La risarcibilità del danno catastrofale o “da lucida agonia”

La risarcibilità del danno catastrofale o “da lucida agonia”

L’odierno contributo verte sull’analisi di una particolare voce di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., ossia il danno morale terminale, detto anche danno catastrofico, catastrofale o da lucida agonia.

Tale aspetto è stato di recente oggetto di pronunce da parte della Suprema Corte che ne ha delineato i contorni, distinguendolo anche da altre voci, tra cui il danno biologico terminale e il danno tanatologico, che verranno accennati nel prosieguo.

L’analisi odierna non può prescindere dalla valutazione di un bene essenziale, la vita, diritto riconosciuto a livello internazionale dall’art. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dall’art. 3 della Dichiarazione Universale di diritti dell’Uomo e che trova un implicito riconoscimento nella categoria dei diritti inviolabili dall’art. 2 della Costituzione Italiana.

Il bene vita, nell’attuale impianto codicistico, assume rilevanza in termini economici in quanto, la sua lesione o aggressione, può essere fonte di risarcimento ex art. 2059 c.c.

Per quanto qui di maggior interesse, si pensi alla fattispecie della morte di un soggetto quale conseguenza di un fatto illecito di terzi e al periodo che intercorre tra l’evento lesivo e la morte stessa.

Ed infatti, laddove la morte rappresenti la conseguenza dell’evento lesivo e intervenga immediatamente dopo questo, la vittima non è in grado di avvertire alcun pregiudizio, né l’arrivo dell’imminente decesso.

In questo caso si parla di danno tanatologico, o anche di danno da perdita della vita, che secondo le Sezioni Unite non legittima una sua risarcibilità sulla base dell’assunto che, purchè si profili tale voce di danno è necessario che venga meno il bene vita, se questo viene meno non vi è più il soggetto titolare del diritto e, di conseguenza, non vi è più il titolare della pretesa risarcitoria (Cass. Civ. S. U. n. 15350/2015).

Si pongono più problemi laddove vi sia un intervallo tra l’evento lesivo e l’evento morte e la vittima possa rendersi conto della situazione ormai irrimediabilmente compromessa.

In questi casi è ipotizzabile un risarcimento per la perdita del bene vita, esclusivamente iure hereditatis, nei confronti dei successori della vittima, nella forma del danno biologico terminale e del danno morale terminale.

Quanto al primo, si intende un danno da invalidità temporanea totale della durata corrispondente al periodo che va dall’inizio dell’evento lesivo a quello del decesso, consistente nella lesione dell’integrità fisica e nelle menomazioni ad essa conseguenti che impediscono al soggetto di attendere alle normali attività quotidiane. Tale intervallo temporale assume una certa rilevanza in quanto, per essere fonte di risarcimento, è necessario che questo sia apprezzabile, a nulla rilevando la coscienza o meno della vittima sul proprio status fisico.

Nonostante si tratti di un pregiudizio temporaneo alla salute e alla vita, secondo la giurisprudenza di legittimità, è massimo nella sua intensità ed entità ed è sempre esistente per effetto della sussistenza di una lesione dell’integrità fisica della vittima nella fase terminale della propria vita (Cass. Civ. Sez. III Ord. n. 21837/2019; n. 18163/2007).

Tale voce di danno è liquidabile avendo riguardo alle tabelle sull’invalidità temporanea ed è un diritto trasmissibile agli eredi (Cass. Civ. Sez. III Ord. n. 16592/2019; n. 3374/2015).

In sede di liquidazione, il Giudice dovrà effettuare una valutazione personalizzata del danno tenendo conto delle circostanze del caso concreto, dell’entità dello stesso, della lesione alla salute così grave da non permettere più alcun recupero (Cass. Civ. Sez. III n. 3374/2015; n. 23053/2009; n. 28423/2008).

In ordine al profilo del lasso temporale, per convenzione legale, ai fini dell’apprezzabilità dell’invalidità temporanea è necessario che la vittima sopravviva almeno ventiquattro ore, non assumendo rilevanza, invece, lo stato psicologico della stessa (Cass. n. 1856/2019).

In ordine al danno morale terminale, detto anche danno catastrofale, ci si riferisce alla “percezione della morte incombente, di una catastrofe non evitabile ma che inesorabilmente si avvicina, annientando tutte le funzioni vitali, fino all’ultimo respiro” (D.G.Pintus, Compendio di Diritto Civile, Nel Diritto Editore, VII edizione, pag. 1082).

Si tratta di una voce di danno che attiene alla psiche del soggetto che, essendo cosciente nell’intervallo di tempo che va dall’evento lesivo all’evento morte, si rende conto dell’arrivo imminente dell’exitus.

Per tale ragione, questo pregiudizio è anche denominato “danno da lucida agonia”.

Sono state elaborate due teorie sulla natura di tale voce di danno.

Un primo orientamento lo considera di natura morale, in quanto non vi sarebbe alcun riferimento al profilo della durata del pregiudizio, tipico del danno biologico, bensì solo all’intensità della sofferenza. Essendo un danno risarcibile esclusivamente iure hereditatis, esso si estrinsecherebbe nella sofferenza, nello sconforto e nel turbamento patito dai familiari della vittima, aspetti insiti nell’animo umano conseguenti alla consapevolezza della rapida dipartita.

Dall’altra parte, si è sviluppato un altro orientamento minoritario a sostegno della tesi della natura biologica di tale profilo, in quanto la particolare intensità della sofferenza patita dalla vittima in quell’intervallo temporale andrebbe a sopperire la valutazione della durata del pregiudizio e della brevità della vita residua.

Il contrasto sul punto è stato risolto dalle Sezioni Unite che hanno privilegiato la tesi della natura morale del danno catastrofale sostenendo che la sofferenza provata dalla vittima si esplicherebbe in un forte ed intenso turbamento che, però, non potrebbe essere ricondotto ad una patologia della psiche, requisito del danno biologico.

Tale voce di danno, non comportando alcuna forma di invalidità fisica, è liquidabile dal Giudice esclusivamente in via equitativa tenendo conto dell’enormità della sofferenza psichica patita e della durata di tale sofferenza (Cass. Civ. Sez. III Ord. n. 16592/2019).

Recente giurisprudenza ha meglio chiarito i contorni di tale profilo di danno, sostenendo che al suddetto danno biologico terminale “può aggiungersi un danno morale peculiare improntato alla fattispecie (“danno morale terminale”), ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall’avvertita imminenza dell’exitus, se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di “lucidità agonica”, in quanto in grado di percepire la sua situazione ed in particolare l’imminenza della morte, essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale ed il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta “manifestamente lucida” (Cass. n. 26727/2018).

Pertanto, a differenza del danno biologico terminale, l’intervallo di tempo non assume in questo caso precipua rilevanza, in quanto viene dato maggior rilievo all’aspetto psicologico – cognitivo, il cosiddetto profilo “dell’intensità della sofferenza provata” (Cass. n. 16993/2015; S.U. n. 8360/2010).

Secondo recente giurisprudenza “il danno “catastrofale” è una forma lessicale descrittiva di un “danno morale” di estrema intensità, in quanto riflette il senso di disperazione vissuto del soggetto in attesa consapevole della morte, evento avvertito come ineluttabile: presupposti indefettibili per il riconoscimento di tale voce di danno sono: 1) lo stato di coscienza e la comprensione, da parte della vittima, della propria irrimediabile condizione clinica e 2) la non immediatezza del decesso seguito alle lesioni, dovendo la vittima permanere in vita per un intervallo di tempo anche minimo, ma oggettivamente apprezzabile” (Cass. n. 29492/2019).

Infine, è da tenere presente che la categoria del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. ha una natura composita, come affermato da vari arresti della Cassazione, in quanto è composto da una molteplicità di voci aventi una rilevanza meramente descrittiva e non una differenza ontologica, tra questi il danno morale, il danno biologico, il danno da perdita del rapporto parentale detto anche esistenziale che, qualora dovessero coesistere, dovranno essere valutati dal Giudice in un’ottica unitaria in sede di liquidazione, in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento.

Conseguentemente, non è possibile computare due o più volte le medesime voci o i medesimi aspetti, differenziati solo mediante diverse denominazioni formali (Cass. n. 1361/2014; n. 3374/2015).

In conclusione, sarà compito del Giudicante valutare la rilevanza dei singoli pregiudizi che vengono in rilievo nelle fattispecie concrete allo stesso sottoposte, al fine di verificare quali profili di danno possano identificarsi e dare tutela ai parenti delle vittime qualora si profilino tutti i presupposti sopra esplicati.


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Marika Zanerolli

Nata a Piazza Armerina nel 1994. Diplomata al Liceo Classico nel 2013. Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Catania nell'ottobre 2018. Diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali "A. Galati" di Catania nel luglio 2020. Ha svolto Tirocinio ex art. 37 L. 111/11 presso la Prima Sezione Civile del Tribunale di Catania e pratica forense presso uno studio legale specializzato in diritto penale. Attualmente, abilitata all'esercizio della professione forense.

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