Lambretta: decade il celebre marchio italiano

Lambretta: decade il celebre marchio italiano

Il marchio Lambretta”, sebbene famosissimo in Italia e noto anche all’estero, non ha retto all’istituto della decadenza per non uso.

Il caso

La Corte di Cassazione con sentenza 7970 del 28 marzo 2017 ha messo la parola fine ad una lunga diatriba sorta tra la società Brand Concern BV (“BC”) e la Scooters India Ltd (“SI”). 

La società indiana SI era titolare dei marchi nazionali Lambretta” acquisiti dalla società British Motor Incorporation che, a sua volta, anni prima aveva incorporato la società Innocenti, titolare delle registrazioni contestate e risalenti al 1948, 1968 e 1969. 

Parallelamente, la società olandese BC nel 2007 aveva depositato più domande di registrazione di marchio comunitario comprensive della parola Lambretta” congiuntamente ad alcune varianti grafiche. 

La società indiana si rivolgeva al Tribunale, e la Corte di Appello riteneva decaduto il marchio per mancato uso. La SI allora, impugnava la sentenza in Cassazione, la quale, come si diceva in apertura, rigettava il ricorso.

La decisione

I giudici di legittimità hanno statuito che la notorietà, da sola, non è sufficiente ad evitare la decadenza per non uso di un marchio. Infatti il fatto che il ricordo del nome Lambretta” fosse ancora vivo nella memoria collettiva, italiana ed estera, non è bastato a salvare” il marchio a seguito del mancato uso. 

La Cassazione ha rilevato come la società Lambretta Italia S.p.A. avesse cessato di importare scooters in Italia fin dal 1985 e questa è stata la data ritenuta di intervenuta cessazione di uso effettivo del marchio. 

Sul punto la sentenza ribadisce un principio importante, ovvero: Non è dunque richiesto che il marchio, per decadere, abbia completamente perduto la sua capacità distintiva. (..) D’altro canto è sempre possibile che il consumatore conservi memoria di un marchio decaduto. Ma è significativo che tale circostanza non sia, in sé, nemmeno ostativa alla registrazione di un marchio ad esso identico o simile, essendo sufficiente, per il requisito della novità, che il primo sia decaduto per non uso’ .[così come previsto dall’art. 12, 2° co. c.p.i. e art. 17, lett. d) I. marchi, nel testo modificato col d.lgs. n. 480/1992]

Va sottolineato, tuttavia, che la Cassazione si è espressa applicando la legge vigente al momento dei fatti, ovvero l’art. 41 del R.D. n. 929 che, a differenza delle modifiche introdotte successivamente, nel 1992, non prevedeva che l’intervenuta decadenza potesse essere sanata con la ripresa tardiva dell’uso.

La Suprema Corte non ha, infatti, ritenuto di poter applicare la norma attualmente vigente prevista dall’art. 24, 3° comma del Codice della Proprietà industriale ed intellettuale, secondo la quale la decadenza per non uso può essere evitata qualora vi sia ripresa dell’uso effettivo del marchio prima che venga intrapresa l’azione giudiziale di decadenza. 

Nello specifico, avallando la decisione della Corte d’Appello, la Cassazione ha ritenuto che l’uso del marchio fosse cessato nel 1985 (anno in cui terminò l’importazione dei veicoli in Italia) e che nel 1988 si fosse compiuto il processo di decadenza.

Dunque la Cassazione ha ricordato come la mera rinnovazione della registrazione, cioè il cd rideposito”, non sia di per sé sufficiente a superare la sanzione della decadenza prevista dal legislatore, anche se può essere considerato indice della volontà di utilizzare, prima o poi, quel marchio (Cass. 6 ottobre 2008, n. 24637). 

Infine, in merito alla questione dell’onere della prova nel previgente assetto normativo, la Cassazione afferma che: In base alla giurisprudenza formatasi sul testo originario del r.d. n. 929/1942 e cioè in base alla disciplina normativa che qui rileva l’attore che agisca per la declaratoria di decadenza di un marchio brevettato, e che ha l’onere di provare il non uso di quel marchio nell’intero territorio nazionale, può assolverlo anche in via indiretta e presuntiva, purché con la prova di circostanze significative e concordanti idonee ad evidenziare tale non uso (Cass. 10 maggio 1984, n. 2866); in particolare, l’onere probatorio in questione, affinché non ne risulti praticamente impossibile l’adempimento, va inteso non nel senso che debba fornirsi la concreta dimostrazione del fatto storico che nessun oggetto contraddistinto col marchio contestato sia stato prodotto o venduto in alcuna località del territorio nazionale, ma nel senso che, accertate particolari circostanze connesse alla vita del marchio, il mancato uso di questo possa essere desunto anche in via di presunzione, avuto pure riguardo alla possibilità che normalmente ha il suo titolare di contestare il valore presuntivo degli elementi dimostrati dalla parte avversa (Cass. 9 dicembre 1977, n. 5334)».

Conclusioni

Appare evidente come la norma sulla decadenza intenda evitare che si possa riservare l’esclusiva di un marchio ad libitum per un periodo di tempo indefinito, stabilendo un periodo di cinque anni, trascorso il quale in mancanza di un effettivo utilizzo la registrazione del marchio decade. 

Dunque la statuizione del termine di decadenza per non uso voluta dal legislatore (anche comunitario ed internazionale) indica una forte sensibilità verso il problema di evitare riserve prolungate del marchio, prive di alcuna utilizzazione e quindi di alcuna evidenza sul mercato. Il rideposito” effettuato successivamente al maturare del periodo di decadenza, nonostante possa essere considerato indice della volontà di utilizzare prima o poi quel marchio, non vale a superare la sanzione della decadenza voluta dal legislatore.

La prova del mancato utilizzo di un marchio costituisce prova di circostanza negativa e, secondo l’art. 121 c.p.i. della normativa vigente, si può far ricorso a qualunque mezzo probatorio, comprese le presunzioni semplici. In tal senso, possono ritenersi idonee a comprovare il non uso le testimonianze di esperti del settore, la verificata assenza del marchio nei cataloghi dell’impresa, nei listini pubblicitari, ovvero negli abituali canali distributivi commerciali delle specifiche tipologie di prodotto.

I giudici di Piazza Cavour con tale pronuncia hanno implicitamente affermato quanto sia importante l’uso effettivo del marchio che si può concretizzare, non solo nella vendita (non sporadica) di prodotti e servizi contraddistinti dal marchio registrato, ma anche nell’attività di investimenti pubblicitario. 

È quindi prioritario, per i titolari di marchi, archiviare scrupolosamente ogni documentazione comprovante l’uso del segno come: cataloghi, fatture, contratti di licenza e ogni altra tipologia di documentazione in grado di comprovare l’uso effettivo in relazione al periodo di interesse.


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