La soggettività del condominio

La soggettività del condominio

Prima di affrontare la questione del condominio quale autonomo soggetto di diritto, risulta opportuno definire e distinguere il concetto di personalità giuridica da quello di mera soggettività giuridica.

L’ente assurge a vera e propria persona giuridica, infatti, solo quando esso costituisce un soggetto in tutto e per tutto distinto dai singoli componenti, dotato come tale di un’autonomia patrimoniale perfetta, ovvero di un patrimonio separato rispetto a quello dei suoi membri, sul quale gravano in via esclusiva le obbligazioni contratte.

Al contrario, si parla di mera soggettività giuridica per indicare quell’ente che, sebbene costituisca un centro di imputazione di interessi distinto dai suoi membri, finisca per identificarsi in parte con essi in ragione di un’autonomia patrimoniale imperfetta, e dunque della confusione del proprio patrimonio con quello dei suoi componenti.

Gli enti come le associazioni e le fondazioni, in particolare, acquistano la personalità giuridica attraverso un formale procedimento di riconoscimento, volto a constatare in capo ad essi il possesso di determinati requisiti quali il rispetto delle formalità per la loro costituzione, la liceità dello scopo e l’idoneità del patrimonio al raggiungimento dei propri fini.

Sebbene non sia più richiesto un controllo in ordine alla meritevolezza dell’interesse perseguito, il provvedimento di riconoscimento di tali enti conserva natura concessoria, rientrando quindi nella discrezionalità dell’amministrazione.

Le associazioni e le fondazioni possono tuttavia operare come enti in via di mero fatto, ovvero come semplici soggetti del diritto, qualora non intendano richiedere il riconoscimento o non l’abbiano ottenuto.

Le società, per contro, acquistano la personalità giuridica, o la mera soggettività giuridica nel caso delle società di persone, a seguito di un controllo meramente formale dell’atto costitutivo e dello statuto, e la conseguente iscrizione nel registro delle imprese.

Per le società di persone la suddetta iscrizione assume carattere dichiarativo, non influendo sulla costituzione della società, la quale deve in ogni caso ritenersi avvenuta; ad essa, in particolare, si applicheranno le norme sulla società semplice, dalle quali emerge una responsabilità solidale ed illimitata per le obbligazioni sociali in capo a tutti i soci.

Diversamente, tale iscrizione assume invece carattere costitutivo con riferimento alle società di capitali, le quali, in sua mancanza, non possono ritenersi costituite.

In seno alla dottrina, sono state elaborate nel corso del tempo varie e differenti teorie per giustificare la soggettività giuridica degli enti.

Secondo la tesi della “fictio iuris”, la soggettività giuridica dell’ente sarebbe in realtà fittizia, in quanto nella realtà esso non esiste, andando ad identificarsi con i membri che lo compongono.

In posizione diametralmente opposta si colloca invece la teoria della realità, la quale sostiene l’effettiva sussistenza dell’ente quale soggetto autonomo e distinto dai singoli membri, come tale capace di essere titolare di rapporti giuridici distinti da quelli ad essi facenti capo.

Per la concezione prevalente, in realtà, la capacità giuridica degli enti può essere giustificata attraverso una doppia imputazione dell’atto posto in essere, dapprima alla persona fisica che l’ha compiuto e successivamente alla persone giudica alla quale questo appartiene.

Detto questo, la problematica concernente la soggettività giuridica del condomino assume certamente importanti risvolti pratici, influendo sulla tutela riservata ai creditori, e in particolare sulla possibilità per quest’ultimi di aggredire direttamente il patrimonio dell’ente, incidendo altresì su aspetti procedurali, si pensi alla questione inerente alla possibilità di procedere alle notificazioni presso il condominio, e meramente processuali, quali la legittimazione ad agire dell’amministratore.

Sotto la vigenza del vecchio codice civile, l’opinione dominante riteneva che l’attribuzione di un’autonoma soggettività giuridica al condominio fosse assolutamente incompatibile con la concezione romanistica della comunione, per la quale i diritti di proprietà appartengono ai singoli comunisti e non invece ad una diversa e distinta unità giuridica frapposta tra di essi ed il bene.

L’equiparazione tra condominio e comunione era inoltre confermata dal dato normativo all’epoca vigente, il quale non forniva una disciplina specifica dell’istituto, richiamando in buona sostanza le norme sulla comunione.

Si contestava, inoltre, la mancanza in capo al condominio di un patrimonio autonomo, requisito imprescindibile per il riconoscimento ad esso di un’autonoma soggettività giuridica.

La situazione muta con l’adozione del codice del 1942, il quale, fornendo una regolamentazione ampia ed esaustiva dell’istituto e differenziandolo così dalla comunione ordinaria, mette in dubbio l’orientamento tradizionale, inducendo parte della dottrina a riconoscere al condominio una soggettività giuridica attenuata.

Dalla disciplina così introdotta emergono infatti in maniera evidente le differenze tra condominio e comunione, sia con riferimento alla fase genetica che con riguardo alle modalità di organizzazione.

Con l’introduzione del nuovo codice, in particolare, le norme sulla comunione ordinaria acquisiscono efficacia meramente residuale ex art. 1339 c.c., trovando applicazione solo per quanto non previsto dallo specifico capo dedicato al condominio.

Si osservava, d’altronde, che mentre nella comunione i beni condivisi sono al servizio dei singoli compartecipi considerati atomisticamente, nel condominio i beni comuni sono  invece destinati ad un utilizzo di gruppo.

A sostegno del riconoscimento al condominio di una soggettività giuridica distinta da quella dei singoli condomini si richiamava inoltre la sopravvenuta disciplina fiscale, la quale aveva riconosciuto al condominio la natura di centro d’imputazione di rapporti giuridici non riferibili ai singoli condomini, prevedendone l’iscrizione all’anagrafe tributaria e l’inclusione tra i soggetti sostituiti d’imposta.

Dal canto suo, la giurisprudenza prevalente ha sempre considerato il condominio come un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica distinta da quella dei singoli partecipanti, ritenendo che la legittimazione dell’amministratore derivasse da un rapporto di mandato conferito e revocabile da ciascun singolo condomino, al quale veniva garantita la possibilità di partecipare al giudizio, in luogo dell’amministratore, per far valere un interesse proprio o comune.

In senso opposto, tuttavia, si collocavano alcune pronunce giurisprudenziali, le quali, pur ribadendo la definizione del condominio quale “ente di gestione” privo di personalità giuridica, finivano in realtà per considerarlo come un centro di imputazione di interessi autonomo rispetto ai singoli condomini.

Numerose sono gli asserti della giurisprudenza espressione di tale tendenza: si pensi, per esempio, alla pronuncia con la quale, nell’ambito dei giudizi aventi ad oggetto la gestione di un servizio comune, si è riconosciuta la legittimazione processuale esclusiva dell’amministratore, escludendo quella dei singoli condomini. Si pensi, d’altronde, alla riconosciuta ammissibilità di una servitù costituita tra la proprietà individuale e quella comune, la quale, ove si fosse negata autonoma soggettività al condominio, avrebbe dovuto essere certamente esclusa sulla base del brocardo “nemici res sua servit”, ovvero alla ritenuta applicabilità della disciplina di cui all’art. 2377 c.c. in caso di conflitto di interessi tra condomino e condominio.

A confermare la considerazione dell’ente condominiale quale mero ente di gestione, sprovvisto come tale di autonoma soggettività giuridica, vi ha invece provveduto una recente sentenza delle sezioni unite, le quali, riformando il precedente orientamento in merito, hanno negato la natura solidale della responsabilità dei condomini per le obbligazioni condominiali, escludendo la titolarità in capo al condominio di un patrimonio autonomo e riconducendo la titolarità dei diritti sulle cose o i servizi di uso comune in capo ai singoli condomini.

Secondo il supremo consesso giudiziario, dunque, le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio, relativamente alle spese per la conservazione ed il godimento delle cose comuni dell’edificio, per la prestazione di servizi nell’interesse comune e per le innovazioni determinate dalla maggioranza, devono essere ripartite in proporzione alle rispettive quote.

Si è osservato, in particolare, che in tali obbligazioni si riscontrano certamente la pluralità di debitori e l’unicità della causa, mentre risulta invece discutibile l’unicità della prestazione, la quale, consistendo in una somma di denaro, risulta naturalisticamente divisibile.

Essendo tali obbligazioni naturalisticamente divisibili “ex parte debitoris”, dunque, il vincolo solidale verrebbe meno, prevalendo il carattere intrinsecamente parziario dell’obbligazione, in mancanza di una specifica norma che ne sancisca la natura solidale, non potendo questa presumersi in ragione del carattere non unitario della prestazione.

Tanto premesso, prosegue la Corte, nessuna norma di legge dispone espressamente che il criterio della solidarietà si applichi alle obbligazioni dei condomini, anche l’art. 1115 c.c., infatti – il quale stabilisce che ciascun partecipante alla comunione può esigere che siano estinte le obbligazioni contratte in solido per la cosa comune e che la somma per estinguerle sia ricavata dal prezzo di vendita della cosa – non si applica al condominio, andando a contemplare la cosa comune soggetta a divisione e non invece i beni, gli impianti ed i servizi comuni del fabbricato, i quali sono caratterizzati dalla tendenziale indivisibilità. D’altra parte, osserva il Collegio, tale disposizione ha una valenza meramente descrittiva e non prescrittiva, non imponendo che le obbligazioni indicate debbano essere contratte in solido, ma limitandosi a regolare quelle che concretamente sono state così assunte.

A sostegno della parziarietà delle obbligazioni condominiali, d’altronde, le sezioni unite richiamano l’art. 1123 c.c., il quale prevede esplicitamente che le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni debbano essere sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

Secondo la Corte, infatti, in quanto privo di effettivi riscontri testuali, non convince l’argomento secondo cui la ripartizione prevista da tale norma possa riguardare solo i rapporti interni tra i condomini. Si contesta, inoltre, che il comma 2 dell’art. 1123 c.c. – concernente la ripartizione delle spese in ordine alle parti comuni destinate a servire ai condomini in maniera diversa – possa fungere da ostacolo al riconoscimento della natura parziaria di tali obbligazioni, con la conseguenza che tutte le spese disciplinate dalle norma non possono che essere regolate allo stesso modo.

L’esclusione della solidarietà tra condomini, poi, è motivata dal massimo consesso giudiziario ritenendo che l’amministratore di condominio, raffigurando un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, attribuito pro quota dai singoli condomini, non possa che obbligare quest’ultimi, nei limiti delle attribuzioni di cui all’art. 1130 c.c., solo in proporzione della rispettiva quota di proprietà.

L’orientamento che esclude l’attribuzione al condominio di una soggettività giuridica autonoma rispetto ai singoli condomini è stato nuovamente messo in dubbio dalla recente riforma avvenuta con l. n. 220/12, la quale ha posto in essere alcune norme che sembrano confermare il contrario.

A tal proposito si fa riferimento all’art. 1129, comma 7, c.c., il quale impone l’apertura di un conto intestato al condominio, e all’art. 1129, comma 12, n. 4, c.c., per il quale costituisce grave irregolarità idonea a determinare la revoca dell’amministratore la gestione secondo modalità che possono generare confusione tra il patrimonio del condominio e quelle personale dell’amministratore o di altri condomini.

Si richiama inoltre l’art. 2659, comma 1, c.c., per il quale nelle note di trascrizione concernenti gli atti dei condominii devono essere indicati l’eventuale denominazione, l’ubicazione ed il codice fiscale. Con tale norma, infatti, si ammette implicitamente la titolarità in capo al condominio di un proprio patrimonio, riconoscendo al medesimo la possibilità di effettuare acquisti o trasferimenti dei beni che lo compongono.

Con la riforma, dunque, sarebbe venuto meno l’elemento che più di ogni altro giustificava l’esclusione in capo al condominio di un’autonoma soggettività giuridica, ovvero l’assenza di un patrimonio separato.

In senso contrario, però, si evidenzia come l’art. 2659 c.c. abbia in realtà finalità pratiche, essendo funzionale ad evitare che ciascun condomino debba provvedere alla trascrizione pro quota del medesimo acquisto. D’altra parte, si osserva, il sistema di pubblicità immobiliare ha la sola finalità di rendere edotti i terzi e di descrivere lo stato giuridico di una certa cosa, e non la persona del suo titolare.

Si ribadisce, inoltre, che l’art. 12 c.c. non annovera il condominio tra le persone giuridiche di diritto privato e che l’art. 1117 c.c. continua ad individuare le parti comuni come di proprietà dei singoli condomini e non del condominio; anche l’art. 1223 c.c., d’altronde, continua ad imputare le spese condominiali ai singoli condomini e non al patrimonio del condominio.

A seguito della predetta riforma, la tesi soggettivistica è stata tuttavia accolta anche da parte della giurisprudenza di merito: si è sostenuta, in particolare, la pignorabilità del conto corrente condominiale da parte dei creditori del condominio, senza che sia per gli stessi necessario perseguire i singoli condomini.

Le sezioni unite, d’altronde, hanno di recente ritenuto che in caso di violazione del termine di ragionevole durata del procedimento, qualora il giudizio sia stato promosso dal condominio, sebbene a tutela di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini, ma senza che costoro siano stati parti in causa, la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno spetti esclusivamente al condominio, quale autonomo soggetto giuridico, in persona dell’amministratore, autorizzato dall’assemblea.

Con tale pronuncia, si è così superata la convinzione in base alla quale sussisterebbe in ogni caso una legittimazione concorrente del condomino che preferisse stare in giudizio personalmente a tutela di un interesse esclusivo o comune, riconoscendo anche al condominio, quale ente collettivo, la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno da durata irragionevole del procedimento.

Secondo il supremo consesso giudiziario, pertanto, non può condividersi quell’orientamento che riconosceva tale legittimazione ai soli condomini, ritenendo che l’azione per l’equa riparazione potesse essere esercitata esclusivamente dall’amministratore con il consenso di tutti i condomini.

In conclusione, sembra corretto ritenere come la recente riforma normativa avvenuta in ambito condominiale, nonché l’evoluzione giurisprudenziale in materia, abbiano determinato un parziale mutamento della natura giuridica del condominio, il quale da mero ente di gestione ha assunto attualmente una certa soggettività giuridica, la quale, sebbene non si configuri in termini di vera e propria personalità giuridica, configurando l’ente come soggetto in tutto e per tutto distinto dai suoi componenti, consente comunque ad esso di essere titolare di rapporti giuridici diversi da quelli facenti capo ai singoli condomini.


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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo. L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile. Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale. Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori. Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.

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