L’ammissibilità dei danni punitivi nell’ordinamento giuridico italiano

L’ammissibilità dei danni punitivi nell’ordinamento giuridico italiano

L’istituto giuridico dei danni punitivi – tipico degli ordinamenti di common law –  riconosce al soggetto che abbia subito un danno di ottenere un risarcimento ulteriore rispetto a quello necessario per compensare il danno subito, se prova che il danneggiante abbia agito con dolo o colpa grave. Senza ombra di dubbio, tale istituto amplia le funzioni della responsabilità civile, ed invero, a quelle risarcitorie e compensative, tipiche della sanzione civile, si sovrappone una funzione punitiva, tipica della sanzione penale. La finalità cui mira l’istituto dei danni punitivi è duplice, infatti, da un lato mira a disincentivare la produzione di danni da parte dei consociati, dall’altro mira ad incentivare la promozione di azioni risarcitorie da parte di chi subisce danni nei confronti di chi li genera.

Il risarcimento dei danni punitivi è estraneo agli ordinamenti di civil law in quanto ritenuto incompatibile con il principio di separazione tra il diritto civile e il diritto penale, più esattamente, è stato ritenuto che la funzione punitiva debba essere affidata esclusivamente alle norme penali.

Nel panorama giurisprudenziale italiano, si sono registrati orientamenti contrastanti circa l’ammissibilità dei danni punitivi nell’ordinamento giuridico. Ed invero, la Corte di Cassazione con sentenza n° 1103/2007  ha ritenuto che l’istituto di cui ut supra sia in contrasto con il concetto di ordine pubblico interno, e rifiutandosi quindi di riconoscere una sentenza straniera in Italia che prevedeva la condanna al pagamento dei danni punitivi, ha statuito: “Alla responsabilità civile è affidato il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione anche mediante l’attribuzione al danneggiato di una somma che tenda ad eliminare le conseguenze del danno subito mentre resta estraneo al sistema l’idea della punizione e della sanzione della responsabilità civile”. Più recentemente, si sono susseguite significative pronunce giurisprudenziali che hanno accordato al risarcimento del danno una funzione deterrente e sanzionatoria, oltre che esclusivamente riparatoria, e più precisamente,  la Corte di Cassazione con sentenza n. 7613/2015 ha ritenuto: “è noto come allo strumento del risarcimento del danno, cui resta affidato il fine primario di riparare il pregiudizio patito dal danneggiato, vengano ricondotti altri fini con questo eterogenei, quali la deterrenza o prevenzione generale dei fatti illeciti (…) e la sanzione (l’obbligo di risarcire costituisce una pena per il danneggiante). Si riscontra, dunque, l’evoluzione della tecnica di tutela della responsabilità civile verso una funzione anche sanzionatoria e deterrente, sulla base di vari indici normativi (…)”.

Alla luce dell’evidente contrasto giurisprudenziale,  la Prima Sezione della Corte di Cassazione – con l’ordinanza interlocutoria n° 9978 del 16 maggio 2016 – ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla possibile delibazione in Italia di sentenze straniere di condanna al pagamento di danni punitivi.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite  con la recentissima sentenza n° 16601/2017 – accogliendo il concetto di ordine pubblico internazionale inteso quale complesso di principi fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti desumibili da sistemi di tutela approntati da fonti sovranazionali – ha definitivamente riconosciuto l’ammissibilità nel nostro ordinamento dei c.d. “Punitive Damages” purché siano rispettate le disposizioni di cui agli artt. 23 e 25 della Costituzione, e dunque, qualora giudice straniero abbia condannato – una persona fisica o una persona giuridica – ad un risarcimento punitivo in virtù di una norma di legge che sia entrata in vigore prima del fatto illecito che abbia determinato il danno, e pertanto,  che rispetti i principi di tassatività e prevedibilità.


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