La traslazione dei beni immobili ed il revirement giurisprudenziale

La traslazione dei beni immobili ed il revirement giurisprudenziale

Sommario: 1. La proprietà immobiliare nel codice civile – 2. Il revirement delle Sezioni Unite del 2021 – 3. I risvolti ed il valore della pronuncia

1. La proprietà immobiliare nel codice civile

La cultura giuridica del nostro Paese seleziona con estrema cura i mezzi attraverso cui è possibile porre in essere il trasferimento di un bene immobile. Si tratta di una tendenza che si è radicata in virtù del cosiddetto “dogma della proprietà”, il quale, nel corso del diciannovesimo secolo rappresentava uno dei cardini essenziali dell’ordinamento. All’ epoca, infatti, il concetto di ricchezza si sovrapponeva a quello di proprietà. Soltanto con lo sviluppo della società ed, in particolare, con lo sradicamento della forma mentis borghese-ottocentesca, la centralità della figura del dominus è arretrata a vantaggio di quella dell’imprenditore. In ambito giuridico, il riflesso più importante di tale evoluzione, lo si riscontra in tema di contratti. La duplice esigenza di agevolare la circolazione della ricchezza e di incrementare i margini riservati all’autonomia privata, ha condotto all’elaborazione di un sistema moderno ed in larga parte ispirato ai principi di diritto europeo ed internazionale[1].

Sebbene il progressivo affrancamento del diritto di proprietà, anche immobiliare, rappresenti un dato inequivocabile, ancora oggi, nel codice civile, residuano istituti giuridici ispirati al ruolo che lo stesso ricopriva in passato. Invero, l’art 922 c.c. stabilisce che i modi di acquisto della proprietà sono solo quelli stabiliti ex lege. La tipicità che connota il primo capoverso della disposizione, tuttavia, viene poi temperata nella parte finale della medesima. Nello specifico, la circostanza che siano menzionati i “contratti” (tra i modi di acquisto a titolo derivativo), lascia presumere che, in virtù della clausola ex art 1322, comma 2, c.c., i privati godano di ampi margini di autonomia nella materia in questione; purché, ovviamente, l’operazione negoziale rispetti il criterio della meritevolezza. Anche l’art. 2643, comma 1, n.1, c.c., laddove dispone che gli atti traslativi di beni immobili debbano essere trascritti, seppure in modo implicito, attribuisce rilevanza al fenomeno. In conclusione, si rammenta che, in relazione ai medesimi atti, la legge, in ossequio a quanto sancito ex art. 1350, comma 1, n. 1 c.c. – nel derogare il principio della libertà delle forme – richiede la forma scritta ad substantiam.

2. Il revirement delle Sezioni Unite del 2021

Le argomentazioni appena esposte inducono a sostenere che la voluntas legis non sia orientata nel senso di “liberalizzare” la circolazione dei beni immobili. Al contrario, il legislatore tende a tipizzare – nel senso di limitare – i meccanismi legali propedeutici al raggiungimento di tale risultato. La giurisprudenza, invece, la quale fa propria una concezione evolutiva della questione, tenta di scardinare quei riflessi ottocenteschi che ostano alla libera traslazione dei predetti beni.

La tesi da ultimo rappresentata emerge nella sentenza n. 21761 del 2021[2]. In tale occasione le Sezioni Unite hanno affermato che gli accordi elaborati in sede di separazione e di divorzio rappresentino mezzi idonei ai fini della produzione dell’effetto oggetto di analisi. Gli Ermellini, per altro, hanno precisato che in dottrina era già stata avanzata l’intenzione di semplificare il meccanismo traslativo de quo. In particolare, si discuteva circa l’opportunità di superare la cosiddetta operazione “bifasica”, la quale prevedeva che in tale sede gli ex coniugi potessero stabilire un assetto meramente programmatico in relazione al futuro trasferimento di beni immobili. In altri termini, la tesi tradizionale sostiene che i predetti accordi non siano dotati di un’efficacia reale. Da qui ne è derivata la loro parziale assimilazione, dal punto di vista effettuale, al contratto preliminare. In entrambi i casi, infatti, le parti si impegnano a prestare il loro consenso ai fini della conclusione di un determinato negozio. La teoria “classica”, inoltre, si avvale anche di un argomento normativo. I suoi sostenitori affermano che in tema di trasferimenti immobiliari, in forza dell’art. 29 comma 1 bis della L. 52/85[3], (come introdotto dall’art. 19 comma 14 del D.l. 78/2010), la legge preveda una riserva di attività a favore del notaio. Le Sezioni Unite, in antitesi con tale ultima obiezione, hanno sostenuto che – ai fini traslativi – è sufficiente che il verbale di separazione consensuale o, in alternativa, la sentenza che recepisce l’accordo divorzile, debbano contenere “i requisiti previsti dalla menzionata norma a pena di nullità”, ossia: l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie. In sostanza, ai fini della positiva circolazione dei beni, deve essere svolto un semplice giudizio di conformità-deducibilità dell’atto al paradigma legale; un’attività che può essere eseguita direttamente dall’ausiliario del giudice (il cancelliere). Infine, preme evidenziare che neppure la disciplina della trascrizione si oppone ad una conclusione di questo tenore. Ai sensi dell’art. 2656 c.c., sia il verbale di udienza, purché debitamente autenticato (art. 2699 c.c.), sia la sentenza di divorzio, possono essere trascritti.

3. I risvolti ed il valore della pronuncia 

Il revirement giurisprudenziale ha prodotto due importanti conseguenze. In primo luogo si esclude che, nel caso in cui uno degli  ex coniugi si rifiuti di prestare il proprio consenso in ordine alla stipulazione del successivo contratto traslativo (definitivo), la parte adempiente al predetto obbligo possa esperire l’azione ex art 2932 c.c. L’immediata produzione dell’effetto de quo, come già affermato, impedisce di assimilare gli accordi in questione al contratto preliminare e, quindi, viene meno ab origine la necessità di esercitare l’azione rimediale.

In secondo luogo viene in rilievo il rapporto che sussiste sta il principio di diritto elaborato dalle SU ed il campo di applicazione dell’azione revocatoria (actio pauliana). L’art. 2901 c.c. stabilisce che il creditore possa demandare la declaratoria di inefficacia relativa degli atti di disposizione compiuti da parte del debitore, sempre che, ovviamente, questi siano ritenuti pregiudizievoli ai fini della futura azione esecutiva (eventus damni). L’azione consente che i beni alienati, seppure fittiziamente ed a vantaggio del solo creditore beneficiario, rientrino nel solco della garanzia generale ex art. 2740 c.c.; cosicché quest’ultimo potrà aggredirli. Ebbene, alla luce della nuova giurisprudenza è evidente che, ad oggi, tanto il verbale di udienza, quanto la sentenza di divorzio, possono danneggiare la posizione del creditore. Quest’ultimo, qualora ne ricorrano i presupposti legali, potrà esercitare l’azione revocatoria al fine di rendere inoperante il trasferimento verificatosi tramite le suddette modalità.

La supremazia dell’organo giurisdizionale da cui promana la sentenza lascia presumere che la medesima sia espressiva di un valore assimilabile a quello della legge. Tale osservazione, inoltre, consente di ricondurre la fattispecie in esame nel campo perimetrato dall’art 922 c.c., laddove viene affermato che – tra i modi di acquisto della proprietà – vi rientrano anche quelli “stabiliti dalla legge”.

Il revirement, per altro, implica due importanti novità: una maggiore celerità in relazione al fenomeno della circolazione dei beni immobili e la deflazione del contenzioso.

Non è superfluo, in questa sede, precisare che entrambi gli argomenti depongono a favore della sua cogenza.

 

 

 

 


[1] A. Torrente, P.SCHLESINGER, a cura di F. Anelli e C. Granelli, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, 2015.
[2] Cass., Sez. Un., 29 luglio 2021, n. 21761.
[3]Gli atti pubblici e le  scritture  private  autenticate  tra vivi aventi  ad  oggetto  il  trasferimento,  la  costituzione  o  lo scioglimento  di  comunione  di  diritti  reali  su  fabbricati  già esistenti, ad  esclusione  dei  diritti  reali  di  garanzia,  devono contenere, per le unità immobiliari  urbane,  a  pena  di  nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle  planimetrie depositate  in  catasto  e  la  dichiarazione,  resa  in  atti  dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale.  La  predetta  dichiarazione  può  essere  sostituita  da un’attestazione di conformità rilasciata  da  un  tecnico  abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula  dei  predetti  atti  il  notaio  individua  gli  intestatari catastali e verifica  la  loro  conformità  con  le  risultanze  dei registri immobiliari”.


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