La tutela dei “senza patria”: contrastare l’apolidia

La tutela dei “senza patria”: contrastare l’apolidia

Ai sensi dell’art. 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, “ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza” e “nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza”.

Per “cittadinanza” intendiamo un legame giuridico tra una persona e uno Stato, che consente alla prima di godere di determinati diritti. Spetta al singolo Stato stabilire i requisiti necessari affinché un soggetto possa essere considerato suo cittadino.

Tuttavia, alcuni individui non sono considerati cittadini da alcuno Stato. Essi prendono il nome di apolidi (dal greco a + polis, cioè “senza città”). Possono verificarsi casi di apolidia originaria, per cui ad un soggetto sin dalla nascita non viene riconosciuta la cittadinanza dalla legislazione di alcuno Stato, e casi di apolidia derivata, ossia di perdita di cittadinanza che non sia seguita dall’acquisto di altra. Non solo: distinguiamo anche casi di apolidia de iure, laddove il mancato acquisto della cittadinanza discenda dall’applicazione della normativa vigente, e casi di apolidia de facto, che si realizza allorquando un soggetto non possa dimostrare di essere cittadino di un determinato Stato.

Le più comuni cause di apolidia sono: l’impossibilità di ereditare la cittadinanza dai propri genitori; il dissolvimento di uno Stato, cui segua la formazione di una nuova nazione che non riconosca le cittadinanze precedenti; una discriminazione nei confronti del gruppo sociale di appartenenza; lo status di profugo nel caso di occupazioni militari; contrasti tra gli ordinamenti di alcuni Stati…

In ogni caso, il mancato riconoscimento di qualsivoglia cittadinanza implica il contestuale mancato riconoscimento di tutta una serie di diritti intrinsecamente legati allo status di cittadino (diritti civili, politici e sociali), traducendosi in una situazione paradossale nella quale – per una mera falla della legislazione, che ha omesso di contemplare una determinata ipotesi, non connettendo ad essa l’attribuzione della cittadinanza – sembra essere giustificata la negazione ad un individuo di diritti considerati fondamentali. Si pensi, ad esempio, all’accesso alla sanità, all’istruzione, all’occupazione.

Per ovviare a tali conseguenze, nell’ambito del diritto internazionale sono stati elaborati, in particolare, due strumenti volti ad assicurare l’estensione di alcuni diritti anche a chi si riconosca nello status di apolide: la Convenzione sullo statuto degli apolidi (1954) e la Convenzione sulla riduzione della apolidia (1961).

La Convenzione sullo statuto degli apolidi fornisce una definizione di apolide quale “persona che nessuno Stato considera come suo cittadino nell’applicazione della sua legislazione” (art. 1), precisando che il riconoscimento di tale status è appannaggio esclusivo della legge del paese di residenza o domicilio (art. 12). Resta, tuttavia, escluso: chi benefici di protezione o assistenza da parte delle Nazioni Unite; chi sia considerato dal proprio Paese di residenza quale titolare di diritti e obblighi connessi al possesso della cittadinanza; chi è fondato ritenere che abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità oppure un crimine grave di diritto comune al di fuori del Paese ove successivamente ha posto la propria residenza oppure ancora atti contrari agli scopi e ai principi dell’ONU.

La Convenzione de qua si fa promotrice del principio in base al quale non debbano essere consentite discriminazioni a detrimento di coloro ai quali non sia riconosciuta alcuna cittadinanza. A tal fine, essa stabilisce degli standard minimi di trattamento, estendendo agli apolidi tutta una serie di diritti fondamentali, quali il diritto di accesso alla sanità, all’istruzione e alla difesa, il diritto di associazione, il diritto di esercizio professionale, il diritto alla libera circolazione e al rilascio di validi documenti d’identità. Quale contraltare, la Convenzione prevede a carico dell’apolide l’obbligo, nei confronti del Paese di residenza, di “conformarsi alle leggi ed ai regolamenti, come pure alle misure prese per il mantenimento dell’ordine pubblico” (art. 2).

Invece, la Convenzione sulla riduzione della apolidia si pone l’obiettivo di prevenire e ridurre il fenomeno dell’apolidia, imponendo agli Stati di predisporre misure atte a contrastarla. A titolo esemplificativo, tale Convenzione prevede che uno Stato debba concedere la propria cittadinanza agli individui nati nel suo territorio che, altrimenti, risulterebbero apolidi (art. 1); oppure ancora, vieta la privazione della cittadinanza nel caso in cui da ciò derivi una situazione di apolidia (art. 8).

Una problematica a tutt’oggi ancora irrisolta risulta essere quella relativa al caso in cui un individuo presenti tutti i requisiti necessari all’ottenimento della cittadinanza, ma essa debba essere riconosciuta dalle autorità governative e l’individuo appartenga ad un gruppo nei confronti del quale venga posta in essere una discriminazione.

Sempre nella direzione di osteggiare il fenomeno in questione, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha conferito all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) l’incarico di prevenire e ridurre l’apolidia. All’uopo, nel mese di novembre 2014, l’UNHCR ha dato vita alla campagna #IBelong, il cui obiettivo è, appunto, quello di risolvere in via definitiva il problema dell’apolidia entro il 2024. A tal fine, l’UNHCR ha tracciato le linee fondamentali di un progetto decennale, che prevede il necessario espletamento di dieci azioni imprescindibili, così individuate: 1) trovare una soluzione alle principali situazioni di apolidia esistenti; 2) assicurare che nessun bambino nasca apolide; 3) rimuovere le discriminazioni di genere dalle leggi sulla nazionalità; 4) prevenire il diniego, la perdita e la privazione della nazionalità su basi discriminatorie; 5) prevenire l’apolidia nei casi di successione tra Stati; 6) assicurare lo status di protezione ai migranti apolidi e facilitare il processo di naturalizzazione; 7) assicurare la registrazione delle nascite al fine di prevenire l’apolidia; 8) rilasciare i documenti di nazionalità a coloro che ne hanno diritto; 9) aderire alle Convenzione delle Nazioni Unite sull’apolidia; 10) migliorare qualitativamente e quantitativamente i dati statistici sulle popolazioni apolidi.

In ogni caso, attualmente, nonostante gli strumenti volti a contrastarlo, il problema dell’apolidia è tuttora presente ed è ancora ben lontano dall’essere un ricordo. Pertanto, “guardali bene, i senza patria, tu, che sei fortunato; tu, che sai dove trovare la tua casa e la tua patria; tu, che tornando da un viaggio trovi pronta la tua stanza, preparato il tuo letto, e intorno a te i libri che ami e gli oggetti che ti sono familiari. Guardali bene, gli scacciati, tu, che sei fortunato, che sai di che cosa e per chi vivi, così ti rendi conto umilmente di quanto tu sia previlegiato per caso rispetto agli altri[1].

 

 


[1] Stefan Zweig, “La casa dei mille destini”.

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