La Suprema Corte conferma il sequestro preventivo delle pagine Facebook diffamanti

La Suprema Corte conferma il sequestro preventivo delle pagine Facebook diffamanti

Col naso in aria e lo sguardo impettito puntato sul pc, in tempi di narcisismo imperante, tutti eternamente sotto i riflettori a leggere e scrivere su facebook qualsiasi cosa, anche quelle che non c’entrano nulla, anche  in e su tutti i sensi, come in un libro, di facce e di parole, con un’ampia prefazione caratterizzata da personalissima modestia su grandi qualità, paragonate al divismo di chi sgorga dalle televisioni.

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la recentissima sentenza n. 21521 del 15 maggio 2018, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo tramite oscuramento delle pagine facebook con le quali gli indagati avrebbero pubblicato video e commenti offensivi della reputazione altrui.

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Le norme di riferimento: reato diffamazione art. 595 c.p. – sequestro preventivo art. 321 cpp – diritto di libera manifestazione del pensiero artt. 3, 2 e 21 della Costituzione- artt. 14, 15 e 16 D.Lgs. del 09 aprile 2003 n. 70.

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Il caso: il Tribunale del riesame di Grosseto aveva confermato il provvedimento di sequestro preventivo tramite oscuramento delle pagine facebbok attribuite agli indagati-ricorrenti per il delitto di cui all’art. 595 c.p., che avrebbero ripetutamente offeso la reputazione di più persone.

Decisione tempestivamente impugnata dalla difesa che ha lamentato la violazione dell’art. 321 cpp e la mancanza di motivazione sostenendo che il sequestro preventivo sarebbe applicabile solo in caso di previsione della sua potenziale conferma, all’esito del giudizio di merito, mentre nel caso in esame non sarebbe mai possibile la confisca, con la conseguenziale illegittimità del provvedimento. Si aggiunga a ciò che, in aperta violazione degli artt. 3, 2 e 21 della Costituzione,  il sequestro configurerebbe una vera e propria lesione  del diritto di libera manifestazione del pensiero.

Queste le doglianze.

Il rapporto comunicativo generato da facebook, per la difesa, si risolverebbe essenzialmente in un’ interpretazione di informazioni che sfocia in anticipate e opportune applicazioni delle garanzie previste dalla normativa sulla stampa.

Ne è derivato un effetto rovinoso che ha oscurato la precostituita visuale difensiva e le pagine attraverso le quali la Suprema Corte ha seguito la narrazione.

Precisano i Giudici del Palazzaccio quanto segue.

E’ agevole rispondere alla perplessità circa la prospettata diseguaglianza di trattamento tra siti web e testate giornalistiche on line semplicemente osservandone la diversità: “è evidente che un quotidiano o un periodico telematico, strutturato come un vero e proprio giornale tradizionale, con una sua organizzazione redazionale e un direttore responsabile non può certo paragonarsi a uno qualunque dei siti web innanzi citati, in cui chiunque può inserire contenuti, ma assume una peculiare connotazione, funzionalmente coincidente con quella del giornale tradizionale, sicché appare incongruo sul piano della ragionevolezza ritenere che non soggiaccia alla stessa disciplina previsto per quest’ultimo”. ( così come in sent. Sezioni Unite n. 31022 del 29.01.2015 Cc. – dep. 17.07.2015- Rv. 264089).

Risulta legittimo, pertanto, il sequestro preventivo, ricorrendo i requisiti del fumus e del periculum, di un sito web o di una pagina telematica, per mezzo dei quali si presume sia stata commessa diffamazione.

Ne consegue l’imposizione al fornitore dei servizi internet, anche in via d’urgenza, dell’oscuramento della risorsa elettronica o l’impedimento dell’accesso agli utenti ai sensi degli artt. 14, 15 e 16 D.Lgs. del 09 aprile 2003 n. 70.

L’ equiparazione dei dati informatici alle cose in senso tecnico giuridico preclude e limita così la disponibilità delle informazioni in rete e consente di impedire la protrazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’illecito.

Le forme di comunicazione telematica che si disperdono in molteplici rivoli narrativi e comunicativi come blog o social network, tra cui Facebook, le mailing list, le newsletter, supportano il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, garantito dall’art. 21 Cost., ma non possono godere delle stesse prerogative  costituzionali in tema di sequestro della stampa, anche nella forma on line, poiché rientrano nei generici siti internet e non sono soggette agli obblighi ed alle garanzie previste dalla normativa sulla stampa.

Al di là della oleografia espressiva delle citate forme di comunicazione, resta la realtà della stampa, dallo stile paludato e asciutto, che non si apre a supposizioni erronee e inconducenti.

La pronuncia della Suprema Corte prende così il sopravvento su istanze che si traducono in veri e propri attentati di chi, con belle pagine patinate, è intento a propinare mezze verità deformanti.


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