L’articolo 4 dello statuto del lavoro: limiti ed ammissibilità dei controlli difensivi

L’articolo 4 dello statuto del lavoro: limiti ed ammissibilità dei controlli difensivi

La disciplina dei controlli sull’attività lavorativa condotta dal datore di lavoro è oggi oggetto di particolare attenzione; ciò è conseguenza anche della recente pandemia che ha visto lo svilupparsi di nuove modalità di svolgimento della prestazione di lavoro: si pensi, in primis, al lavoro da remoto.

Tali controlli sono stati da sempre sotto una lente di ingrandimento poiché visti con una “certa preoccupazione” da parte dei lavoratori che li reputano quali strumenti limitativi della libertà individuale. Si deve aggiungere che la disciplina di tali controlli è stata oggetto di riforma normativa. Il decreto legislativo n. 151/2015, noto come JOB’S Act ha novellato l’art. 4 della L.300/70 ampliando sia i tipi di controllo che la loro “intensità” pur restando ferma la finalità dei controlli che devono essere esercitati: “esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.

In tema di controlli difensivi è di recente intervenuta una pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 25732 del 22.09.2021) con la quale l’organo nomofilattico si è espresso sul contenuto dei controlli e sulla novella legislativa dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.

Nel caso di specie la IV sezione della Suprema Corte si è pronunciata in ordine alla legittimità del licenziamento di una lavoratrice avvenuto a seguito dei controlli ex art 4 dello Statuto. Il licenziamento era stato, infatti, consequenziale ad una provata attività della lavoratrice che aveva causato un danno ai sistemi software dell’azienda.

Dall’istruttoria probatoria del procedimento era emerso, in particolare, che la ricorrente/lavoratrice aveva più volte, e in pieno svolgimento dell’attività lavorativa, utilizzato il pc aziendale per fini privati; era stato appurato che dal download di un file si era propagato un virus informatico che aveva danneggiato i files della Fondazione/datore di lavoro.

La ricorrente, lavoratrice, lamentava  la illegittima acquisizione della cronologia della navigazione da parte del datore di lavoro; in particolare, la lavoratrice sosteneva che la cronologia, acquisita in occasione del propagarsi del virus, non poteva poi essere utilizzata per fini disciplinari ed a sostegno del procedimento di licenziamento. Inoltre a sostegno della sua tesi, la ricorrente riteneva che i dati acquisiti in occasione del monitoraggio del virus, avevano poi esorbitato quei fini per i quali erano stati concessi. A supporto, infine, sottolineava che la stessa Autorità della privacy aveva emanato un provvedimento che confermava l’esuberanza del trattamento rispetto alla finalità.

La Corte, dapprima, ha ricostruito la figura dei controlli difensivi e successivamente ha individuato il contenuto dei controlli a distanza del novellato articolo 4 Statuto dei lavoratori.

La S.C. ha evidenziato come i controlli difensivi costituiscono un utile strumento dato al datore di lavoro per la difesa dell’azienda e dell’attività produttiva da comportamenti illeciti e sono un diverso strumento rispetto a quelli previsti dall’art 4 dello Statuto dei lavoratori. Questi ultimi, a seguito dell’intervento legislativo che ne ha sostanzialmente ampliato la portata restano confinati all’interno dell’attività produttiva e possono essere effettuati nell’ambito delle modalità di cui ai commi 2 e 3 dello stesso art. 4 citato.

Tale distinzione – ha evidenziato la Corte – doveva essere fatta propria dalla Corte territoriale; infatti l’errore in cui è incorso il giudice del merito è rappresentato dal fatto che tali controlli, correttamente inquadrati quali “controlli difensivi”, non potevano però essere raccolti ed utilizzati ai fini disciplinari. La Corte ha, infatti, evidenziato <<l’erroneità della statuizione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dei presupposti della legittimità del “controllo difensivo” posto in essere dal datore di lavoro in assenza della verifica se esso avesse ad oggetto esclusivamente dati informatici raccolti successivamente all’insorgere del “fondato sospetto”…>>.

Pertanto la Suprema Corte, pur non condividendo, l’impostazione di fondo del motivo della ricorrente volto ad escludere la sopravvivenza della legittimità del controlli difensivi, ha accolto lo stesso ritenendo prevalente la mancanza dei presupposti di utilizzabilità ai fini disciplinari dei controlli difensivi.

La Cassazione ha elaborato, in conclusione, il seguente principio di diritto: <<Sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto. Non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua della L. n. 300 del 1970, art. 4, in particolare dei suoi commi 2 e 3>>.


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