La rilettura della fattispecie penale di aiuto al suicidio alla luce della scriminante del consenso dell’avente diritto e della legge n. 219/2017

La rilettura della fattispecie penale di aiuto al suicidio alla luce della scriminante del consenso dell’avente diritto e della legge n. 219/2017

Sommario: 1. Introduzione – 2.  Le cause di giustificazioni – 3. Il consenso dell’avente diritto e i diritti personalissimi – 4. La fattispecie dell’aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) – 5. La Corte costituzionale sull’operatività  della scriminante di cui all’art. 50 c.p in caso di aiuto al suicidio – 6. Conclusioni

 

1. Introduzione

La legge n. 219/2017, riconoscendo la centralità del diritto all’autodeterminazione della persona umana, ha disciplinato espressamente il diritto del paziente di rifiutare qualsiasi accertamento o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia, nonché il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso informato prestato, anche quando la scelta del paziente può condurre alla morte.

Questo intervento normativo ha indotto la giurisprudenza e, in particolare, la Corte Costituzionale, ad una rilettura della fattispecie di cui all’art. 580 c.p. nella parte in cui punisce l’aiuto al suicidio, dando rilevanza, al consenso del titolare del diritto alla vita come scriminante per colui che presta l’aiuto al suicidio qualora ricorrono particolari condizioni, ovvero la persona malata è affetta da patologia irreversibile che provoca sofferenze intollerabili  ed è tenuta in vita da un mezzo di trattamento di sostegno vitale.

2. Le cause di giustificazioni

Le cause di giustificazioni, dette anche scriminanti, sono determinate situazioni in presenza delle quali un fatto che costituisce reato è accettato dall’ordinamento in quanto vi è una norma che lo impone o lo autorizza.

Il fondamento logico-giuridico delle scriminanti è dato dal principio di non contraddizione, non potendo l’ordinamento giuridico, da un lato, imporre o facoltizzare un determinato comportamento e, dall’altro, incriminarlo.

Quanto all’individuazione del fondamento sostanziale delle cause di giustificazioni si sono affermati due orientamenti.

Una teoria, aderendo ad un modello pluralistico, tende a negare un fondamento comune e riconduce le scriminanti a principi diversi. Tra i criteri a cui si fa riferimento vi è quello dell’interesse prevalente, dell’interesse equivalente e dell’interesse mancante. Il primo spiega le scriminanti dell’esercizio del diritto, dell’adempimento del dovere, della legittima difesa e dell’uso legittimo delle armi. Il secondo giustifica la scriminante dello stato di necessità e il terzo quella del consenso dell’avente diritto.

Secondo un altro orientamento, tutte le cause di giustificazioni hanno un fondamento comune, individuato da alcuni autori nella mancanza di un danno sociale non contrastando la condotta con gli interessi della comunità. Altri autori fanno riferimento ad altri criteri come il bilanciamento degli interessi.

Ugualmente discussa è la collocazione sistematica delle cause di giustificazioni nella struttura del reato.

Sulla base della concezione bipartita sono due gli elementi costitutivi del reato: il fatto tipico e la colpevolezza. Secondo tale teoria, le cause di giustificazione si collocano all’interno del fatto tipico e costituiscono elementi negativi dello stesso nel senso che essi devono mancare affinché sia integrato il fatto tipico.

La concezione tripartita assegna alle cause di giustificazione una collocazione autonoma. Infatti, secondo tale teoria, sono tre gli elementi costitutivi del reato: il fatto tipico, l’antigiuridicità, (o assenza di cause di giustificazione) e la colpevolezza.

La scelta tra l’adesione alla concezione bipartita o a quella tripartita rileva anche sul piano applicativo e, in particolare, con riguardo alle formule assolutorie utilizzabili dal giudice in caso di configurabilità delle scriminanti. Invero, aderendo alla concezione bipartita il giudice dovrà pronunciare sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste”; aderendo a quella tripartita il giudice dovrà pronunciare sentenza di proscioglimento “perché il fatto non costituisce reato”.

3. Il consenso dell’avente diritto e i diritti personalissimi

Tra le scriminanti, di recente, è venuta in rilievo quella disciplinata dall’art. 50 c.p., il consenso dell’avente diritto su cui è intervenuta anche la Corte Costituzionale.

Occorre rilevare che essa giustifica l’azione lesiva o pericolosa di beni altrui nei casi in cui la vittima della condotta abbia manifestato validamente il suo consenso. In questo caso la pretesa punitiva dello Stato viene meno a fronte della volontà del soggetto che può disporre del diritto di rinunciare alla sua tutela.

Ai fini dell’operatività della scriminante è necessario che il consenso sia validamente prestato e che, quindi, sia libero e spontaneo. Inoltre, deve essere attuale, informato e spontaneo. Sotto il profilo della validità,  esso deve provenire da un soggetto che ha la capacità di agire.

Infine, altro requisito fondamentale è che il consenso deve riguardare diritti disponibili. In merito, non sorgono dubbi sulla disponibilità dei diritti patrimoniali; viceversa problematica è la possibilità di disporre di diritti personalissimi. In questo caso, occorre evidenziare che non esiste una preclusione generale prevista dal legislatore, dovendosi distinguere i diversi beni che possono venire in rilievo.

Con riguardo alla salute, l’art. 32 Cost. prevede la possibilità per ognuno di decidere i trattamenti sanitari a cui sottoporsi, salvo quelli obbligatori per legge.

Con riguardo all’integrità fisica, ai sensi dell’art. 5 c.c., essa può essere oggetto di atti di disposizione purchè non comportino menomazioni fisiche permanenti o irreversibili e non siano in contrasto con la legge, l’ordine pubblico e il buon costume. Tuttavia, non si considerano lesivi dell’integrità fisica gli interventi che determinano una diminuzione permanente ma finalizzata a scopi terapeutici.

Per quanto concerne i diritti all’onore, all’identità personale e alla dignità, in analogia all’art. 5 c.c., essi sono considerati disponibili per limitazioni circoscritte e secondarie ma non per atti di disposizione che comportino una loro totale abolizione o che siano contrari alla legge, al buon costume e all’ordine pubblico.

4. La fattispecie dell’aiuto al suicidio (art. 580 c.p.)

Con riguardo al bene della vita, esso è sempre stato considerato un bene assoluto e irrinunciabile, a prescindere dalla volontà del titolare. Ciò si desume, in particolare, dallo stesso codice penale che ha previsto due ipotesi di reato: l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p) e l’istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p).

Con riguardo all’art. 580 c.p., occorre rilevare che la norma prende in considerazione tre ipotesi di condotte: la determinazione del suicida verso il gesto estremo, il rafforzamento di un proposito suicida già esistente nonché l’agevolazione del soggetto nell’esecuzione del suicidio.

Le prime due condotte possono consistere in un contributo materiale o morale; invece, l’aiuto al suicidio consiste in una condotta necessariamente materiale. In merito all’elemento soggettivo è richiesto il dolo.

Ai fini della punibilità, l’art. 580 c.p. prevede come requisito essenziale che il suicidio sia portato a termine. Se questo non si verifica, la punibilità è esclusa, salvo che il tentativo di suicidio abbia arrecato lesioni gravi o gravissime al soggetto suicida.

L’art. 580 c.p. non prevede alcuna scriminante in caso di aiuto al suicidio posto in essere con il consenso del soggetto suicida.

Tale norma ha accesso un dibattito dottrinale e giurisprudenziale atteso che non tiene conto del diritto del malato all’autodeterminazione.

Invero, l’art 580 c.p. è frutto di una ideologia fascista che vedeva il suicidio con disvalore in quanto sottraeva lavoro alla collettività. Quindi, era tollerato ma non accettato come diritto.

Tale norma oggi, non prendendo in considerazione determinate situazioni in cui la persona risulta affetta da patologia irreversibile che provoca atroci sofferenze, sembra in contrasto con un ordinamento costituzionale che pone al centro la persona con la sua dignità e la sua libertà di autodeterminazione.

L’inattualità della fattispecie dell’aiuto al suicidio è venuta in rilievo in particolare per quei casi che vedono coinvolti soggetti in fin di vita che si recano all’estero per praticare l’eutanasia con l’aiuto di familiari o persone di fiducia che, in tal modo, pongono una condotta riconducibile all’art. 580 c.p..

Infatti, la mancata previsione e disciplina dell’eutanasia nell’ordinamento italiano esclude la possibilità di porre in essere qualsiasi condotta agevolatrice o d’aiuto alla morte, anche di tipo terapeutica, con il consenso dell’avente diritto.

Di fronte a questo “vulnus” normativo, la giurisprudenza ha dimostrato un’apertura, riconoscendo in alcuni casi l’irrilevanza penale delle condotte agevolatrici della morte in pazienti che si trovavano in stato vegetativo e di irreversibile ripresa delle funzioni vitali, valorizzando il diritto del malato all’ autodeterminazione.

Emblematico è stato il caso Welby nel 2007 che ha riguardato un uomo affetto da una malattia invalidante tale da costringerlo alla respirazione artificiale e all’ immobilizzazione. In tal caso il Giudice per l’Udienza preliminare ha assolto il medico che aveva staccato il respiratore artificiale rilevando come il consenso prestato dal paziente di rifiutare le cure fosse un diritto inviolabile ex art. 32 cost; pertanto, la condotta del medico rientrava nella scriminante dell’adempimento del dovere ex art 51 c.p[1].

5. La Corte costituzionale sull’operatività della scriminante di cui all’art. 50 c.p in caso di aiuto al suicidio

Nel 2017 è stata introdotta la legge n. 219 recante “ norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” che all’ art. 1 comma 5, riconosce il diritto di rifiutare , in tutto o in parte gli accertamenti diagnostici o il trattamento sanitario[2] indicato dal medico, anche revocando in qualsiasi momento il consenso già prestato. Il rifiuto per essere valido deve provenire da soggetto cosciente e capace di intendere e volere. Qualora il paziente esprime il proprio rifiuto, il medico deve avvertirlo sulle conseguenze di tale decisione, promuovendo ogni azione di sostegno al paziente. E’ dovere del medico rispettare la volontà del paziente anche qualora la decisione del malato può condurre alla morte.

La legge, all’art. 2, prevede anche che il medico, tenendo conto della volontà del paziente, debba astenersi dall’ostinazione a trattamenti terapeutici e/o diagnostici dai quali non si possa attendere alcun beneficio per la salute del soggetto malato o un miglioramento della qualità di vita dello stesso. Perché si possa parlare di “accanimento terapeutico” occorre che vi sia la documentata inutilità e inefficacia delle terapie, la gravosità del trattamento, l’eccezionalità dei mezzi terapeutici.

I principi espressi nella legge 219/2017 e in particolare la rilevanza data al diritto di autodeterminazione del malato hanno indotto la giurisprudenza ad una rilettura della fattispecie dell’aiuto al suicida nel caso che ha riguardato DJ Fabo, affetto da una grave patologia irreversibile e che procurava allo stesso sofferenze fisiche e psichiche intollerabili. Questi si era fatto accompagnare in una clinica svizzera per praticare il suicidio assistito da Marco Cappato , il quale poi si autodenunciava ai Carabinieri e veniva, pertanto, rinviato a giudizio dinanzi alla Corte d’Assise di Milano per induzione e aiuto al suicidio.

Sul caso, a seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata in merito all’art. 580 c.p., la Corte Costituzionale si è espressa con due pronunce.

Il 23/10/2018 la Consulta, per evitare una pronuncia di illegittimità costituzionale, ha rinviato di un anno la decisione, auspicando un intervento legislativo chiarificatore.

Successivamente, in assenza di tale intervento, con la sentenza del 22/11/2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma nel punto in cui l’art. 580 c.p. non esclude la punibilità di chi ha agito con il consenso dell’avente diritto, espresso con le modalità degli artt. 1 e 2 della legge n. 219/2017.

La Corte ha evidenziato la violazione di due principi costituzionali, ovvero del principio di proporzionalità delle pene di cui agli artt. 3 e 27 Cost. atteso che la norma penale prevede per l’aiuto al suicidio la stessa pena dell’istigazione al suicidio, nonché del diritto all’autodeterminazione terapeutica di cui agli artt. 2 e 32 Cost. Con riguardo a quest’ultimo, la Corte ha precisato che esso può prevalere sul diritto alla vita a patto che ricorrano determinate condizioni: la persona malata deve essere affetta da patologia irreversibile e che provoca sofferenze intollerabili; il malato deve essere tenuto in vita da un mezzo di trattamento di sostegno vitale; la decisione di porre fine alla vita deve essere libera e consapevole, assunta con le garanzie previste dagli artt. 1 e 2 l.219/2017.

Con questa sentenza la Corte Costituzionale ha cercato di colmare un vuoto normativo, operando un bilanciamento tra la tutela della vita, non più vista come diritto assoluto e la libertà di autodeterminazione, statuendo la preminenza di quest’ultima e del rispetto della dignità, fissando al contempo dei precisi paletti per evitare rischi di abuso nei confronti di persone vulnerabili.

6. Conclusioni

All’udienza del 23 dicembre 2019 , Marco Cappato è stato assolto dalla Corte di Assise di Milano che, riconoscendo l’operatività della scriminante del consenso dell’avente diritto e aderendo alla teoria tripartita,  ha utilizzato la formula di insussistenza del fatto.

Dopo questa vicenda, nonostante il monito della Corte costituzionale ad intervenire per colmare il vuoto normativo, il legislatore non è ancora intervenuto sebbene esistano cinque proposte legislative depositate in Parlamento.

Questa lentezza dell’iter legislativo è comprensibile se si considera la difficoltà del legislatore di conciliare due principi, rilevanti sia dal punto di vista etico che giuridico, ovvero quello del diritto alla vita e della sua difesa e quello dell’autodeterminazione e della dignità umana, principi su cui esistono posizioni contrapposte e inconciliabili.

 

 

 


Bibliografia
CONSULICH F., Lo statuto penale delle scriminanti. Principio di legalità e cause di giustificazioni: necessità e limiti, 2018;
DI PENTIMA M.G., il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento. Commento alla l. n. 219/2017;
MILANESI L. , Istigazione e aiuto al suicidio. Evoluzione giurisprudenziale e dichiarata illegittimità dell’art. 580 c.p, 2020.

[1] Sentenza del 23 luglio 2007  n. 2049.
[2] L’art. 1, comma 5 della l. 219/2017 chiarisce che sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione,  su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.

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