L’accertamento del pericolo di diffusione di materiale pedopornografico

L’accertamento del pericolo di diffusione di materiale pedopornografico

Con l’ordinanza n. 10167 del 6 marzo 2018, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione di diritto “se, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600-ter comma 1 n. 1 c.p., con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, sia ancora necessario, stante la formulazione introdotta dalla L. 6.2.2006 n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale, come richiesto dalla sentenza a Sezioni Unite 31.5.2000 n. 13, confermata dalla giurisprudenza di questa sezione anche dopo la modifica normativa citata”.

Il principio affermato nella sentenza n. 13 del 2000 postulava, segnatamente, che “il fatto di sfruttare minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico, salvo l’eventuale ipotizzabilità di altri reati, non deve necessariamente essere caratterizzato dal fine di lucro o dall’impiego di una pluralità di minori, ma deve avere una consistenza tale (attraverso elementi sintomatici da accertare di volta in volta) da implicare pericolo concreto di diffusione del materiale prodotto”.

L’originaria formulazione dell’art. 600-ter, primo comma, c.p. – come introdotta dall’art. 4 della l. 3 agosto 1998, n. 269 – puniva con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni, chiunque sfruttasse “minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico”.

Da un punto di vista finalistico, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sin da subito escluso (contrariamente a quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria) una interpretazione economicistica della locuzione legislativa “sfruttamento del minore”, che non poteva sovrapporsi ad una nozione di “sfruttamento per fini economici”, a fronte dell’interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice individuato nella tutela dello sviluppo sociale, psicologo, morale, fisico e spirituale del minore.

Da un punto di vista strutturale, la disposizione in commento veniva qualificata come fattispecie di pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico idoneo ad essere introdotto e veicolato nel circolo della pedofilia.

La mera detenzione di materiale pedopornografico per uso esclusivamente privato rientrava, invece, nella sfera di operatività del previgente art. 600-quater c.p,, che sanzionava il semplice possesso di tale materiale.

In consonanza con l’intervenuta ratifica, a mezzo della l. 11 marzo 2002 n. 46, del Protocollo opzionale alla Convenzione dei diritti del fanciullo e, soprattutto, con la Decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio del 22 dicembre 2003 in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e della pornografia infantile, il tessuto normativo degli artt. 600-ter e 600-quater c.p. è stato profondamente innovato, dapprima, ad opera dalla l. 06.02.2006, n. 38 e, da ultimo, dalla l. 1 ottobre 2012, n. 172 che ha delineato ex novo il contenuto dell’art. 600-ter c.p., inserendo il sesto ed il settimo comma, quest’ultimo contenente la definizione di “pornografia minorile”.

L’attuale formulazione dell’art. 600-ter, comma primo, c.p. punisce “ con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque: 1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto”.

Nonostante l’adozione di una più accurata tecnica di tipizzazione normativa in punto di esatta individuazione delle condotte penalmente rilevanti, l’orientamento della Corte di Cassazione ha continuato a qualificare anche la nuova fattispecie quale reato di pericolo concreto, confermando l’orientamento inaugurato sotto il vigore del previgente art. 600-ter c.p. dalla sentenza a Sezioni Unite n. 13/2000, costituendo il fine di lucro la linea di demarcazione rispetto alla mera detenzione di materiale pornografico punita da successivo art. 600-quater c.p.

Tale orientamento è stato sottoposto a revisione critica proprio dalle Sezioni Unite con la recente sentenza n. 51815 del 15 novembre 2018 con la quale, a seguito dell’ordinanza di rimessione della Terza Sezione Penale, si vede affermato il principio di diritto secondo cui “ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600-ter comma 1 n. 1 c.p., con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, non è più necessario, viste le nuove formulazioni della disposizione introdotte a partire dalla legge 6 febbraio 2006 n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale”.

Nel corpo motivazionale della sentenza, anzitutto, si sottolinea l’anacronismo della perdurante necessità del concreto accertamento del pericolo concreto di diffusione, a fronte dell’attuale accesso generalizzato ai canali informatici che non rappresentano più un quid pluris rispetto l’ordinaria detenzione di videocamere e fotocamere, quali strumenti di normale realizzazione e circolazione di materiale pedopornografico.

Inoltre, il superamento della necessità di accertare in concreto il pericolo di diffusione viene suggerito dalla stessa nuova formulazione tanto dell’art. 600-ter, quanto dell’art. 600-quater c.p., nel cui tessuto normativo il legislatore ha sostituito la locuzione di “utilizzazione” a quella di “sfruttamento”.

L’appropriata opzione normativa rappresenta un chiaro punto di approdo che riflette puntuali scelte sanzionatorie da tempo suggerite dalla più evoluta giurisprudenza interna e comunitaria, in perfetta aderenza con la centralità del bene giuridico tutelato a prescindere dall’ attingimento di eventuali locupletazioni illecite derivanti dalla commercializzazione del materiale pedopornografico.

Sin dalla novella del 2006, infatti, il sistema penal-minorile ha conosciuto una progressiva presa d’atto della necessità di abbandonare tecniche di tipizzazione fondate sul mero sfruttamento economico, conformando una norma di più ampio respiro che risulti effettivamente idonea a reprimere tutte quelle condotte che danno comunque origine a materiale pedopornografico in cui vengono utilizzati i soggetti minorenni, e che ha trovato naturale compimento, nel 2012, con l’introduzione della definizione di pornografia minorile.

Ritenere irrilevante il pericolo di diffusione risulta, peraltro, pienamente conforme ad una interpretazione teleologica tra l’art. 600-ter c.p. ed il successivo art. 600-quater c.p., nel cui alveo “di chiusura” refluiscono tutte quelle condotte non punibili in base al primo, che incrimina, piuttosto, la produzione di materiale pedopornografico equiparandola alla realizzazione di esibizioni o spettacoli pornografici (primo comma, n.1), laddove l’art. 600-quater c.p. incrimina il procurarsi ovvero il detenere il materiale in esame.

Proprio la presenza di un nucleo comune tra le due fattispecie, rappresentato dall’utilizzazione di minori per la produzione di materiale pedopornografico, deve indurre necessariamente ad una dequotazione del significato di “produzione” come interpretato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 13/2000 nel senso di “produzione di materiale destinato ad essere diffuso nel mercato della pedofilia”, a fronte della perdita di autonoma valenza rispetto al termine “realizzazione” utilizzato dal n.1, comma primo, dell’art. 600-ter c.p., con riferimento alle esibizioni ed agli spettacoli, con evidente assimilazione del concetto di “produzione” a quello di “realizzazione di materiale pedopornografico”.

Con specifico riferimento, poi, alle ipotesi di pornografia “domestica” – ossia della condotta di chi realizza materiale pornografico in cui sono coinvolti minori che abbiano raggiunto una adeguata maturità sessuale e di discernimento che consente loro di operare scelte in assoluta autonomia, dove la condotta di produzione e di detenzione di tale materiale sia assentita dal minore stesso ed utilizzata in àmbito esclusivamente privato – i timori di una “sovracriminalizzazione” possono essere fugati in base alla ortodossa interpretazioni delle fonti sovranazionali e, segnatamente, dell’art. 3, comma 2, della Decisione quadro del Consiglio n. 2004/68/GAI la quale consente che gli stati membri possano escludere dall’area della responsabilità penale, le condotte pedopornografiche assentite dai minori che abbiano raggiunto una idonea maturità sessuale e per uso esclusivamente privato.

Alla stregua delle su esposte coordinate ermeneutiche discende come il discrimine tra il penalmente rilevante ed il penalmente irrilevante in parte qua – allo scopo di fugare dubbi circa una paventata ed eccessiva dilatazione dell’aria di repressione o di overruling in malam martem – non deve essere individuato tanto nel consenso mancante del minore alla produzione di materiale pornografico, quanto piuttosto nella ricorrenza o meno della sua utilizzazione, intesa quale accezione di svilimento e vilipendio della moralità e fisicità dell’individuo.


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