L’abuso d’ufficio: il nuovo assetto dell’art. 323 c.p. a seguito dell’emanazione del decreto legge n. 76/2020

L’abuso d’ufficio: il nuovo assetto dell’art. 323 c.p. a seguito dell’emanazione del decreto legge n. 76/2020

Sommario: 1. L’abuso d’ufficio e la recente riforma del 16 luglio 2020 – 2. Abuso d’ufficio: il mobbing

 

1. L’abuso d’ufficio e la recente riforma del 16 luglio 2020

L’ abuso d’ ufficio è un reato disciplinato e punito all’ art. 23 c.p., viene collocato tra i delitti dei pubblici ufficiali o l’ incaricato di pubblico servizio e ne consente l’ applicazione ogni qualvolta la violazione di norme di legge (specifiche) si accompagni al tradimento dei principi di imparzialità e di buon andamento sulla quale è improntata l’ attività dei pubblici ufficiali richiamata anche dall’ art. 97 Costituzione, garantendo la c.d. ” par condicium civium ” ovvero il diritto di uguaglianza dei cittadini.

Più precisamente, l’  art. 323 c.p. stabilisce che “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni“.

Si tratta di un reato proprio cioè un reato che può essere compiuto solo da soggetti che rivesto una determinata qualifica e plurioffensivo in quanto il bene giuridico tutelato non è solo l’ imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione ma anche il patrimonio del terzo che viene danneggiato dall’ abuso di potere da parte del pubblico ufficiale.[1]

Infatti, la ratio della norma è volta a tutelare sia il buon andamento della P.A., sia il privato da eventuali prevaricazioni dell’ autorità pubblica. Inoltre, occorre sottolineare che per la sussistenza dell’ aggravante di cui art. 61 n. 9 c.p. (che disciplina le circostanze aggravanti), è necessario che la commissione del fatto sia stata facilitata dall’ esercizio dei poteri o dalla sua violazione, non potendo bastare che chi commette il reato rivesti la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.[2]

L’ art. 323 c.p. inizia con l’ inciso “salvo che il fatto non costituisca più grave reato” , si tratta dunque, di una clausola di riserva. Ci troviamo di fronte a un reato:

– evento in quanto la condotta è posta in essere per la realizzazione di un altrui vantaggio ( Cass. 7581\1999);

– a forma libera, in quanto la norma non dice espressamente quali siano gli elementi che caratterizzano la condotta incriminatrice.

Per quanto riguarda l’ elemento soggettivo, si tratta di dolo intenzionale, che possiamo desumerlo dall’ avverbio “intenzionalmente” utilizzato dal legislatore. Con il dolo intenzionale, la condotta del reo deve essere volontaria e cosciente cioè, deve avere coscienza e volontà sia di commettere l’ abuso, che il danno ingiusto.
Il reato abuso d’ ufficio negli ultimi anni è stato oggetto di diverse riforme; l’ ultimo intervento risale al 16 luglio del 2020 che con il decreto legge n. 76 viene nuovamente riformato il reato previsto all’ ex art. 323 c.p., al fine di semplificare i procedimenti amministrativi attraverso l’ eliminazione e velocizzazione di adempimenti burocratici e alla digitalizzazione della p.a.

L’ esigenza di riformare il testo normativo è strettamente legato all’ emergenza pandemica covid19 che nell’ ultimo anno ha colpito il nostro paese. Tuttavia, la modifica non coinvolge l’ intera normativa, ma bensì solo una parte, lasciando inalterata il profilo del duplice evento del vantaggio e svantaggio ingiusto che caratterizzano il dolo intenzionale e l’ inosservanza dell’ obbligo di astensione in caso di conflitti di interesse.[3] Il decreto – legge ha sostituito l’ inciso “in violazione di norme di legge o di regolamento” con “violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità“. Dunque, è stata esclusa la rilevanza di violazione d norme contenute nei regolamenti, che sono fonte secondarie: l’ abuso potrà essere integrato solo nel caso in cui vi è la violazione di regole di condotta prevista dalle legge o da atti aventi forza di legge, cioè da fonte primarie. E’ altresì precisato che rilevano solo regole di condotta dalle quali non residuano margini di discrezionalità: dall’ inciso si evince che la rilevanza penale avviene solo per quelle regole che non implicano l’ esercizio di un potere discrezionale da parte del pubblico ufficiale affinché la consumazione comporti un abuso d’ ufficio.[4]

2. L’abuso d’ufficio: il mobbing

L’ abuso d’ ufficio più comune è il mobbing. Il “mobbing” è definito come quel comportamento vessatorio nei confronti di un’ altra persona che utilizza metodi di violenza psicologica o fisica di carattere intimidatorio, i quali possono condurre alla lesione della dignità della persona, oltre a comprometterne la salute psicofisica.[5]

Nella maggior parte dei casi il fenomeno di mobbing si verificano sul posto di lavoro da colleghi o superiori, che si possono concretizzare in violenze psicologiche, sabotaggio professionale, sino ad arrivare all’ aggressione fisica.

Affinché si possa parlare di mobbing e avere rilevanza penale occorre che vi siano alcuni elementi quali: comportamenti di carattere persecutorio con intendo vessatorio contro la vittima prolungato nel tempo. L’ attività persecutoria deve durare più di sei mesi e portare alle dimissioni. Deve poi essere presente un danno alla salute, alla personalità quali disturbo post – traumatico da stress o disadattamento lavorativo o alla dignità del dipendete. Infine, occorre l’ esistenza di un nesso di causalità (causa – effetto) tra le condotte descritte e il pregiudizio subito dalla vittima.

Nel nostro ordinamento non esiste una specifica legge anti mobbing, quindi non può essere punito direttamente come reato penale; tuttavia tale condotta vessatoria trova rilievo in diverse norme che disciplinano e tutelano la salute, la sicurezza ed il benessere dei lavoratori. A livello costituzionale possiamo richiamare i seguenti articoli: art. 32 secondo il quale “la salute è diritto dell’ individuo e della collettività” e l’art. 41 dove si evince che “l’ iniziativa economica privata è libera, non può svolgersi in contrasto con l’ utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. [6]

A livello di legge ordinaria troviamo ad esempio l’ art. 2087 c.c. secondo cui il datore di lavoro è chiamato ad adottare tutte le misure necessarie al fine di garantire l’ integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Nel caso in cui violi tali obblighi può essere chiamato al risarcimento patrimoniale personale del lavoratore come ad esempio danno da dequalificazione e danno alla personalità morale e alla salute del lavoratore, quale un danno biologico e neurobiologico.

Inoltre, nello Statuto dei lavoratori, troviamo i seguenti principi: l’ art. 9 tutela della salute e dell’ integrità fisica del lavoratore; l’ art. 13 al dipendente non possono essere date mansioni di livello professionale inferiore a quelli d’ inquadramento.

Come precisato, non esiste una legge sul mobbing, ma sono molte le sentenze che si sono pronunciate in merito a tale fenomeno ribadendo l’ illegittimità di un comportamento posto in essere sul posto di lavoro che porti a ledere l’ integrità psicofisica o a sminuire il dipendente e all’ obbligatorietà del risarcimento dei danni. Dunque, la vittima di mobbing dovrà dimostrare che le condotte poste in essere dal datore di lavoro nei suoi confronti non rientrano nell’ esercizio di normali poteri di organizzazione riconosciuti al datore di lavoro, né si limitano a semplici dissapori sul luogo di lavoro, ma bensì una vera e propria strategia persecutoria volta a porre la vittima in uno stato di grave disaggio.[6]

Il lavoratore può dimostrare che sussistono gli elementi sopracitati sia in via documentale (producendo ad esempio certificazioni mediche che attestino le patologie riportate dal lavoratore a seguito delle condotte mobilizzanti), sia in via testimoniale (chiamando a deporre colleghi di lavoro o altre persone): si tratta di una prova importante ma al contempo difficile da realizzare in quanto riuscire a trovare un collega che si espone mettendosi contro il datore di lavoro rischiando a sua volta è difficile. Possono considerarsi elementi di prova anche le e-mail, sms e i messaggi di WhatsApp soprattutto se contengono offese o calunnie nei propri confronti. [7]

 

 

 

 


FONTI:
[1]FERRARI M. “Violazione di regole di condotta connessa a potere discrezionale configura abuso d’ ufficio?” del 11 marzo 2021, disponibilequi:https://www.altalex.com/documents/news/2021/03/11/abuso-dufficio-violazione-regola-potere-discrezionale [2]Cassazione penale Sez. III, 25 settembre 2015, n. 44452 [3]NADDEO M. “La nuova struttura dell’ art. 323 c.p.” fascicolo n. 1 gennaio – febbraio 2021 disponibile qui: https://archiviopenale.it/la-nuova-strutturadellart323-cp/articoli/27062 [4]ORLANDINI M.E. “La riforma del reato di abuso d’ ufficio” del 7 ottobre 2020 disponibile qui: https://www.google.com/amp/s/www.iusinitinere.it/la-riforma-delreato-di-abuso-dufficio-30759 [5]BERTELLI MOTTA M. “Mobbing: la guida completa. Gli elementi costitutivi, i danni risarcibili, gli strumenti per difendersi” del 6 aprile 2020 disponibile qui: https://www.altalex.com/guide/mobbing [6]Cassazione penale Sez. VI , 7 ottobre 2020, n. 27905 (Mobbing para – familiare) chiarisce i casi in cui il mobbing ha rilevanza penale, in quanto riconducibili a maltrattamenti familiari puniti penalmente all’ art. 572 c.p.: “purché le condotte vessatorie si siano verificate in contesti lavorativi di dimensioni ridotte tali da ritenere che tra le parti coinvolte sussiste un rapporto di tipo para – familiare cioè rapporto caratterizzate da relazioni intensi e abituali.” [7]Mobbing sul lavoro: cos’è, quando è reato e come denunciare disponibile al link https//www.dequo.it/articoli/mobbing-come-denunciare

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