La “vera” storia del castello di Afragola

La “vera” storia del castello di Afragola

Sommario: 1. Una lunga storia di ipotesi alla ricerca della verità – 2. La tresca amorosa tra Sergianni Caracciolo e la regina Giovanna II – 3. Odet de Foix e il castello di Afragola – 4. E oggi? – 5. Conclusione

 

1. Una lunga storia di ipotesi alla ricerca della verità

Nei “Cenni storici della chiesa di S. Giorgio” il canonico Vincenzo Marseglia afferma che in un documento della Regia Zecca di Napoli si legge che <<nell’anno 1380 la regina Giovanna I d’Angiò, essendo  travagliata da guerre ed assedii in Napoli, d’accordo coi suoi ministri ed ufficiali militari, stimò necessario, fra tante altre misure, di far costruire un castello per difesa della prossima Villa delle fragole, minacciata da frequenti incursioni nemiche, e per potervi accampare i soldati di presidio della detta Villa; a comodità dei medesimi fè anco edificare una chiesa col titolo di San Giorgio cavaliere e martire>>.

Premesso che la lunga citazione non è in linea con lo stile di un documento della fine del 1300, come si evince con immediata chiarezza dal lessico, dall’accurata punteggiatura e dalle “aggiustature” ad usum delphini, come “Villa delle fragole”, e ritenuto per certo che quanto riportato dal fantomatico documento è il frutto chiaro ed evidente della fantasia del pur dotto canonico, bisogna, tuttavia, ritenere certa l’esistenza di una costruzione difensiva in Afragola già prima della fine del XIV secolo.

Da un documento della cancelleria di re Luigi I d’Angiò del 1353 sappiamo, infatti, che a difesa dell’hinterland, devastato dalle frequenti carestie, dalle esondazioni del Sebeto e del Clanio e dallo spopolamento, furono emanate precise disposizioni di militarizzazione del territorio, riparando e fortificando <<cum vigilante sollicitudine>> i villaggi, che vennero dotati <<oportunis fossatis, muris sive steccatis>>.

Si ordinò, inoltre, di distruggere e dare alle fiamme tutti i <<loca debiles et debilia et non defendibiles>>.

Fu fatto comando, infine, di trasportare i contadini in <<loca fortia>>.

Venne, in tal modo, fortificato il casale di Caivano, posto sulla strada per Caserta a difesa di Casolla Valenziana sul fiume Clanio

Frattamaggiore ed Afragola, e taccio dei paesi della fascia costiera, vennero circondate da nuovi fossati e dotate di torri d’angolo a difesa della popolazione.

La prima efficace forma di difesa in Afragola, dunque, è coeva alle disposizioni emanate da Luigi I d’Angiò a protezione del vasto territorio che costituiva la pertinenza del Regno di Napoli.

<<Erano già trascorsi molti anni dacchè si custodiva tale castello, quando vi morì il Maresciallo Monsiù Matteo d’Arecona, che fu seppellito in detta chiesa, come risulta dall’iscrizione longobarda sul di lui sepolcro>>: così si leggerebbe ancora nel documento riportato dal Marseglia, documento che è, sì, una “inventio”, ma anche una “copertura” ad un’ottima intuizione del nostro canonico, come vedremo tra qualche pagina.

Ad ogni modo, malgrado le numerose spoliazioni perpetrate durante l’arco dei secoli, malgrado il decadimento, le ripetute ristrutturazioni, le frequenti compravendite, gli abbandoni e i saccheggi, nessuno può ragionevolmente dubitare della edificazione di un castello ad Afragola.

Tacerò di alcuni indizi, ancora oggi chiari ed evidenti ad un occhio esperto, e dirò soltanto che la prova che non ammette interferenze di pensiero è data dal lungo tunnel sotterraneo che consentiva la canonica via di fuga in caso di immediato pericolo.

Appare chiaro, a questo punto, che il problema non verte sulla veridicità o meno del castello, quanto piuttosto sulla datazione dello stesso e sulla paternità della costruzione.

In una dettagliata “Cronaca” di un anonimo autore siciliano della fine del 1300 si legge che nel 1388 esisteva una <<turris Carluccis Minutuli in declivo Afragole>>.

Lo stesso ignoto autore, poi, afferma, in un altro passo della “Cronaca”, che nel 1392 c’era in Afragola un “forticillium”.

Etimologicamente, i due termini stanno ad indicare due realtà difensive alquanto diverse e ciò non era certamente ignoto al nostro autore, che mostra competenza militare e buona conoscenza del territorio: è da ipotizzare, pertanto, che, in virtù della felice posizione strategica, nel giro di pochi anni la “turris” venne trasformata in “forticillium”, in una più efficace costruzione militare capace di frenare l’impeto nemico.

La costruzione del “forticillium”, d’altronde, si rese necessario e di vitale importanza, dopo che Domenico Ruffaldi, noto come Domenico da Siena, appoggiato dalle truppe di Giacomo Stendardo, assalì e distrusse la torre di Carluccio Minutolo, depredando il piano di Afragola del buon raccolto di miglio e di fave di quell’anno.

Nel 1381, frattanto, i Capece-Bozzuto avevano avuto la parte feudale di Afragola e nell’atto di acquisto non si faceva menzione del castello.

A tal proposito, qualcuno ha ipotizzato che la mancata menzione del castello era dovuta al fatto che lo stesso era parte integrante del demanio; storia e documenti, invece, attestano semplicemente che il castello ancora non esisteva.

All’epoca dell’acquisto le uniche difese militari erano quelle che Luigi I d’Angiò aveva fatto costruire nel 1353.

Ma proseguiamo nella nostra ricostruzione dei fatti.

Sappiamo, a questo punto, che nel 1392 esisteva in Afragola un “forticillium”, una fortificazione militare ben strutturata, ma tutto quanto finora detto non ci aiuta a comprendere in quale anno fu costruito il castello e neppure risolve il problema della…paternità dello stesso.

Dopo tanto girovagare, quindi, è tempo che l’autore di questo breve articolo espliciti a chiare lettere il suo pensiero sui due interrogativi appena esposti, cosa che mi accingo a fare senza ulteriori indugi.

Secondo il già più volte citato Marseglia (ritorniamo un po’ indietro), il castello fu fatto costruire dalla regina Giovanna I d’Angiò e la prova addotta dal canonico afragolese era ravvisabile soprattutto nella iscrizione a caratteri gotici sulla tomba del Maresciallo Matteo Arcane.

Il testo epigrafico riportato dal Marseglia, ma che era già stato riportato da Giuseppe Castaldi, recita:

Hic iacet corpus providi et discreti viri

Mathaei Arcane Camerarii Serenissimae

Principissae D. Margaritae

Dei gratiia Hungariae et Hjerusalem Reginae

Qui obiit sub anno Domini MCCCCVIII

Die XXVI Octobris

Matteo Arcane, dunque, era un camerario addetto alla custodia e all’amministrazione, alla dipendenza della regina di Ungheria e di Gerusalemme.

Egli era, in altri termini, il tesoriere preposto al fisco regio ed aveva svolto il suo compito con prudenza e moderazione.

Il Marseglia, però, sbaglia grossolanamente quando scrive che Matteo Arcane era il Maresciallo della regina Giovanna I d’Angiò: il testo epigrafico, infatti, attesta che l’Arcane era il tesoriere della principessa Margherita di Durazzo, divenuta regina consorte del Regno di Napoli nel 1382 e, alla morte del marito, tutore del figlio, erede al trono.

Stando al testo epigrafico, inoltre, Matteo Arcane morì il 26 ottobre del 1408, quattro anni prima della morte di Margherita di Durazzo, donna religiosissima che volle essere sepolta vestita con il semplice saio di terziaria francescana.

L’iscrizione riportata e commentata, però, è la prova evidente di quella che era stata una buona intuizione del canonico afragolese: il primitivo nucleo della chiesa di S. Giorgio risale alla costruzione del castello, che deve essere sorto per volontà di Margherita di Durazzo tra la fine del 1300 e i primi anni del 1400, probabilmente sulle rovine del precedente “forticillium”.

Morta Margherita di Durazzo e salita sul trono di Napoli sua figlia Giovanna II d’Angiò, regina dal 1414 al 1435, il castello subì una prima trasformazione, divenendo, nel contempo, adeguata fortificazione e palazzo di delizie.

2. La tresca amorosa tra Sergianni Caracciolo e la regina Giovanna II

Giovanni Caracciolo, conosciuto come Sergianni Caracciolo, è noto per essere stato l’amante della regina Giovanna II d’Angiò-Durazzo, e per essere stato un politico disinvolto ed arrampicatore, a caccia perenne di onori e di possedimenti.

La sua entità storica, però, è molto più complessa ed articolata: di certo era temuto e odiato dai nobili del Regno di Napoli, ma, nel contempo, era amato dal popolo per la sua generosità.

Di bell’aspetto, ardimentoso e passionale, sapeva rubare il cuore delle donne con parole ora accorate e suadenti, ora decise e perentorie; ogni sua azione, inoltre, era sorretta da una teatralità inusitata e calcolata, che aveva il pregio raro di apparire naturale.

La sua tresca amorosa con la bella e non certamente casta regina ebbe inizio probabilmente nel 1416 e, tra alti e bassi, la loro storia amorosa fu travolgente e drammatica.

Ambedue voluttuosi, ambedue calcolatori e ambedue disposti a tutto nel nome del potere: la loro storia non poteva che non finire in tragedia (in fisica, secondo la legge dell’elettroscopio, due poli uguali si respingono).

Sergianni, nessuno potrà mai dire se per amore o per calcolo, si fece costruire un palazzo accanto a Castel Capuano, luogo in cui soggiornavano la regina e la corte: tale palazzo mostra ancora oggi il suo splendore in via Tribunale 224.

Nei primi tempi della tresca, quando lo “scandalo” non era ancora di dominio pubblico, la regina Giovanna, che amava cacciare nei luoghi selvosi di S. Marco in Afragola, fece trasformare il castello, che divenne, in tal modo, non solo un valido baluardo difensivo, ma anche un luogo di delizie, con le sue fontane, il suo giardino e gli accoglienti appartamenti “alcovali”.

Tale era anche il parere di un certo Benedetto Croce.

Il 14 settembre del 1726 Gaetano Caracciolo del Sole, discendente di Sergianni, comprò per mille ducati quanto rimaneva del castello dalla famiglia Morra.

Dopo averlo ristrutturato, il discendente di Sergianni fece affrescare tre appartamenti di nuova costruzione con dipinti che rappresentavano gli avvenimenti più significativi della vita dei suoi antenati: tra essi spiccava la storia d’amore tra Giovanni e la regina e la tragica morte di colui che era stato gran Siniscalco del Regno di Napoli.

Nell’unico torrione rimasto del castello fece incidere la seguente epigrafe, che riportiamo solo in parte:

Arcem hanc in qua serenissima Ioanna II Regina

Neapol. Animum in proximis S. Marci locis regiis

Venatoribus recreatura saepius convenerat cum

Fidissimo suo magno senescalco Syrianne

Caracciolo…

Il Castaldi, contrariamente al Giustiniani, al Croce, al Glejeses e ad altri autorevoli storici, dubita sul fatto che la storia tra i due amanti abbia avuto come scenario anche il castello di Afragola, ma la sua, a quanto ci è dato di sapere, rimane una voce quasi isolata nell’ambito della storiografia napoletana.

Generoso ed appassionato, ma anche freddo, corrotto, vendicativo e spregiudicato, Sergianni incontrò Giovanna II, donna colta e raffinata diplomatica, ma anche anticonformista e dissoluta, nell’estate del 1416.

I due avevano in comune molti aspetti del carattere e lo stesso smodato desiderio di dominio.

Il castello di Afragola fu per i due amanti una pausa felice del loro tormentato amore, che finì, si, in tragedia, ma che rimane una pagina memorabile tra le pur tante storie d’amore nate tra le mura di tanti castelli sparsi nel vasto Regno di Napoli.

3. Odet de Foix e il castello di Afragola

Se oggi un forestiero, giunto alla stazione di Afragola, domandasse ad un passante occasionale di quaranta anni dove è ubicato “o’ vico o’ trec”, avendo ascoltato questo nome durante il suo tour in Campania, con tutta probabilità riceverebbe questa risposta: Signore, questa strada non esiste in Afragola e dubito fortemente che sia mai esistita.

In effetti, quasi più nessuno ricorda che l’attuale via Calvanese, più di quaranta anni or sono, veniva chiamata “vico Lautrec”; pochi sanno che l’ignoranza storica degli amministratori di quel tempo indusse il Consiglio comunale di allora a cancellare una delle pagine più importanti e tragiche della storia di Afragola, pagina legata indissolubilmente alla conquista e alla quasi totale distruzione di quello che un tempo fu un elegante e ben fortificato castello angioino.

La vicenda che stiamo per narrare ha inizio quando Francesco I, re di Francia, volse le sue mire espansionistiche sul Regno di Napoli, che, all’epoca dei fatti, era sotto il dominio aragonese.

Francesco I voleva, in un certo qual modo, riconquistare quel Regno che secoli addietro apparteneva agli Angioini.

Il re francese affidò le truppe di terraferma ad Odet de Foix, conte di Lautrec; nel contempo una flotta navale al comando di Filippino Doria, mercenario genovese, tentava di invadere la città partenopea per via mare.

Terribile e segnata da massacri è la fama di Odet de Foix, meglio conosciuto come il Lautrec.

Costui tentò di conquistare Napoli con valore ed inusitata ferocia, ricorrendo ad ogni mezzo, e la sua prima azione fu quella di tagliare i viveri alla capitale del Regno: si accampò, pertanto, ad Afragola e, dopo aver messo a ferro e a fuoco il castello, anche allo scopo di non essere assalito successivamente alle spalle, depredò e distrusse tutto quanto avrebbe potuto eventualmente essere di qualche vantaggio alla città di Napoli.

Dalla metà di aprile fino agli inizi di giugno del 1528, dopo aver distrutto il castello, il Lautrec pose il suo accampamento in Afragola, nel punto che un tempo veniva chiamato “vicolo Lautrec”, che, al tempo dei fatti che stiamo narrando, doveva evidentemente essere un largo spazio capace di accampare un fortino ben strutturato.

Il Lautrec attendeva notizie della flotta di Filippino da Doria, per potere sferrare un attacco congiunto.

Venuto a conoscenza che Filippino era passato al comando di Carlo V in cambio della “soggezione” di Savona, lasciò Afragola agli inizi di luglio e si diresse a Napoli, ponendo la città sotto assedio.

Lo schieramento francese si dispose lungo la linea che va da Poggioreale al mare, mentre gli alloggi per le truppe furono stanziati al margine della zona che sarà chiamata delle “paludi”, a seguito della distruzione delle condutture idriche ordinata proprio da Lautrec per stroncare la strenua resistenza della città di Napoli.

Le condutture dell’acquedotto della Bolla furono distrutte, ma la mancanza d’acqua e l’inusitato calore di quel torrido agosto furono la causa di una terribile peste che fu anche la causa della morte del Maresciallo francese.

A seguito della morte del Lautrec e di una buona parte delle sue truppe, i francesi tolsero l’assedio a Napoli: era il 18 agosto del 1528.

Le rimanenti truppe francesi, stanche e demoralizzate si ritirarono ad Aversa, ma furono in breve sbaragliate dalle truppe spagnole, che seppero approfittare della propizia occasione.

Era terminato un incubo per il Regno di Napoli, un incubo che aveva il volto della crudeltà e della brutalità del Lautrec.

Durante il mese che sostò ad Afragola, il Lautrec non smentì la sua fama di condottiero feroce e brutale e, tanto per stare in linea con la sua nomea , si rese artefice di razzie e di massacri, anche nei confronti della popolazione inerme; il castello fu distrutto e, malgrado le successive ristrutturazioni, non ebbe mai più una importanza strategica.

Nei suoi momenti migliori, più che un castello, apparve come un palazzo signorile.

“O’ vico o’ trec” in Afragola non era l’unica testimonianza toponomastica sopravvissuta al ricordo di quel triste assedio; anche la collina di Poggioreale a Napoli era un tempo chiamata “monte di Leutrecco”, che il popolo tradusse in “o monte di Lo Trecco”.

4. E oggi?

Dell’antico castello oggi rimane ben poco e quel poco è destinato a sparire del tutto, se non si interviene tempestivamente.

La chiesa di S. Giorgio, sicuramente costruita su una parte distrutta del castello, conserva ancora la preziosa testimonianza del monumento sepolcrale del Camerario Matteo Arcane; nella appella del pulpito, inoltre, si scorgono ancora i ruderi del modesto campanile del primitivo nucleo di quella cappella che era incorporata nel castello, secondo lo stile di costruzione degli ingegneri militari angioini.

Fino a qualche anno fa era possibile vedere, tra l’indifferenza generale, una casupola, forse abusiva, costruita intorno ai resti di un antico torrione, i cui resti sembravano voler sfidare l’incuria degli uomini e il lento progredire del tempo, ma oggi di quei resti non rimane più nulla, almeno all’esterno.

Parte dell’antico castello, probabilmente quella che doveva essere la “zona nobiliare”, è occupata da un convento di suore, che, a quanto mi è dato di sapere, nascondono gelosamente alcuni testi marmorei e quel che rimane del camminamento di fuga.

5. Conclusione

Trasmettere intatta la memoria del passato è un imperativo etico, prima ancora che un’operazione culturale.

Se esistesse una pena per i mistificatori della storia e se io fossi un giudice, non avrei alcuna esitazione nel condannare all’ergastolo chi si rendesse artefice di un tale reato: trasmettere volutamente false notizie o alterare i fatti crea una catena d’ignoranza difficile da sbrogliare, perché da sempre veloce è la discesa, mentre ardua e faticosa è la salita.

Abbiamo, inoltre, omesso di riportare le frequenti compravendite del castello e dello stesso non abbiamo riportato alcuni episodi ritenuti da noi poco importanti o, comunque, non opportunamente documentati.


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Andrea Romano

Laureato in Lettere classiche, fondatore del disciolto gruppo archeologico di Afragola, Andrea Romano è autore di numerose pubblicazioni a carattere storico, artistico e letterario. Le sue competenze in campo archeologico l’hanno portato a scoprire numerose necropoli e ad individuare l’ubicazione dell’acquedotto augusteo in Afragola, suo paese d’origine. Prossimo alla pensione, attualmente è docente di religione presso la Scuola Secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo”, pittore del quale ha scritto l’unica biografia esistente, dopo aver raccolto e analizzato quasi tutte le tele dell’artista afragolese, prima quasi del tutto ignorato. Ricercatore instancabile, ha portato alla luce un manoscritto inedito di Johannes Jørgensen, di prossima pubblicazione.

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