La violazione dei termini per le indagini preliminari: l’ultimo orientamento giurisprudenziale

La violazione dei termini per le indagini preliminari: l’ultimo orientamento giurisprudenziale

Prima di parlare di violazione dei termini delle indagini preliminari, è opportuno analizzare la disciplina generica dei termini di durata delle indagini preliminari, facendo rifermento alla normativa di cui all’art. 335 c.p.p..in tema di iscrizione nel registro delle notizie di reato.

In particolare l’art. 335 sancisce: “Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell’apposito registro custodito presso l’ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito. Se nel corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo risulta diversamente circostanziato, il pubblico ministero cura l’aggiornamento delle iscrizioni previste dal comma 1 senza procedere a nuove iscrizioni”.

Alla previsione dell’art. 335 cod. proc. pen. si correla strettamente la disciplina dell’inizio e dei termini di durata delle indagini prevista negli artt. 405 e seguenti dello stesso codice di procedura penale.

Dall’analisi dell’ articolo 405, 2 co. c.p.p. rubricato “Inizio dell’azione penale. Forme e termini” si evince che:  il pubblico ministero richiede il rinvio a giudizio entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato. Il termine è di un anno se si procede per taluno dei delitti indicati nell’articolo 407 comma 2 lettera a).

Orbene, è evidente che la durata delle intere indagini preliminari, debba essere circoscritta in uno spazio temporale.

Ed invero, tale limite è posto dall’art. 407 c.p.p., che disciplina il termine complessivo, per il pubblico ministero di condurre le indagini preliminari: la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi, ad eccezione, tuttavia, delle ipotesi di cui all’art. 407 comma 2 lettera a), in cui la durata massima delle indagini preliminari viene estesa ai due anni.

La decorrenza del termine viene identificata specificamente sia sotto il profilo soggettivo (il nome dell’indagato) sia sotto il profilo oggettivo (il reato che gli è ascritto), profili che devono essere entrambi sussistenti perché abbia inizio la consumazione del termine (cfr., p.es., Cass.sez. IV, 6 luglio 2006 n. 32776; Cass. sez. I, 20 giugno 2006 n. 22969; Cass. sez. III, 4 luglio 1999 n. 1009).

Inoltre, da ultimo la Cass. sez. II, 22 marzo 2013 n. 29143 ha puntualizzato nettamente che “qualora il P. M. acquisisca nel corso delle indagini preliminari elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona già iscritta nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., deve procedere a nuova iscrizione ed il termine per le indagini preliminari, previsto dall’art. 405 c.p.p., decorre in modo autonomo per ciascuna successiva iscrizione nell’apposito registro.

Ne consegue che la nuova iscrizione fa decorre un nuovo termine per la nuova fattispecie di reato che, per giurisprudenza constante e consolidata, non può in alcun modo prolungare i termini di durata massima delle indagini preliminare, poiché, se così fosse, basterebbe una nuova iscrizione di una qualsivoglia notizia di reato a far sì che le indagini durino all’infinito.

Recentemente, infatti, la Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 maggio 2017 – 12 giugno 2017, n. 29151, ha così affermato: il nostro ordinamento processuale conosce un’unica via per ampliare l’intervallo temporale deputato alle investigazioni previsto dall’art. 405 cod. proc. pen. — id est la proroga ai sensi dell’art. 407 stesso codice -, percorso processuale che non può essere surrogato da una nuova iscrizione di una stessa notizia di reato già iscritta. Tale opzione, oltre a non essere contemplata dall’art. 335 dal codice di rito, potrebbe risolversi in una facile via per eludere le regulae iuris dettate in tema di termini delle indagini, ottenendo il medesimo risultato di dilatarne l’ambito senza comunicazione all’interessato e, soprattutto, senza alcun filtro giurisdizionale, con elusione delle garanzie difensive connesse alla disciplina della proroga. Se ne inferisce che, ai fini della determinazione del termine delle indagini, la nuova iscrizione di uno stesso fatto già iscritto (cioè la pura e semplice replica dell’iscrizione) deve considerarsi tamquam non esset, con la conseguente inutilizzabilità (ai sensi del combinato disposto degli art. 407, comma 3, e 191, comma 1, cod. proc. pen.) eventualmente derivante dall’assunzione di atti oltre la scadenza del termine delle indagini come decorrente, quale dies a quo, dall’originaria iscrizione. Ritiene il Collegio che siffatta conclusione interpretativa, oltre a rappresentare il naturale corollario della disciplina codicistica delle indagini preliminari, sia anche la sola conforme al diritto di difesa ed ai principi del giusto processo cristallizzati negli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, in quanto unica atta a garantire l’effettività della previsione dei termini di durata delle indagini, determinati rigorosamente dal legislatore allo scopo di imprimere tempestività alle investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato (C. Cost. n. 350 del 14/10/1996). Tirando le fila di quanto sopra, si deve dunque affermare il seguente principio di diritto: “secondo la disciplina dell’art. 335 cod. proc. pen., al pubblico ministero è fatto divieto di procedere ad una nuova iscrizione nel registro degli indagati della stessa notizia di reato, dovendo disporne il mero aggiornamento ai sensi del comma 2 qualora risulti diversamente qualificata o circostanziata. Ne discende che la duplicazione dell’iscrizione della medesima notitia criminis deve ritenersi illegittima e, pertanto, tamquam non esset ai fini della determinazione del termine di durata delle indagini disciplinato dagli artt. 405 e seguenti stesso codice, con la conseguenza che dovranno ritenersi inutilizzabili gli atti che siano stati assunti “dopo la scadenza del termine” come decorrente dalla prima iscrizione, cui non abbia fatto seguito la proroga ai sensi degli artt. 406 e 407 stesso codice”.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News

Articoli inerenti