L’abuso del diritto e la legittimità del diniego all’accesso avente finalità meramente esplorative

L’abuso del diritto e la legittimità del diniego all’accesso avente finalità meramente esplorative

Sommario1. Le varie tipologie di accesso alla luce della Riforma Madia: l’accesso ex art. 22 della Legge 7 agosto 1990, n. 241; l’accesso civico e l’accesso civico generalizzato – 2. Le ipotesi di legittimo diniego del diritto d’accesso – 3. La giurisprudenza in materia e la sussistenza dell’abuso del diritto come delineato dalla Sentenza n. 234 della III° sezione del TAR Puglia-Bari del 19 febbraio 2018

1. Le varie tipologie di accesso alla luce della Riforma Madia: l’accesso ex art. 22 della Legge 7 agosto 1990, n. 241; l’accesso civico e l’accesso civico generalizzato

Nell’ambito dell’attività di riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni (c.d. Riforma Madia), il D.lgs 25 maggio 2016 n. 97 ha novellato le disposizioni della Legge 6 novembre 2012 n. 190 e del D.lgs 14 marzo 2013 n. 33, introducendo una nuova forma di accesso civico libero ai dati e ai documenti pubblici, equivalente a quella che nei sistemi anglosassoni è definita Freedom of Information Act (F.O.I.A.).

Il Consiglio di Stato, con il parere reso nell’Adunanza di Sezione del 18 febbraio 2016, n. 515, ha rilevato che le disposizioni recate dal D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, non avessero voluto né sovrapporsi, né ampliare quanto disciplinato dagli artt. 22 ss. della Legge 7 agosto 1990, n. 241.

L’accesso di cui alla legge sul procedimento amministrativo ed il c.d. accesso civico, pur condividendo una comune ispirazione al principio di trasparenza, rappresentano due diversi declinazioni dello stesso (cfr. C. St., Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5515).

Con il più recente, il Legislatore mira a garantire l’accessibilità delle informazioni ai privati cittadini, al fine di dare compiutezza al principio di buon andamento dell’amministrazione ex art. 97 Cost. ed ai suoi corollari. Tale istituto consente a chiunque, a prescindere dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, di accedere a tutti i dati e ai documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni, che rispettino alcuni limiti tassativamente indicati dalla legge.

La normativa de qua ha previsto, pertanto, la pubblicazione obbligatoria di una serie di documenti sui siti istituzionali delle Amministrazioni Pubbliche, da chiunque consultabili senza alcuna procedura di autenticazione ed identificazione.

Nel caso in cui quest’ultime non abbiano adempiuto a tale obbligo, ai sensi dell’art. 5 del D.lgs 14 marzo 2013, n. 33, è possibile esercitare l’accesso civico, attraverso un’istanza – non motivata – con la quale si invita la Pubblica Amministrazione onerata alla predetta pubblicazione, di procedervi.

Tale istituto è ontologicamente differente dall’accesso ai documenti amministrativi, disciplinato dagli artt. 22 ss della Legge 7 agosto 1990, n. 241, esperibile solamente da chi nutra un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

In questo caso l’istanza di accesso dovrà essere motivata, proprio al fine di dimostrare all’amministrazione interlocutrice le ragioni che legittimano il diritto di accesso.

E ancora diversi sono i presupposti che disciplinano l’accesso ai sensi del D.lgs 25 maggio 2016 n. 97, che svincola il diritto di accesso da una posizione legittimante differenziata (art. 5 del D.lgs 14 marzo 2013, n. 33 nel testo novellato) e sottopone l’accesso ai limiti previsti dall’art. 5bis. In tal caso, la P.A. intimata “dovrà in concreto valutare, se i limiti ivi enunciati siano da ritenere in concreto sussistenti, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza, a garanzia degli interessi ivi previsti e non potrà non tener conto, nella suddetta valutazione, anche le peculiarità della posizione legittimante del richiedente” (C. St., Sez. IV, 12 agosto 2016, n. 3631).

Il Decreto Trasparenza ha introdotto al 2° comma dell’art. 5 del D.lgs 14 marzo 2013, n. 33, l’istituto dell’accesso civico generalizzato, il quale a differenza dell’accesso civico semplice, che prevede il diritto di chiunque di richiedere i documenti di cui sia obbligatoria la pubblicazione nei casi in cui la stessa sia stata omessa, permette l’accesso a dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti.

Ciò allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.

2. Le ipotesi di legittimo diniego del diritto d’accesso

In seguito all’entrata in vigore dell’istituto in esame, è sorto il problema di bilanciare l’esigenza del privato di venire a conoscenza dell’attività amministrativa, con la necessità che la stessa non venisse arrestata e/o ritardata a causa delle istanze de quibus.

In merito si segnala la Deliberazione ANAC 28 dicembre 2016, n. 1309 sulle “Linee Guida recanti indicazioni operative della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del D. Lgs n. 33 del 2013”, dalla quale si apprende che non è ammissibile una richiesta meramente esplorativa. Le istanze di accesso non possono essere generiche, ma specifiche sì da consentire l’individuazione del dato, del documento o dell’informazione, con riferimento almeno, alla loro natura ed oggetto.

Allo stesso modo – si legge – “nei casi in cui venga presentata una domanda di accesso per un numero manifestamente irragionevole di documenti imponendo così un carico di lavoro tale da paralizzare, in modo sostanziale, il buon funzionamento dell’amministrazione, la stessa può ponderare, da un lato l’interesse all’accesso del pubblico ai documenti e, dall’altro, il carico di lavoro che ne deriverebbe, al fine di salvaguardare, in questi casi particolari, e di stretta interpretazione, l’interesse ad un buon andamento dell’Amministrazione”.

Con riferimento ad un caso di accesso massivo agli atti formulato da consiglieri comunali di minoranza – i quali godono anch’essi di un non limitato diritto di accesso agli atti, svincolato da qualsivoglia onere motivazionale – il Consiglio di Stato ha affermato il principio che essi godono di un diritto di accesso incondizionato “purché non invada l’ambito riservato all’apparato amministrativo” (C. St., Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 846) : in pratica “…l’esercizio di tale diritto deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e che non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazione al diritto stesso “ (tra tanti C. St., Sez. V, 29 agosto 2011, n. 4829).

Il buon andamento della Pubblica Amministrazione rappresenta – in qualunque forma di accesso – un valore cogente e non recessivo, la cui sussistenza, tuttavia, non può essere genericamente affermata bensì adeguatamente dimostrata da parte dell’amministrazione che nega l’accesso (Circolare della Funzione Pubblica 30 maggio 2017, n. 2).

3. La giurisprudenza in materia e la sussistenza dell’abuso del diritto come delineato dalla Sentenza n. 234 della III° sezione del TAR Puglia-Bari del 19 febbraio 2018

In materia il precedente più menzionato risulta essere la pronuncia del TAR Lombardia, Sez. III, 11 ottobre 2017, n. 1951, con la quale il Collegio giudicato ha statuito che l’istituto dell’accesso generalizzato, rappresenta indubbiamente uno strumento di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa (cfr. art. 1 D.lgs. 33/2013, come modificato dall’art. 2 D.lgs. 97/2016) e non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alla predetta finalità ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento dell’amministrazione. La valutazione dell’utilizzo secondo buona fede va operata caso per caso, al fine di garantire – in un delicato bilanciamento – che, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto, dall’altro lo stesso non determini una sorta di effetto “boomerang” sull’efficienza dell’Amministrazione.

E’ legittimo, pertanto, il diniego dell’istanza di accesso che costituisca una manifestazione sovrabbondante, pervasiva e contraria a buona fede dell’istituto dell’accesso generalizzato. Nel caso posto dinanzi all’attenzione del TAR lombardo, il Comune avevo motivato il proprio diniego nella richiesta massiva che l’istante aveva effettuato, comportante un facere straordinario, capace di aggravare l’ordinaria attività dell’Amministrazione.

Il Giudice amministrativo, inoltre, richiama il principio di buona fede e del correlato divieto di abuso del diritto. Il dovere di buona fede, previsto dall’art. 1175 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall’art. 2 della Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, si pone, secondo la più recente dottrina e giurisprudenza, non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale.

Già nel diritto romano, il brocardo qui iure suo abutitur alterum laedit, compendiava un’idea dell’abuso del diritto non dissimile da quella odierna.

Prima della pronuncia del TAR Lombardia, già il Consiglio di Stato aveva precisato quali fossero gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto: “1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte” (cfr. C. St., Sez. V, 7 febbraio 2012, n. 656).

L’abuso del diritto indica un limite esterno all’esercizio di un diritto soggettivo. Dalla radice etimologica del termine (ab-uti), si comprende come l’abuso consista in un uso anormale del diritto, che conduce il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera del diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso viene riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico positivo.

Un siffatto comportamento ‘abusivo’ costituisce, quindi, un illecito, sanzionato secondo le norme generali di diritto in materia. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni in via generale l’abuso del diritto, ma esistono solo specifiche disposizioni in cui viene sanzionato l’abuso con riferimento all’esercizio di determinate posizioni soggettive. La principale di queste fattispecie è certamente quella del divieto di atti emulativi di cui all’art. 833 c.c., cui si affiancano altre disposizioni come la minaccia di far vale un diritto (art. 1438 c.c.), il divieto di concorrenza sleale (art. 2598 c.c.).

Al di là di queste disposizioni, occorre capire se da tali singole ipotesi possa ricavarsi un principio generale di divieto di esercizio abusivo del diritto.

Dottrina e giurisprudenza maggioritaria hanno dato al quesito risposta positiva, rinvenendo il fondamento del generale divieto di abuso di diritto nel principio di correttezza e buona fede in senso oggettivo.

Il c.d. divieto di abuso di diritto è  quindi un corollario degli obblighi di protezione, quali referenti normativi della buona fede, sorto con il fine di sanzionare il titolare di una posizione giuridica soggettiva di vantaggio che la eserciti per finalità o con modalità tali da creare all’altra parte pregiudizi ingiustificati e sproporzionati.

L’abuso del diritto configura una utilizzazione distorta dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E’ ravvisabile, quando nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede.

Di fronte ad eventuali abusi, l’ordinamento si rifiuta di tutelare i poteri, diritti ed interessi esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, nonché contrari alla buona fede oggettiva.

Il diritto di accesso ai documenti – il quale rappresenta un diritto soggettivo – è soggetto, nel suo corretto esercizio, al dovere di correttezza e buona fede. Ciò al fine di evitare un uso distorto ed oneroso del diritto all’accesso che possa legittimare il diniego da parte della P.A. dell’ostensione della documentazione amministrativa detenuta.

Una distorsione ed un uso abnorme del diritto che si scontrerebbe contro il principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, ostacolando il corretto funzionamento dell’apparato amministrativo.

Lo strumento dell’accesso, pertanto, non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alla finalità con la quale è stato concepito, finendo col divenire causa di intralcio al buon andamento dell’amministrazione.

In conclusione l’esercizio del diritto di accesso, pur in presenza di una legittima prerogativa, deve avvenire con formalità rispettose della cornice attributiva di quel diritto, stante il principio di buona fede e il correlato divieto di abuso del diritto.

Tra l’istante e la Pubblica Amministrazione che detiene il documento deve instaurarsi di un dialogo endoprocedimentale e cooperativo, improntato ad una logica di buona fede, correttezza e divieto di abuso del diritto.

Il TAR Lombardia nella motivazione della pronuncia menzionata, rileva che il dovere di buona fede non è un mero criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma si pone come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti.

La richiesta del privato che risulti manifestazione sovrabbondante e pervasiva, seppur formalmente corretta ed ammissibile, deve ritenersi contraria a buona fede dell’istituto dell’accesso generalizzato, avendo il privato abusato del diritto riconosciutogli dall’ordinamento.

La finalità dell’istituto dell’accesso generalizzato è quella di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, costituendo uno strumento di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa, pertanto, lo strumento stesso non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alla predetta finalità ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento dell’Amministrazione (cfr. TAR Puglia-Bari, Sez. III, 19 febbraio 2018, n. 234).


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Augusto Valente

Avv. Augusto Valente Nel 2020 ha conseguito l'abilitazione forense presso la Corte d'Appello di Roma, è iscritto presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Cassino (FR). Ha conseguito, in entrambi i casi presso l'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, la laurea in Servizi Giuridici per lo Sport, discutendo la tesi in Diritto del Lavoro Sportivo con il Prof. Luca Miranda, e la laurea magistrale in Giurisprudenza discutendo la tesi in Diritto Processuale Amministrativo con la Prof.ssa Margherita Interlandi. Ha collaborato, negli anni accademici 2018 e 2019 con le cattedre di Diritto Amministrativo e Diritto Processuale Amministrativo del Prof. avv. Raffaele Montefusco, presso l'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Ha svolto la pratica forense presso lo Studio Legale Santopietro in Pontecorvo (FR), occupandosi prevalentemente di Diritto Civile e Diritto Amministrativo. Dal 2019 fa parte dello studio CLAvis - Consultants Lawyers & Accountants di Roma, occupandosi di Diritto Civile, Amministrativo e Sportivo. È autore di diverse pubblicazioni sulla rivista scientifica online Salvis Juribus.

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