L’assegno di mantenimento e la capacità lavorativa del coniuge

L’assegno di mantenimento e la capacità lavorativa del coniuge

L’assegno di mantenimento viene corrisposto in caso di separazione o divorzio da uno dei due coniugi al partner economicamente più debole e agli eventuali figli della coppia.

Il mantenimento viene corrisposto dietro esplicita richiesta di uno dei coniugi quando questi non sia titolare di adeguati redditi propri, e garantendo sempre il mantenimento del tenore di vita esistente prima della separazione.

Per quanto riguarda i figli, invece, l’obbligo al mantenimento permane fino al raggiungimento della maggiore età e poi fino alla conquista di un’autosufficienza economica in linea con le normali condizioni di mercato.

Ma cosa succede se il coniuge che in astratto avrebbe diritto al mantenimento è giovane ed in grado di lavorare? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 789 del 13 gennaio 2017, ha dato un’importante indicazione in merito.

Vediamo allora in quali casi l’ex coniuge in grado di lavorare non ha diritto al mantenimento.

L’assegno, dunque, viene corrisposto all’ex partner quando questi non abbia adeguati redditi propri. Ma nello specifico bisogna valutare due fattori: innanzitutto l’oggettiva capacità economica del coniuge costretto a pagare l’assegno, e poi la capacità di lavorare dell’ex a cui è stato assegnato il mantenimento.

Con frequenza sempre maggiore negli ultimi anni, infatti, la Cassazione ha ribadito che in sede di determinazione dell’assegno da corrispondere va valutato ogni reddito e ogni capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica, inclusa l’attitudine al lavoro proficuo. Ad esempio, con la sentenza n. 11870 del 9 giugno 2015 la Cassazione ha negato l’assegno di mantenimento ad una moglie poiché aveva la capacità di lavorare, seppur con un’attività saltuaria

Infatti, nel caso in cui il coniuge teoricamente più “debole” disponga di adeguate risorse, l’assegno potrebbe essere considerevolmente ridotto o addirittura negato.

Proprio la citata sentenza del 2015 segna uno spartiacque tra le situazioni in cui vi è effettiva situazione di bisogno della donna – situazioni in cui l’assegno di mantenimento assume una valida giustificazione – e altre invece in cui lo stato di bisogno è solo il frutto del capriccio e della pigrizia – nel cui caso, invece, il mantenimento va negato -. In particolare, l’inversione di rotta segnata dalla Suprema Corte (rispetto a un passato non troppo recente) consiste nell’affermare che la donna giovane, in grado di lavorare e, quindi, di reperire con la propria attività quel reddito necessario a mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva durante il matrimonio, non ha diritto ad alcun mantenimento. E ciò anche se, durante l’unione, svolgeva mansioni di casalinga.

Insomma, ciascuno dei due ex coniugi deve badare a sé stesso e non c’è modo di obbligare l’uomo a mantenere la donna se quest’ultima ha le risorse fisiche e mentali per guadagnare. A tal fine, anche un’attività saltuaria potrebbe rilevare come motivo per chiedere la revisione delle condizioni di mantenimento e azzerare l’assegno. Tuttavia l’aspetto forse centrale di tutto questo discorso è che ora l’onere della prova ricade sulla donna e non più sul marito.

L’aspetto più interessante della sentenza in commento è che la Corte rigetta la domanda di mantenimento della donna, una casalinga, per non aver questa fornito alcuna prova dell’oggettiva impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio. In altre parole, l’importanza del principio affermato in sentenza è quello secondo cui la dimostrazione della “difficoltà economica” e della “impossibilità a procurarsi un reddito” spetta alla donna.

L’assegno, insomma, non diventa più una misura automatica, che scatta per il solo fatto della separazione tra i due coniugi.

Anzi, il rifiuto di una concreta opportunità lavorativa potrebbe, infatti, essere interpretato, secondo le circostanze, come rifiuto o non avvertita necessità di un reddito, giustificando, pertanto, l’esclusione per il coniuge inattivo dal diritto al mantenimento.

Pertanto, il giudice opterà per una riduzione dell’assegno se nella quantificazione della somma rilevi una totale mancanza di volontà dell’ex coniuge di trovare un impiego lavorativo, remunerato in modo da poter provvedere al proprio mantenimento.

La scelta quindi di non lavorare, per quanto libera e consentita, incide pertanto sulla quantificazione dell’ammontare dell’assegno, assurgendo a ragguardevole e sostanziale parametro.

Analogamente, anche successivamente, la cifra elargita dall’ex marito a titolo di assegno di mantenimento, può essere revisionata e ridimensionata se l’ex moglie non si impegna a trovare un’occupazione anche a tempo parziale, a meno che la stessa non possa dimostrare una comprovata inabilità, non scientificamente sconfessabile o difficoltà oggettive di inserimento nel mercato del lavoro che non siano dipese da un atteggiamento di inerzia nella ricerca attiva o dalla negazione di una doverosa adattabilità e fungibilità nell’articolato meccanismo di gestione delle procedure di incontro tra domanda e offerta, agevolando la costituzione del rapporto di lavoro (Cass. 11645/2012).


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Avv. Teresa Rullo

Iscritta all'albo degli Avvocati da febbraio 2016. Laureata in giurisprudenza nel marzo 2012 presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "La Conferenza dei Servizi", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Subito dopo la laurea, nel 2012, ha iniziato la pratica forense presso uno studio legale specializzato in diritto civile. Nel dicembre 2013 ha iniziato a collaborare con un altro studio legale multidisciplinare di medie dimensioni occupandosi, prevalentemente, del contenzioso civile. negli anni 2015 e 2016 ha seguito il Corso di Perfezionamento in Alti Studi Politici presso l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, conseguendo l'attestato finale. Attualmente svolge autonomamente la professione di Avvocato e collabora saltuariamente con uno studio legale operante sia nel settore civile che penale.

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