La sindrome da alienazione parentale e il diritto alla bigenitorialità

La sindrome da alienazione parentale e il diritto alla bigenitorialità

La legge 54/20061ha introdotto nel panorama legislativo italiano il tema della bigenitorialità, prevedendo l’istituto dell’affido condiviso come regola generale. Questa normativa rappresenta un cambiamento radicale rispetto alla situazione previgente, dove l’affidamento congiunto era solo una delle opzioni possibili.

Ora, infatti, entrambi i genitori, nonostante la separazione, possono svolgere il proprio ruolo e non è più necessario scegliere chi dei due sia il migliore ai fini dell’affidamento. È stato stabilito un vero e proprio diritto dei bambini alla bigenitorialità e un diritto dei bambini, quindi, a vivere serenamente con entrambi i genitori.

Nella prassi quotidiana l’affidamento condiviso è, però, spesso, un affidamento esclusivo “mascherato”e, vuoi per ragioni logistiche, vuoi per età dei figli, essi non trascorrono in egual modo il loro tempo con entrambi i genitori, ma necessariamente vengono ad essere affidati a uno dei due, con la possibilità per l’altro genitore di fare visita al figlio in determinati orari e nei giorni prestabiliti. Con la conseguenza che, nonostante la previsione dell’affidamento condiviso, vi sia comunque il rischio che il genitore con cui il minore convive per la maggior parte del tempo possa esercitare sullo stesso pressioni e violenze psicologiche, che possono condurre a una diagnosi di sindrome da alienazione parentale.

La sindrome da alienazione parentale in occasione di separazioni altamente conflittuali è, infatti, spesso dedotta a sostegno dalla richiesta da parte di uno dei genitori dell’attribuzione dell’affidamento esclusivo della prole e della perdita della potestà genitoriale.

La sindrome da alienazione genitoriale o PAS (Parental Alienation Syndrome) è stata studiata per la prima volta dal neuropsichiatra infantile statunitense Richard Gardner il quale, nel 1985, la definì come un disturbo che insorge nei contesti di controversie per l’affidamento dei figli in relazione a separazioni e divorzi o in contesti di violenza domestica2.

Secondo Gardner, la PAS sarebbe frutto dell’adozione da parte del genitore così detto alienante di una tecnica di programmazione dei figli, facendo una sorta di lavaggio del cervello mediante l’utilizzo di espressioni denigratorie nei confronti dall’altro genitore e accuse di trascuratezza nei confronti del figlio, inducendo il minore ad allearsi con il genitore violento e contro l’altro genitore.

Quando ciò accade, anche il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione, ed è questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS, la quale non è applicabile in presenza di semplici abusi o trascuratezza.

Il genitore alienante, quindi, spinge il bambino a prendere delle posizioni nella campagna denigratoria del tutto immotivata nei confronti dell’altro genitore, che viene così ad essere, progressivamente, alienato dalla vita del figlio.

Di solito la figura alienante è il genitore affidatario o quello con cui il minore convive e che fa leva sulle paure del bambino di perderne l’affetto.

Tale atteggiamento alienante può portare a gravi conseguenze sul minore quali narcisismo, indebolimento della capacità di provare simpatia ed empatia, mancanza di rispetto per l’autorità estesa anche a figure non genitoriali, come insegnanti e futuri datori di lavoro.

Vi è da dire che la teoria di Gardner non è stata unanimemente accolta dalla comunità scientifica e, sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista legale, se ne contesta spesso l’assenza di affidabilità.

Manca, invero, un riconoscimento formale di questo disturbo all’interno delle classificazioni internazionali più accreditate, come il DSM (Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorder), mentre la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’Adolescenza, nelle sue linee guida in tema di abuso sui minori pubblicate nel 2007, ha incluso la PAS tra le possibili forme di abuso psicologico.

Oltre alle analisi provenienti dal mondo accademico, si sono espressi criticamente anche i centri anti-violenza, secondo i quali vi sarebbe il rischio di una strumentalizzazione da parte degli autori di violenza sulle donne e sui minori, perpetrata mediante la minaccia di far valere la sindrome da alienazione parentale al fine di sottrarre i figli alle vittime.

L’assenza di certezze da parte degli esperti del settore fa in modo che vi sia una certa difficoltà a riconoscere la validità della teoria dal punto di vista giuridico e ad a porla a fondamento di pronunce giudiziali.

Sull’alienazione parentale si è pronunciata la Corte di Cassazione nel 2013 3con una sentenza nella quale il Supremo Consesso ha evidenziato proprio il mancato riconoscimento della PAS dal punto di vista formale medico-scientifico e la inopportunità di porla, per questo, come fondamento di un ragionamento giuridico.

In tale sentenza la Cassazione non ha negato l’esistenza della sindrome, ma ha statuito che essa non possa essere l’unico fondamento di una decisione così gravosa e altamente incisiva nella vita del minore.

Più recentemente, la Cassazione si è nuovamente pronunciata sul tema4, stabilendo che non compete alla stessa dare giudizi sulla validità o invalidità della teoria scientifica sulla PAS, ma occorre che, nel caso concreto, i giudici  verifichino se vi siano comportamenti ostativi da parte di uno dei genitore nei confronti dell’altro e se vi siano condotte che possono provocare l’allontanamento del minore da uno dei genitori, ai fini del giudizio sull’idoneità genitoriale.

Secondo la Suprema Corte, quindi, la capacità di garantire la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore rientra tra i requisiti dell’idoneità genitoriale. Occorre infatti, sottolinea la Corte, garantire il diritto del minore alla bigenitorialità ed a una crescita equilibrata nei rapporti con entrambe le figure genitoriali, che devono essere costanti e significativi.

La Corte di Cassazione pone, quindi, a fondamento della idoneità genitoriale la capacità dei genitori ad educare i figli nella nuova situazione creatasi a seguito della rottura del rapporto e pone, così, tra i requisiti di idoneità genitoriale da verificare ai fini dell’affidamento, l’accertamento della capacità dei genitori di individuare i bisogni dei figli, tra cui primariamente rientra la capacità di riconoscere le loro esigenze affettive, che si estrinsecano nella continuità delle relazioni parentali.

 


1Legge 8 febbraio 2006 n. 54

2Gardner R.A. The Parental Alienation Syndrome: a guide for mental health and legal professonals, Cresskill, Creative terapeutics, New York ( 1992)

3Cass. Civ. 7041/2013

4 Cass. Civ. 6919/2016


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