque volume edilizio – per sua natura utilizzabile e suscettibile di abitabilità.

Nel caso in cui il volume tecnico – seppur riportato come tale in progetto – sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, deve essere computato ai fini della cubatura. A titolo esemplificativo, ma non esaustivo, vediamo come non rientra nella nozione di volume tecnico il sottotetto qualora abbia un’altezza tale da poter essere suscettibile di abitabilità o, ancora, il vano scala non destinato ad installare impianti tecnologici ma come punto di accesso ad altri ambienti.

In conclusione, l’individuazione ai fini edilizio/urbanistici del concetto di volume urbanistico trova riscontro nel presupposto sostanziale, ovvero nell’idoneità degli ambienti ad ospitare persone e/o attività, determinando variazione degli standards urbanistici (ex D.M. n. 1444/68).

Fatti gli opportuni riferimenti a tutte le caratteristiche utili ad identificare ed applicare la normativa di riferimento e, in via subordinata, fatta la distinzione di natura tecnico/strutturale delle diverse tipologie di costruzioni, entriamo nel vivo dell’argomento della tettoia analizzando con particolare attenzione i suoi elementi strutturali e funzionali utili a valutare il regime delle autorizzazioni che devono essere richieste per la sua realizzazione.

La tettoia

La tettoia, al pari della pensilina, rappresenta nella sostanza un elemento di arredo, riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici.

La definizione tecnica si può rinvenire nel DPCM del 20/10/2016, Intesa con Conferenza Unificata, che ha adottato il c.d. regolamento edilizio – tipo (cfr. pubblicato in G.U. Serie Generale n. 268 del 16/11/2016).

Per tettoia si intende “un elemento edilizio di copertura di uno spazio aperto sostenuto da una struttura discontinua, adibita ad usi accessori oppure alla fruizione protetta di spazi pertinenziali”.

Dal punto di vista fisico/costruttivo è caratterizzata da una struttura portante con travi verticali ancorate ad un muro preesistente del fabbricato e, generalmente, aperta su due o tre lati.

Dal punto di vista strutturale risulta essere molto simile la definizione di portico/porticato che, secondo il punto 39 dell’All. A del DPCM/2016 rappresenta “elemento edilizio coperto al piano terreno degli edifici, intervallato da colonne o pilastri aperto su uno o più lati verso i fronti esterni dell’edificio”.

Notiamo subito un differenziazione solo dal punto di vista terminologico e non strutturale.

Dal punto di vista definitorio, secondo quanto riportato dall’All. A, la tettoia si differenzia dal concetto di portico o loggia per la sua stretta funzione di sfruttamento dello spazio pertinenziale.

Infatti, così come tracciata la differenza tra le strutture, la tettoia rappresenta una struttura di copertura e riparo di spazi pertinenziali e per questo dotata di propria individualità fisica e strutturale rispetto alla costruzione principale.

Al contrario, l’intento del Legislatore nella qualificazione dei termini portico/porticato (per quanto riguarda il piano terra) e di loggia/loggiato (per quanto riguarda i piani superiori) identifica una tipologia di struttura che non ha natura strettamente pertinenziale bensì rappresenta un elemento di continuità ed immediatezza che non sarebbe dotata di una propria autonomia rappresentando parte integrante della costruzione principale.

In tale ultima situazione hanno fondamentale rilievo – ai fini del rilascio del titolo abilitativo – gli elementi dimensionali in grado di incidere sul prospetto di sagoma dell’edificio (dimensione superiore ad 1,50 m di profondità).

In conclusione, per individuare l’ambito di operatività dei concetti di cui all’All. A del DPCM/2016 si deve necessariamente far riferimento alla individualità fisica e strutturale del bene. Se garantisce la sua individualità è configurabile come tettoia, se ne è sprovvista rientra nel novero del portico e/o loggia.

Passando più nel dettaglio della disciplina della tettoia, la giurisprudenza si è trovata in più occasioni a dover affrontare il problema di non poco conto relativo appunto alla possibilità di realizzare una tettoia con o senza il rilascio di un titolo abilitativo.

Partiamo dalla valutazione degli elementi principali.

Per quanto riguarda la natura pertinenziale del bene devono soddisfarsi alcuni requisiti indispensabili: 1) l’opera non deve creare un nuovo volume; 2) l’opera può comportare un nuovo e modesto volume tecnico (cfr. ex multis Consiglio di Stato, n. 406/2015 e n. 4290/2014).

Per l’All. A il bene pertinenziale deve essere legato da un rapporto di strumentalità e complementarità con il bene principale edificato, non potendo essere utilizzato autonomamente e di dimensioni modeste o comunque rapportate al carattere di accessorietà.

Sulla base di tali considerazioni, la pertinenza deve essere priva di autonoma destinazione e la sua creazione deve avere in rapporto funzionale con l’edificio principale, tutto al fine di non incidere sul carico urbanistico.

In aggiunta, come visto in precedenza, l’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 al comma 1, lett. e.6 prevede che sono interventi di nuova costruzione solo quelli utili a creare pertinenze che comportano la creazione di un volume superiore al 20% dell’edificio principale.

L’interpretazione delle norme in combinato disposto porterebbero ad una soluzione del tutto innovativa.

Infatti, l’All. A considera la necessaria strumentalità e complementarità della pertinenza ma, al contempo, si esce dal presupposto della nuova costruzione qualora rientri – ex art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 – nel limite del 20% del volume del manufatto principale, svincolandosi così dal criterio dimensionale che deve essere rapportato al carattere di accessorietà.

La conferma si può rinvenire in una recente sentenza del Tar Campania Salerno che in ottica del tutto innovativa rispetto all’andamento giurisprudenziale costante, si svincola da ogni criterio dimensionale della struttura per porre l’accento sul criterio funzionale dell’opera, così come generalmente inteso dalla natura pertinenziale dell’opera.

La sentenza n. 109/2017 del Tar di Salerno parte dalla ricostruzione dell’art. 10, comma 1, lett. c. che prevede “….gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici e dei prospetti…”.

Nel testo si legge che “…una tettoia in legno ad una sola falda, di forma rettangolare, avente dimensioni di mq. 31,42 ed altezza in gronda di m. 2,50 ed alla gronda di m. 2,65, sul terrazzo di loro proprietà ubicato al primo piano, ad esclusivo servizio di detto piano, poggiante per un lato direttamente sulla struttura esistente del fabbricato e per l’altro su pilastrini in legno. Ebbene, ad …escludere la rilevanza volumetrica della tettoia, sulla scorta di giurisprudenza anche recente (cfr. T.A.R. Molise, Sez. I, n. 43 del 29 gennaio 2016), è il fatto che essa, come si evince dalla stessa descrizione fattane dall’Amministrazione, è aperta su tre lati”

La sentenza fa un passo interpretativo importante sulla necessità della richiesta del titolo abilitativo poiché, accertata la natura pertinenziale dell’opera sulla base del presupposto di strumentalità e complementarità e, accertata la mancanza della creazione di un nuovo volume edilizio in grado di incidere sul carico urbanistico (poiché aperta sui tre lati), si svincola dal criterio dimensionale (poiché trattasi di tettoia di 31 mq) fino ad oggi considerato fondamentale rilevando invece il criterio di carattere funzionale dell’opera rispetto alla sua natura pertinenziale.

In conclusione deve essere fatto un dovuto chiarimento in relazione al recente D.M. 2 marzo 2018, pubblicato nella G.U. 7 aprile 2018 n.81, di “Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera”, ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del citato d. lgs. 222/2016.

Il decreto ministeriale attuativo presenta un glossario delle opere che rientrano nel concetto di edilizia libera – per cui non necessitano di titolo abilitativo – non riscontrando nel testo la presenza delle tettoie.

A questa che potrebbe sembrare una mancanza si deve dare una risposta ben precisa sulla base di quanto argomentato fino ad ora.

Infatti, per la realizzazione di una tettoia non può darsi univoca risposta sulla necessità di richiedere o meno un titolo abilitativo, dovendosi considerare una serie di fattori.

La richiesta di un permesso di costruire che farebbe rientrare la tettoia nel concetto di “interventi di nuova costruzione” e non di mera “ristrutturazione edilizia” deve tenere conto (ex art. 10, comma 1, lett. a del T.U. n. 380/2001) di diversi fattori.

Si deve tenere conto dei presupposti richiesti per le pertinenze (strumentalità e complementarità) e la qualificazione di interventi precari (che non dipendono dalla sistema di ancoraggio al terreno ma dall’idoneità ad operare una stabile trasformazione del territorio), oltre che la possibile modifica di sagoma dell’edificio.

Tutto ciò determina l’inevitabile valutazione, caso per caso, delle modalità e caratteristiche attraverso le quali viene realizzata una tettoia.

L’aspetto valutativo degli elementi presenti nell’ordinamento presenta delle logiche conseguenze anche sul piano di eventuali provvedimenti adottati dall’Amministrazione.

Infatti, qualora il privato trascuri la valutazione del caso specifico e, successivamente, intervenga un atto inibitorio e demolitorio da parte dell’Ente territoriale competente, riveste particolare importanza il contenuto del provvedimento.

L’Amministrazione sarà infatti tenuta a motivare in modo esaustivo il provvedimento essendo necessaria, a tal fine, una corretta e completa istruttoria da parte dell’Ente che sia in grado di rilevare e mettere in luce – trasfondendoli nelle motivazioni del provvedimento – le ragioni che inducono a sostenere che l’opera superi il limite dell’edilizia libera e per tale ragione bisognoso di un atto di autorizzazione.

Conclusioni

Sulla base delle argomentazioni che precedono, non è possibile affermare in maniera univoca se sia necessaria la richiesta o meno di un titolo abilitativo per la realizzazione di una tettoia. A tal proposito, nella valutazione operata in via preliminare dal privato, ed eventualmente in seguito dall’Ente, si devono considerare gli elementi funzionali dell’opera, da valutare in termini di pertinenzialità all’edificio principale, di incidenza – in termini di precarietà dell’opera – sul mutamento stabile del territorio, di modifica di sagoma – per quanto riguarda la valutazione paesaggistica – e, con la innovativa sentenza del Tar Campania – Salerno, si è fatto un passo avanti in relazione alla possibilità di non rilevare il criterio dimensionale in termini di valutazione sulla necessità di richiedere un titolo abilitativo.

Alla luce del recente D.M. del 02/02/2018, entrato a pieno regime il 22 Aprile 2018, introduttivo di innumerevoli novità dal punto di vista applicativo delle opere realizzabile in regime di edilizia libera, si deve sottolineare come la tettoia, così come generalmente intesa, non è stata ricompresa nel glossario delle opere non soggette a titolo abilitativo.

Tale esclusione, tuttavia, non deve erroneamente indurre ad una generale condizione di assoggettabilità alla richiesta di titolo abilitativo dovendo, al contrario, verificare – caso per caso – gli elementi funzionali (e non prettamente strutturali) che caratterizzano l’opera da realizzare.


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Michele Lobrace

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