L’Adunanza Plenaria sulla responsabilità precontrattuale della P.A. nell’affidamento di un contratto pubblico

L’Adunanza Plenaria sulla responsabilità precontrattuale della P.A. nell’affidamento di un contratto pubblico

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 21 settembre 2021, n. 21

Di recente il Supremo organo del Consiglio di Stato si è pronunciato in materia di responsabilità precontrattuale dalla Pubblica Amministrazione, nella veste di aggiudicatrice di un contratto pubblico.

Il caso di specie si incentra sull’esercizio dell’autotutela decisoria, volta ad eliminare gli effetti del provvedimento di aggiudicazione, già dichiarato illegittimo in sede giurisdizionale.

In particolare, l’annullamento d’ufficio, ex art.21 nonies L.241/90, veniva impugnato dall’impresa vincitrice, capogruppo di un RTI, adducendo la violazione da parte della P.A. del legittimo affidamento al buon esito della gara, nella sua forma civilistica della responsabilità precontrattuale ex art.1337 c.c.

L’Adunanza Plenaria è stata chiamata a stabilire i limiti entro cui sussiste la lesione dell’affidamento legittimo e qualificato, con annessa invocazione dell’istituto civilistico, a seguito di una revoca d’aggiudicazione per lavori, servizi e forniture, che, si badi, trova il suo presupposto legittimante in una pregressa pronuncia giurisdizionale.

Quest’ultima precisazione non è di poco momento, posto che in essa trova ragione la soluzione adottata nel caso specifico.

Per effettuare al meglio una disamina della pronuncia in oggetto è opportuno seguire l’iter logico-motivazionale della sentenza, scandagliando i principali istituti di riferimento.

Il tema della responsabilità civilistica, volta a ristorare il privato leso dalla P.A. nel corso di una procedura ad evidenza pubblica, non è affatto nuovo ed ha trovato sbocchi favorevoli in numerosi orientamenti giurisprudenziali.

La pronuncia de qua, con accuratezza di dettaglio, sottolinea infatti come il carattere impersonale delle procedure di affidamento non consente di escludere un’assimilazione a quella che in ambito civile viene definita fase prenegoziale delle trattative, la cui fonte normativa si rinviene negli artt.1337-1338 c.c.

Queste ultime disposizioni, come noto, sono poste a presidio tanto dell’interesse particolare, affinché il contraente non sia coinvolto in trattative inutili, quanto di quello generale, volto a salvaguardare la funzione economica del contratto, le cui attività preparatorie e prodromiche devono svilupparsi secondo correttezza e buona fede.

Una tale logica può osservarsi anche nella fase pubblicistica della gara ove, ferma restando la disciplina di settore (D.Lgs 50/2016 e ss.mm.), trova applicazione il principio generale di cui all’art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che: «(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede».

La disposizione, essendo una diretta applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento ex art.97 Cost., consacra il procedimento amministrativo quale luogo di composizione degli interessi contrapposti, mediante la leale collaborazione e protezione tra la parte pubblica e quella privata.

La differenza tra l’evidenza pubblica e la trattativa privata risiede nel fatto che l’obbligo di soggezione alla legittimità amministrativa deve conciliarsi con il principio di correttezza e lealtà nelle trattative, onde garantire al privato la coerenza che ci si spetterebbe oltre una certa fase del rapporto.

Non di meno, specifica la Corte, il principio di legittimità degli atti amministrativi da cui discende il potere di autotutela da un lato e i principi di correttezza e buona fede posti a presidio dell’obbligo di protezione dall’altro, operano su piani distinti, autonomi e non in rapporto di pregiudizialità.

Ciò implica un doveroso riconoscimento della tutela risarcitoria ex art.1337 c.c. in favore del concorrente, quante volte egli sia stato leso nel suo interesse negativo a causa di un atto d’annullamento che, seppur legittimo, è pervenuto in una fase della gara tanto avanzata da ingenerare nel soggetto un affidamento qualificato al buon esito del contratto, al pari di quanto accade nelle trattative private.

In altre parole, l’annullamento doveroso dell’atto illegittimo non esclude l’applicazione dell’art.1337 c.c. a carico della P.A.

Richiedono particolare attenzione le condizioni per le quali si possa discutere di “legittimo affidamento”.

Per orientamento pressoché conforme, l’affidamento può dirsi maturato con la venuta ad esistenza dell’atto di aggiudicazione alla stipula del contratto, la cui rimozione elide l’aspettativa del privato, cagionandogli un danno da interesse negativo.

Per completezza motivazionale la Plenaria, tuttavia, non può esimersi dal richiamare un orientamento contrastante della Corte di Cassazione, il quale ritiene sussistente l’affidamento (e la responsabilità precontrattuale) a prescindere dalla venuta ad esistenza di un atto di aggiudicazione, o meglio, dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione da parte del concorrente.

In realtà i due orientamenti sono solo apparentemente in contrasto, convergendo piuttosto nel qualificare il discrimen dell’aggiudicazione definitiva come un “rigido apriorismo”, che deve lasciar spazio ad un criterio elastico, incentrato sull’osservazione concreta dell’affidamento del privato (sul punto la Corte richiama il precedente, Adunanza Plenaria sentenza 4 maggio 2018, n. 5).

Si afferma infatti che l’affidamento risarcibile sussiste qualora “il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale”.

Così delineato il primo requisito, l’Adunanza Plenaria si concentra sul secondo criterio, avente ad oggetto l’elemento psicologico della condotta colposa dell’amministrazione, in conformità a quanto richiesto dalla responsabilità aquiliana di cui all’art.2043 c.c.

La violazione dei principi di correttezza e buona fede deve essere imputabile alla P.A. quantomeno a titolo di colpa, tenuto conto del modo in cui è stata disposta la revoca dell’atto favorevole.

Si deve infatti distinguere la revoca giustificata da una pregressa pronuncia giurisdizionale di annullamento, dalla rimozione dell’atto in forza di una valutazione discrezionale d’opportunità.

La Plenaria, sul punto, sottolinea il carattere eccezionale della sentenza di annullamento ex art.29 CPA, la cui essenza costitutiva fa assumere al destinatario dell’atto favorevole la veste di controinteressato, con la conseguenza che la conoscenza o conoscibilità della causa di illegittimità dell’aggiudicazione è evidente ed incide sulla condotta dell’appellante in termini di colpevolezza.

Più nello specifico, la situazione che viene a crearsi porta ad escludere che per il controinteressato si possa parlare di un affidamento incolpevole, in ragione del fatto che la sentenza ex art.29 CPA costituisce il presupposto per una condotta prevedibile e scontata da parte dell’amministrazione appaltante.

La disposizione che assume rilievo in questo caso è l’art.1338 c.c., a mente del quale non può riconoscersi il risarcimento da responsabilità precontrattuale quando la «parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte».

Il contenuto dell’art.1338 c.c. è stato interpretato (già da Cass. civ, III, 18 maggio 2016, n. 10156) nel senso che la conoscenza della causa di invalidità comune ad entrambe le parti (nel caso di specie la sentenza di annullamento), esclude che possa trovare applicazione l’art.1337 c.c., sussistendo, come affermato, la prevedibilità del ricorso all’art.21 nonies L.241/1990 da parte della P.A.

In ciò la Corte ravvisa anche un’altra importante differenza rispetto alla revoca ex art.21 quinquies L.241/90, caratterizzata da una nuova valutazione del pubblico interesse, che è cosa ben diversa dall’evidenza pubblica, con la differenza che l’obbligo di soggezione alla legittimità amministrativa deve conciliarsi con il principio di correttezza e lealtà nelle trattative, onde garantire al privato la coerenza che ci sia spetta oltre una certa fase del rapporto.


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