La ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge e l’ex coniuge

La ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge e l’ex coniuge

Sommario: 1. I beneficiari della pensione di reversibilità – 2. I criteri di ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge e coniuge divorziato

1. I beneficiari della pensione di reversibilità

La pensione di reversibilità è un istituto avente finalità solidaristica e consiste in un trattamento economico erogato dall’INPS in favore dei familiari in caso di decesso di un pensionato o di un lavoratore che ha maturato il diritto alla pensione.

Tra i beneficiari vi sono innanzitutto il coniuge, indipendentemente dal regime patrimoniale adottato (comunione o separazione dei beni), e l’unito civilmente. Hanno poi diritto a tale prestazione previdenziale i figli minorenni, i figli inabili al lavoro (indipendentemente dall’età), i figli maggiorenni che frequentano scuole e non superino il 21° anno di età ed i figli maggiorenni che frequentano l’università, purché non superino il 26° anno di età.

In assenza del coniuge e dei figli, o in caso di insussistenza, in capo a questi, dei requisiti di legge, il diritto alla pensione spetta ai genitori del dante causa, purché al momento della sua morte non abbiano compiuto il 65° anno di età, non siano titolari di pensione e risultino a carico del deceduto. In assenza del coniuge, dei figli e dei genitori, hanno diritto all’erogazione della pensione i fratelli celibi e le sorelle nubili del dante causa, a condizione che siano inabili al lavoro, non siano titolari di pensione e siano a carico del pensionato deceduto.

La pensione di reversibilità è pari ad una quota percentuale della pensione già liquidata o che sarebbe spettata al lavoratore deceduto. Le aliquote di reversibilità sono stabilite dalla legge: se il dante causa lascia unicamente il coniuge, a quest’ultimo spetta il 60% della pensione; se lascia il coniuge e un figlio, a costoro spetta l’80%; se invece lascia il coniuge e più figli, ad essi spetta il 100% del trattamento di reversibilità.

Anche l’ex coniuge, in taluni casi, ha diritto alla pensione di reversibilità. La legge n. 898/1970 (legge sul divorzio), infatti, all’art. 9, comma 2, prevede, per il coniuge divorziato, il diritto alla pensione di reversibilità, a condizione che non sia passato a nuove nozze e che sia titolare dell’assegno divorzile, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24041/2019, ha stabilito che il provvedimento con il quale il tribunale riconosce l’assegno di divorzio non deve necessariamente precedere la morte del coniuge, ma è sufficiente che tale assegno sia riconosciuto prima che il coniuge divorziato introduca la domanda di attribuzione di una quota della pensione di reversibilità.

Il diritto all’assegno divorzile, inoltre, secondo la giurisprudenza (Cassazione n. 4107/2018) funge da presupposto per tale prestazione previdenziale anche qualora la relativa pronuncia non dovesse essere ancora passata in giudicato.

2. I criteri di ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge e coniuge divorziato

Nel caso in cui il dante causa abbia contratto nuovo matrimonio dopo il divorzio, il trattamento di reversibilità deve essere ripartito tra il coniuge superstite ed il coniuge divorziato che abbia i requisiti sopra descritti. Questo avviene in forza della duplice funzione solidaristica della pensione di reversibilità, che al coniuge superstite garantisce l’ultrattività della solidarietà coniugale, consentendo la prosecuzione del sostentamento che prima era assicurato dal reddito del coniuge venuto a mancare, e che all’ex coniuge permette di poter contare sui mezzi adeguati che, prima della morte del dante causa, erano garantiti dall’assegno divorzile.

L’art. 9, comma 3, della legge sul divorzio prevede che le quote spettanti al coniuge superstite e al coniuge divorziato siano stabilite dal tribunale con sentenza, tenendo conto della durata dei matrimoni.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 159/1998, avevano interpretato tale disposizione nel senso che quello della durata dei matrimoni fosse un criterio rigido ed esclusivo.

La Corte d’appello di Trento, nello stesso anno, aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale concernente tale disposizione, così come interpretata dalle Sezioni Unite. Infatti, se la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge ed ex coniuge dovesse essere effettuata esclusivamente in proporzione alla durata legale dei rispettivi matrimoni, si rischierebbe di privare il coniuge superstite che versi in stato di bisogno delle risorse necessarie, mentre l’ex coniuge potrebbe beneficiare di un trattamento di gran lunga superiore all’assegno di divorzio, violando così gli articoli 3 e 38 della Costituzione, che presidiano i principi di eguaglianza e solidarietà sociale.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 419/1999, dichiarò tale questione non fondata, rilevando come la disposizione denunciata si prestasse ad un’altra interpretazione, secondo la quale la valutazione del giudice è ben lungi dal ridursi ad un mero calcolo aritmetico, dovendo, questi, tener conto anche di altri elementi aventi valenza correttiva del risultato matematico ottenuto. Diversamente, spiega il Giudice delle leggi, non troverebbe giustificazione la scelta del legislatore di investire il tribunale del compito di ripartire il trattamento di reversibilità tra coniuge superstite ed ex coniuge, anziché riservarlo all’ente previdenziale, come invece avviene nel caso degli altri familiari, per i quali la ripartizione della pensione è calcolata dall’INPS stesso, sulla base di aliquote stabilite dal legislatore.

In proposito, la Corte di Cassazione ha sancito più volte (da ultimo con l’ordinanza n. 25656/2020), che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite debba essere effettuata non solo sulla base del criterio della durata dei matrimoni (dalla celebrazione alla sentenza definitiva di divorzio), bensì tenendo conto di ulteriori elementi ispirati all’equità, quali la durata delle convivenze prematrimoniali, le condizioni economiche dei due contendenti, così come l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, che non può, però, costituire un limite legale alla quota di pensione a questi attribuibile. La rilevanza di tali elementi correttivi, che non devono necessariamente concorrere, viene determinata dal giudice in base al proprio libero convincimento.

Infine, a proposito dell’elemento della convivenza more uxorio prematrimoniale, la Corte di Cassazione, nella citata ordinanza, ha chiarito che, a differenza degli altri elementi, esso non ha una semplice valenza correttiva dei risultati derivanti dall’esclusiva applicazione del criterio della durata dei matrimoni, ma, qualora il coniuge interessato all’attribuzione di una quota della pensione di reversibilità dia prova della effettività e della stabilità della comunione di vita prematrimoniale, tale elemento acquista un distinto ed autonomo rilievo giuridico.


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Roberta Conti

Abilitata all'esercizio della professione forense. Funzionario addetto all'Ufficio per il Processo presso il Tribunale di Bergamo.

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