L’amministrazione di sostegno nella tutela dell’anziano

L’amministrazione di sostegno nella tutela dell’anziano

Sommario: 1. Premessa – 2. Le forme di tutela previste dal codice civile – 3. Profili processuali dell’amministrazione di sostegno

 

1. Premessa

Con l’aumento dell’aspettativa di vita e la sempre crescente preoccupazione per una società caratterizzata da un costante depauperamento demografico, almeno nei paesi “cd. occidentali”, nell’ultimo ventennio è aumentata la preoccupazione del Legislatore nel cercare forme sempre maggiori di tutela nei confronti degli anziani.

Seppur vero che sin dagli albori della civiltà moderna si è sempre cercato un modello di tutela delle persone “deboli”, nell’ordinamento italiano a lungo identificate, quasi esclusivamente, nelle ipotesi di incapacità civilisticamente note, in special modo legando a doppio filo il fenomeno della tutela all’alveo della capacità di agire, negli ultimi anni tale orientamento parrebbe aprirsi a nuove prospettive caratterizzate da un approccio di taglio pratico dettate da nuove esigenze, del tutto o in parte, estranee nella società del 1942.

La riscoperta del piacere nel cogliere aspetti della vita di un tempo, la possibilità di usufruire di veri e propri archivi storici serbati nella memoria di chi, ad oggi con vergogna, abbiamo tanto a lungo considerato un peso per la società e l’insegnamento costante ed amorevole fornitoci nei tornanti del passaggio generazionale hanno fatto sì che la società mutasse il proprio punto di vista, le proprie priorità e i propri interessi di tutela, estendendoli ben oltre l’orizzonte dell’ovvio (minore età, incapacità etc.).

Infatti, accanto agli strumenti di tutela posti dal Titolo XII del Libro primo del Codice civile rubricato «Protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia», il forte sentimento sociale caratterizzato da una forma di
maternalismo nei confronti degli anziani ha portato a reputare tali soggetti quali meritevoli di tutela, non in quanto incapaci di badare da sé ai propri interessi con la conseguente limitazione totale o parziale della capacità di agire ledendone apertamente il diritto all’autodeterminazione bensì esclusivamente come persone “deboli” ma, tuttavia, capaci di autodeterminarsi.

In tale contesto appare doveroso citare la “nuova” definizione di anziano fornita dalla professoressa Bianca Gardella Tedeschi quale «nuovo soggetto giuridico portatore di istanze e bisogni diversi».

2. Le forme di tutela previste dal codice civile

Come summenzionato, purtroppo, ad oggi l’unica tutela in ambito civile prevista per agli anziani è strettamente legata alla presunzione circa la loro “non autosufficienza”.

Infatti, il disinteresse tanto a lungo mostrato dal Legislatore e la propria estraneità all’evoluzione sociale di settore, ha inevitabilmente comportato una discrasia tra interessi da tutelare sul piano pratico ed astrattezza nelle previsioni di tutela genericamente applicabili.

Nel riferirci ai rimedi a tutela dell’anziano “non autosufficiente” risulta sempre necessario fare riferimento a due nozioni di diritto civile: “capacità di agire” quale «idoneità a porre in essere in proprio atti negoziali destinati a produrre effetti nella propria sfera giuridica».

A norma dell’art. 2 c.c. la capacità di agire si acquista, di norma, al raggiungimento della maggiore età; tuttavia, tale capacità può venir meno per la sopravvenienza di fattori, naturali o meno, tali da rendere il soggetto non più idoneo a gestire personalmente le situazioni proprie giuridiche perdendo quindi la propria cd. capacità negoziale (es. infermità psico-fisica, perdita della facoltà di intendere e volere etc.). Se ne deduce, con palese evidenza, che mentre la ratio originale dell’amministrazione di sostegno avrebbe dovuto tendere alla rimozione di quegli ostacoli psicofisici tali da impedire al beneficiario di esprimere e sviluppare la propria personalità, in termini effettivi e da consolidata casistica giurisprudenziale parrebbe che la tutela verta, invece, a voler salvaguardare gli interessi patrimoniali del soggetto debole atta ad impedendogli di porre in essere atti negoziali validi ed efficaci. Tra i rimedi ad oggi previsti dal Codice del ’42 spicca certamente l’istituto dell’Amministrazione di sostegno (Attuato a seguito della promulgazione della Legge n. 6 del 09 gennaio 2004; cfr. anche Legge n. 180 del 15 marzo 1978 e Legge n. 833 del 23 dicembre 1978) particolarmente utilizzato nella pratica giudiziaria proprio in ordine alla minore invasività sull’autonomia soggettiva rispetto ad altri istituti quali l’interdizione o l’inabilitazione. Ebbene, la disposizione di cui all’art. 404 c.c. così recita: «La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio».

Proprio il carattere testuale della norma in questione, laddove precisa “per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica” sembra, spesse volte, non potersi fondere con la realtà di taluni casi. Non è infrequente che, difatti, una persona anziana sia, tanto fisicamente quanto psicologicamente, sana ma che, comunque, abbisogni di un mero ausilio nello svolgimento di talune attività, non soltanto inquadrabili in attività fisiche quanto, il più delle volte, in una mera necessità di attenzioni e compagnia.

Da qui deriva la invocata richiesta, negli ultimi anni rivolta al Legislatore, di apportare innovazioni nel sistema di tutele, estendendo l’ambito di applicazione anche al di fuori di comprovare esigenze psicofisiche previste dal 404 ss. c.c..

3. Profili processuali dell’amministrazione di sostegno

Come su evidenziato al fine di poter procedere alla nomina di un amministratore di sostegno è necessario essere in presenza di un soggetto affetto congiuntamente da infermità o menomazione psicofisica e dall’impossibilità di provvedere autonomamente ai propri interessi.

Proprio il requisito di una menomazione di natura psichica rileva particolarmente; lo stesso, infatti, sarebbe particolarmente rilevante in quanto tale da poter richiedere l’emanazione di diversi provvedimenti alternativi all’amministrazione di sostegno (inabilitazione ed interdizione). Infatti, al fine di valutare quale tra i suddetti strumenti sarebbe maggiormente tutelante e meno afflittivo e limitativo, appare necessario valutare il concreto grado di menomazione psichica. In ogni caso di fronte ad una patologia che legittimerebbe sia una pronuncia di interdizione sia l’apertura di un’amministrazione di sostegno, la prima alternativa è praticabile soltanto allorquando lo strumento di protezione costituito dall’amministrazione di sostegno risulti inidoneo ad assicurare adeguata protezione agli interessi della persona incapace. Di qui, come detto, il carattere residuale dell’interdizione giudiziale (cfr. Cass. n. 4866 del 01 marzo 2010, Cass. n. 17421 del 24 luglio 2009); ovviamente, ciò trova giusta ragione laddove mentre in caso d’interdizione si provvede alla nomina di un tutore che si sostituisce in tutto e per tutto all’interdetto, nell’amministratore di sostegno la funzione dell’amministratore è quella non di sostituirsi bensì di affiancare la persona che necessiti di assistenza nel compimento dei propri atti giuridici.

Quanto al procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno questo può essere promosso dallo stesso soggetto interessato, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o dal curatore e dallo stesso pubblico ministero nonché dai responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura della persona.

A seguito della richiesta, il primo compito del giudice tutelare è quello di procedere all’audizione dell’interessato, anche mediante audizione domiciliare laddove sussista una impossibilità per l’interessato di muoversi e/o viaggiare.

Lo stesso articolo 407 co. 2 c.c. stabilisce che il giudice nell’emettere il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno «deve valutare non solo gli effettivi bisogni o necessità dell’amministrando, ma anche le sue esplicite richieste». Il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno una volta emesso viene depositato nella cancelleria del giudice tutelare (momento da cui decorrono gli effetti del provvedimento) per poi procedere all’annotazione nel registro delle amministrazioni di sostegno. Il provvedimento deve poi, entro dieci giorni, essere comunicato all’ufficiale di stato civile che provvede all’annotazione a margine all’atto di nascita.

Gli effetti dell’amministrazione di sostegno, a differenza di quelli dell’interdizione e dell’inabilitazione che sono predeterminati per legge, sono determinati dal giudice tutelare caso per caso in ragione delle differenti necessità dei soggetti interessati e possono essere anche ed in ogni momento modificati in o integrati.

Per molti anni vi è stata la tendenza ad individuare la persona dell’amministratore di sostegno tra i componenti della cerchia familiare; ad oggi tale tendenza parrebbe essere superata in favore di una scelta operata tra soggetti estranei al nucleo familiare in quanto scelta maggiormente garantista degli interessi dell’interessato, come recentemente precisato dalla Cassazione (Cass. Ordinanza n. 26736/2021).

Quanto ai doveri degli interessati all’istituto, dovere principale del giudice tutelare è certamente l’individuazione di quegli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario nonché degli atti per i quali l’amministratore deve dare esclusivamente il proprio assenso, limitandosi così a prestare assistenza al beneficiario. Al fine di operare tale scelta il giudice deve perseguire l’obiettivo della «minore limitazione possibile della capacità di agire dell’interessato» a garanzia dell’autodeterminazione del soggetto amministrato.

Quanto poi ai doveri dell’amministratore di sostegno, primo fra tutti spicca quello di rendicontare/relazionare periodicamente il giudice tutelare in ordine all’attività svolta. L’amministrazione di sostegno, infine, è un istituto che non ha durata illimitata ma è soggetto al termine di cessazione delle necessità per cui viene richiesto. È, infatti, possibile procedere alla revoca del provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, qualora il beneficiario riacquisti la piena capacità di agire.


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Dott. Carmine Antonio Ambrosio

Il Dott. Carmine Antonio Ambrosio ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense nel 2021 dopo aver svolto con successo il periodo di pratica obbligatoria ed aver partecipato attivamente alla Scuola forense del Molise ottenendone il riconoscimento. Ha svolto i propri studi presso l'Università degli Studi del Molise presso cui si è laureato in Giurisprudenza, laurea magistrale a ciclo unico, nel 2019 discutendo una tesi in diritto privato dal titolo "I patti di famiglia" sotto la guida del Prof. Antonio Palmieri. Dall'anno 2020 collabora con le cattedre di diritto civile e diritto privato presso l'Università degli Studi del Molise. Attualmente lavora presso lo Studio Legale Avv. Costantino D'Angelo & Associati, occupandosi del contenzioso civile. Dall'anno 2020 è iscritto presso gli elenchi ministeriali come Mediatore delle controversie civili e commerciali a seguito del superamento del relativo esame; Sempre nell'anno 2020 ha seguito un corso di Alta formazione per Giudice arbitro civile ADR. Contatti: carmine.ambrosio@hotmail.it.

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