Tutela dei lavoratori su piattaforma digitale: il caso dei riders torinesi e la sentenza Cass. n. 1663/2020

Tutela dei lavoratori su piattaforma digitale: il caso dei riders torinesi e la sentenza Cass. n. 1663/2020

Sommario: 1. Premessa – 2. Il “ragionevole equilibrio” della Cassazione 1663/2020 – 3. La disciplina del d.l. n. 101/2019 (convertito in l. 128/2019) – 4. Conclusioni

 

1. Premessa

Indubbiamente lo stato dell’arte in materia di tutela giuslavoristica accordata ai cosiddetti gig-workers operanti tramite piattaforma digitale a seguito dell’attesa riforma del mercato smart del lavoro e all’ombra dell’importante pronuncia del 28 gennaio 2020 – con la quale la Corte di Cassazione ha concluso la lunga e dibattuta vicenda processuale dei ciclo-fattorini di Foodora, ricorsi all’autorità giudiziaria per vedersi riconosciuta la qualifica di lavoratori subordinati e i conseguenti diritti – ha subito diversi scossoni negli ultimi mesi.

Tutti e tre i gradi di giudizio della vicenda torinese sono stati oggetti di un accesissimo dibattito scientifico e giurisprudenziale, un percorso dottrinale perfettamente fotografato dall’argomentare dei giudici: da un primo passaggio per la “radicale tesi” dell’apparenza (così G.A. Recchia, La Cassazione “consegna” ai riders la collaborazione eterorganizzata, in il Lavoro nella giurisprudenza, 2020, 3, 245 e ss.) dell’art. 2, c. 1, d.l.gs. 81/2015, passando per la suggestiva ipotesi del tertium genus professata dal collegio territoriale (e ripresa immediatamente da altri tribunali, si veda sent. n. 4243 del 6.5.2019 Tr. di Roma), per giungere infine alla soluzione enunciata dalla Cassazione nella sent. n. 1663/2020.

Sulla materia del contendere è nel frattempo intervenuto il legislatore bifronte del d.l. n. 101/2019, convertito poi da un’altra maggioranza parlamentare con pesanti modifiche nella l. 128/2019, una riforma che ha perseguito il lodevole fine di accordare a questa categoria particolarmente vulnerabile di lavoratori la tutela che i commentatori da tempo professavano come necessaria.

Vediamo quindi qual’è il panorama entro il quale gli operatori del diritto debbono al momento muoversi, all’indomani della riforma e delle pronunce sopra menzionate, nonché del commento ad entrambe.

2. Il “ragionevole equilibrio” della Cassazione 1663/2020

Il compromesso raggiunto dalla Suprema Corte con la pronuncia in epigrafe (definito come richiamato in paragrafo da Santoro Passarelli nel suo commento: “Sui  lavoratori che operano mediante piattaforme anche digitali, sui riders e il ragionevole equilibrio della Cassazione 1663/2020″) ha permesso di superare le due contrapposte interpretazioni della lettera del Jobs Act proposte nei precedenti gradi di giudizio per giungere ad una conclusione che facesse da un lato salva sia la portata precettiva portata dal tenore letterale della norma e dall’altro la tutela giuslavoristica dei ciclo-fattorini.

Senza volersi soffermare eccessivamente sull’innovativa sentenza degli ermellini, oggetto di commento anche sulle pagine di questa stessa rivista, occorre comunque rilevare quelli che sono gli spunti d’interesse per progredire il dibattito accademico in materia di lavoro sulle piattaforme digitali.

La soluzione adottata è stata quella di riconoscere ai riders il trattamento retributivo dei colleghi dipendenti del V livello CCNL logistica, trasporto, merci, a mente dell’art. 2, c. 1, d.lgs. 81/2015, la cui efficacia viene quindi formalmente riconosciuta e stabilita.

Su quest’ultimo punto, occorre tuttavia evidenziare come la Cassazione poi taccia quando si tratta di precisare quale siano i confini della disciplina del lavoro subordinato effettivamente estesa a quella del lavoro autonomo (ferma restando l’opinione di illustre dottrina che ritiene debbano venire estese a mente dell’art. 2 tutte le tutele del lavoro subordinato, dottrina tra cui figurano lo stesso Santoro Passarelli ma anche Ballestrero e De Simone in Diritto del Lavoro, Giappichelli, 2019, pp.132 e ss. e 165 e ss.) e, ancor prima, resti in ogni caso ferma sulla posizione dei precedenti organi giudicanti di non ravvisare il vincolo della subordinazione una volta ricostruite – invero in maniera abbastanza fedele – le concrete modalità di svolgimento della prestazione tipiche della food-delivery tramite piattaforma online.

Segnatamente riguardo a quest’ultimo argomento, giova prendere coscienza delle note pronunce comparabili assunte dalle corti supreme dei nostri ‘vicini’ comunitari, basti richiamare il caso Uber come ricostruito dalla Court de Cassation francese o il caso Glovo affrontato dalle corti spagnole. In tutti questi casi, i giudici del lavoro – una volta ricostruite in fatto le modalità operative dei gig-workers – hanno sistematicamente riconosciuto la natura subordinata del rapporto e applicato le tutele del caso.

Le differenze che possono aver condotto la Corte italiana ad una diversa soluzione sono molteplici, una di queste senza dubbio la frammentarietà della materia giuslavorista nel nostro ordinamento, problema a cui il legislatore ha cercato di porre rimedio: prima con il ‘completamento’ del Jobs Act a mente della l. 81/2017 e infine con la menzionata novella portata dal d.l. 101/2019 convertito in l. 128/2019, con la quale è stata introdotta espressamente la tutela del lavoro tramite piattaforma digitale nel sistema italiano.

3. La disciplina del d.l. n. 101/2019 (convertito in l. 128/2019)

Pare quindi di manifesto interesse mettere in evidenza quelli che sono i profili d’innovazione e di criticità che la riformulazione del d.lgs. 81/2015 ha portato con sé, un’operazione che non costituisce una mera velleità accademica, bensì piuttosto un utile prospettiva a quelli che saranno i nodi che i commentatori dovranno sciogliere in merito alle prossime future controversie di lavoro.

Anche riguardo alla riforma in epigrafe, piuttosto che ricostruire integralmente ciascuna modifica introdotta dal legislatore, il presente intervento si prefigge di evidenziare quelle che sono le novità più rilevanti con speciale riferimento al casus belli della vicenda processuale torinese e a quelli che possono essere i futuri spazi di ulteriore manovra da parte della politica e della giurisprudenza per chiudere il quadro normativo e completare la tutela dei lavoratori “smart”.

Pertanto, si vuole solamente menzionare le modifiche apportate all’art. 2, c. 1, d.lgs. 81/2015, con la quale il legislatore ha inteso risolvere i residui dubbi sullo spazio applicativo della norma allineando il testo con quello dell’art. 409, n. 3, c.p.c.

Merita un’attenzione più profonda, invece, l’introduzione di un Capo V – bis, rubricato “Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”, all’interno del quale gli artt. 47-bis e seguenti declinano quella che è la nuova tutela applicabile ai gig-workers.

Le novità cominciano con alcune interessanti coordinate terminologiche: il 47-bis definisce sia i lavoratori coperti dalla nuova tutela (“lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore”, arrivando persino a citare il Codice della Strada) sia la nozione di piattaforma digitale, optando in particolare per slegare le modalità di esecuzione della prestazione di consegna dalla sede della società appaltatrice.

Entrambe queste scelte sopra evidenziate risultano forse discutibili: da un lato, occorrerà senz’altro estendere per analogia la disciplina di cui al Capo V-bis anche ai lavoratori su piattaforma ‘non-riders‘ in ossequio ai principi costituzionali di uguaglianza. Dall’altro lato, la scelta di svincolare la determinazione delle modalità della prestazione dalla sede della società detentrice della piattaforma denota un’allarmante scostamento da quella che è la prassi in materia di food-delivery, settore in cui i maggiori operatori hanno storicamente sempre assunto fattorini tramite varie società ad-hoc create all’interno di ciascun ordinamento (come già rilevato da diversi commentatori, si veda Garofalo, La prima disciplina del lavoro su piattaforma digitale, in Argomenti di diritto del lavoro, 2020, n. 1, p. 5 e ss.).

Tra le altre valutazioni politiche di rilievo non si può omettere di segnalare l’art. 47-quater in materia di retribuzione, che fa espresso richiamo alla contrattazione collettiva (richiamo già avvallato dai precedenti giurisprudenziali di cui sopra) e al contempo ha introdotto il divieto di determinare parte del compenso ‘a cottimo’. Anche in questo caso, non sono mancati rilievi critici in dottrina, la quale ha rilevato i problemi che in passato il rinvio al trattamento retributivo comparabilmente adeguato ha comportato (segnatamente si veda l’esperienza in materia di call center).

Tralasciando le altre disposizioni più tecniche, e auspicabilmente meno problematiche, si segnala infine l’istituzione di un“osservatorio” a composizione politico-sindacale che, avvalendosi dei dati forniti dal Ministero, dall’INPS e dall’INAIL, avrà il compito di valutare gli effetti della nuova disciplina sul mercato del lavoro.

4. Conclusioni

Stante tutto quanto sopra, la sensazione è che l’intervento del legislatore non abbia sconvolto le tendenze già consolidate in giurisprudenza relative alla qualifica del rapporto di lavoro tra riders e piattaforma organizzatrice, ma verosimilmente potrà condurre a pronunce analoghe a quelle emerse in altri ordinamenti che finalmente riconoscano la natura subordinata di tali contratti di collaborazione.

D’altronde sono ben noti ai commentatori i rischi per la salute cui i riders sono specialmente sottoposti. Da un lato, l’impatto negativo che la precarietà occupazionale ha sul benessere psicologico dell’individuo (numerosissimi gli studi, in Italia si veda S. Iavicoli, Rischi psicosociali nel lavoro discontinuo e flessibile, seminario “Salute e sicurezza nel lavoro atipico e flessibile, Roma, 18.10.2017, in http://www.nidil.cigl.it). Dall’altro lato, i ciclo-fattorini sono altresì soggetti a rischi specifici immediatamente individuabili e legati ontologicamente all’attività di movimentazione e consegna della merce – a titolo meramente esemplificativo, sinistri stradali, ore di lavoro consecutive, maltempo.

L’auspicio è che il futuro percorso dottrinale e giurisprudenziale possa fornire utili indicazioni che consentano di confrontarsi proficuamente con i nuovi strumenti del lavoro agile di modo da creare un ambiente salubre in cui la recente super-fluidità dei rapporti di lavoro diventi una risorsa per il cittadino interessato ad integrare il proprio reddito piuttosto che un giogo sotto il quale sostenere condizioni retributive e di sicurezza allarmanti, ciò al fine di evitare la totale alienazione del lavoratore dalla struttura organizzativa dell’impresa e l’avulsione dell’umanità dal rapporto di lavoro (come tristemente anticipato con enorme anticipo già nel 2016 sul Financial Times da S. O’Connor in When your boss is an algorithm).


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Andrea Demarchi

Laureatosi in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Genova, attualmente svolge la pratica forense presso lo Studio Legale Junca&Motta e collabora con diverse riviste scientifiche nelle materie di competenza, quali diritto del lavoro, societario, logistica, compliance e privacy.

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