L’assegno di divorzio va riconosciuto anche all’ex moglie che lavora in nero

L’assegno di divorzio va riconosciuto anche all’ex moglie che lavora in nero

La Cassazione, con ordinanza n. 11202/2020, è tornata sulla questione relativa all’attribuzione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, che deve avvenire sulla base dei criteri indicati dall’art. 5 comma 6 della legge 898/1970 (legge sul divorzio) come interpretato recentemente dalle Sezioni Unite. In particolare, con il suddetto provvedimento la Corte ha enucleato un importante principio di diritto: l’assegno di divorzio va riconosciuto anche all’ex che lavora in nero.

Prima di raccontare i fatti, rispolveriamo l’art. 5 comma 6 della legge sul divorzio. Questo annovera tra i criteri per la quantificazione ed il riconoscimento dell’assegno: – le condizioni economico-patrimoniali dei coniugi; – il contributo dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune o personale dei coniugi in costanza di matrimonio; – la durata del rapporto di coniugio.

Ebbene, con sentenza n. 18287/2020 le Sezioni Unite hanno interpretato tale norma, enunciando che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5 comma 6 della l. n. 898 del 1970 richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Il giudizio dovrà essere espresso alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

In breve, il giudice non può decidere solo sulla base della situazione reddituale e patrimoniale del coniuge richiedente, ma deve considerare anche tanti altri elementi, tutti decisivi ai fini della decisione. Non solo. L’assegno va riconosciuto anche per poter eguagliare le posizioni economiche degli ex coniugi: in ciò consiste la sua funzione compensativa e perequativa.

Tutto ciò, però, non è stato valutato né dal Tribunale né dalla Corte d’appello aditi.  

La vicenda. In primo grado il Giudice rigettava il ricorso di una donna che chiedeva il riconoscimento dell’assegno divorzile. Motivo? La stessa lavorava in nero come collaboratrice domestica, pertanto era considerata indipendente ed autosufficiente economicamente. Non cambiava nulla in secondo grado. La Corte d’appello di Napoli, infatti, confermava la decisione del Tribunale. 

Il ricorso in Cassazione. La donna adisce dunque la Corte di legittimità, lamentando che: – i Giudici di secondo grado non hanno applicato i criteri di determinazione dell’assegno divorzile fissati nell’interpretazione dell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio data dalle Sezioni Unite con provvedimento n. 18287/2018. Segnatamente: il contributo alla formazione del patrimonio familiare e personale di entrambi i coniugi in ragione della durata del matrimonio; – la Corte d’appello non ha considerato che, nei fatti, la donna ha contribuito a formare il patrimonio della famiglia e personale dell’ex marito durante il rapporto di coniugio. Fatto decisivo ai fini della decisione. 

La Cassazione: l’ex ha diritto all’assegno divorzile anche se lavora in nero. La Suprema Corte, con ordinanza 11202/2020, accoglie il ricorso, ritenendo fondato il primo motivo che per i suoi contenuti assorbe il secondo. Secondo gli Ermellini, la Corte d’appello ha basato la sua decisione esclusivamente sull’autosufficienza economica della donna in quanto lavoratrice. Non ha, invece, considerato altri elementi previsti dall’art. 5: segnatamente che la stessa ha contribuito alla formazione del patrimonio familiare e dell’ex marito durante il matrimonio. Elemento fondamentale ai fini del riconoscimento dell’assegno e del quale la richiedente ha fornito prova.

Non solo. La Corte non ha nemmeno considerato che la ricorrente, seppur lavoratrice, non versa nella stessa situazione economica e reddituale dell’ex marito. Ciò che le garantisce il diritto all’assegno di divorzio in virtù della sua funzione perequativa e compensativa.

Alla luce di tutti questi elementi la Cassazione accoglie il ricorso della donna, che quindi ha diritto all’assegno di divorzio anche se lavora in nero.


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