L’atto amministrativo e il suo ruolo nella fattispecie di reato, in particolare nei delitti di concussione e corruzione

L’atto amministrativo e il suo ruolo nella fattispecie di reato, in particolare nei delitti di concussione e corruzione

La logica sottesa nel diritto rappresenta uno dei più intricati meccanismi di consequenzialità e ragionevolezza sul piano umanistico e scientifico. Il ruolo dell’atto amministrativo nella fattispecie di reato è una tematica paradigmatica che rende evidente questa caratteristica.

Occorre compiere, al fine di rendere esaustiva e completa l’analisi, uno studio trasversale e alcune considerazioni sistematiche. Innanzitutto, come parte della dottrina e della giurisprudenza hanno attenzionato, i profili problematici derivano tendenzialmente dal fatto che l’atto amministrativo e il reato appartengono a due rami diversi dell’ordinamento: il diritto amministrativo e il diritto penale.

I due diversi ambiti del diritto hanno un impatto diretto sulla società e su quello che è pubblico. In particolare il loro rapporto si sostanzia in un concatenamento: il diritto penale ritaglia quella parte di realtà definito dall’ordinamento del diritto amministrativo e lo consegna alle proprie regole.

L’analisi sul rapporto tra atto amministrativo e reato deve essere anticipata dal concetto di atto amministrativo, altresì, nel diritto penale.

Nell’ordinamento amministrativo tale nozione deve essere intesa sulla base del noto schema norma-potere-effetto. Ciò significa che l’effetto configura la conseguenza dell’esercizio del potere da parte della PA. Nello specifico la categoria di atto amministrativo rappresenta un atto giuridico proveniente da una autorità amministrativa nell’esercizio della funzione pubblica, ed indica gli atti strumentali, serventi e ausiliari che nell’ambito di un procedimento amministrativo precedono o preparano la decisione o la seguono ovvero ne assicurano l’efficacia. In questo ambito del diritto non si rinviene ad una disciplina espressa e generale che definisca la funzione e gli effetti dell’atto amministrativo. Infatti, a tal proposito, la norma funge da parametro di verifica del rispetto dei presupposti e dei limiti formali e sostanziali imposti all’esercizio del potere funzionale nel suo tradursi in atto a fini di controllo e di verifica giustiziali e giurisdizionali.

Nel diritto penale, invece, l’atto amministrativo fa riferimento anche agli atti emessi nell’ambito di una relazione paritetica e che trova riscontro nello schema norma-fatto-effetto oltre che alla situazione mista degli accordi integrativi di cui all’art. 11 della L. 241/1990. In questo ultimo schema la norma disciplina direttamente il fatto e vi collega la produzione di effetti e in questo caso l’amministrazione può essere coinvolta.

Inoltre, il diritto penale designa l’atto amministrativo come una formula astrattamente idonea a designare qualsiasi attività della pubblica amministrazione e dei soggetti equiparati estendendo tale nozione al punto di ricomprendere altresì i comportamenti, gli accordi sostitutivi di provvedimenti e l’attività negoziale.

Pertanto l’attività amministrativa intensa in tal senso acquista rilevanza penale allorquando è preordinata al proseguimento dell’interesse pubblico e sottoposta ai principi sostanziali dell’azione amministrativa come imparzialità, trasparenza, proporzionalità e buon andamento. L’atto amministrativo, inteso sotto questa prospettiva più ampia, può giungere ad integrare la fattispecie di reato fino a diventarne un elemento costitutivo.

A seguito di questa breve premessa si può definire il ruolo che assume l’atto amministrativo nella fattispecie di reato. Attraverso una analisi argomentativa l’atto amministrativo può assume una duplice conformazione all’interno della fattispecie a cui viene iscritto. Si può configurare una rilevanza esterna allorquando si colloca al di fuori della fattispecie di reato e, altresì, una rilevanza interna nell’ipotesi in cui l’atto integra uno degli elementi della fattispecie penale.

Nella circostanza in cui l’atto si colloca in una posizione esterna del reato sono rispettivamente tre le ipotesi configurabili. Una prima ipotesi è da rinvenire negli atti normativi sub-legislativi che concorrono a definire l’ambito di incriminazione. Fra queste vi rientrano i regolamenti ovvero le norme che integrano le norme penali in bianco. Altra possibilità è da reperire nei provvedimenti rilevanti di carattere processuale come nel caso del provvedimento di ammissione all’oblazione. Infine si può imbattere in atti che intervengono ad estinguere il reato come nel caso del permesso di costruire.

Invece, quanto attiene alla rilevanza interna dell’atto amministrativo nel reato, differenti sono le ipotesi che si possono configurare sul piano delle concretezze. Nello specifico l’atto amministrativo può costituire la condotta, una modalità della condotta, l’oggetto ovvero un elemento negativo della fattispecie.

Entrando nel dettaglio dell’analisi l’atto amministrativo può costituire la condotta qualora l’illecito consiste nell’attività amministrativa che conseguentemente risulterà illegittima. Questa rappresenta il caso dei reati-atto. Esempio paradigmatico è il reato di abuso d’ufficio, di cui all’art. 323 cp, ovvero il rifiuto d’atti d’ufficio ex art. 328 cp. Altra ipotesi, come citato sopra, si configura nella modalità della condotta allorquando uno dei segmenti oggettivi dell’illecito consiste nell’adozione di un atto amministrativo illegittimo ovvero legittimo ma illegittimamente oggetto di scambio. A tal proposito rilevanti sono i reati in atto come, ad esempio, la corruzione per l’esercizio della funzione.

L’atto amministrativo può costituire oggetto materiale della condotta in virtù della quale l’atto stesso entra a far parte del fatto tipico, rappresentando un presupposto della condotta. In questa ipotesi si possono configurare i reati su atto. L’atto può assumere i connotati di presupposto della condotta in senso negativo ovvero in senso positivo.

Questa tassonomia appare oggetto di una analisi sistematica in cui rilevanti risultano le differenze e i profili problematici. Innanzitutto quando si parla di atto amministrativo che costituisce condotta ovvero modalità della condotta della fattispecie penale appare necessario evidenziare come l’atto, in queste circostanze, entra nella descrizione del fatto tipico ed assume il ruolo di elemento costitutivo.

Come accennato la differenza tra reato-atto e reato in atto può trovare assonanza con la differenza che incorre fra reati contratto e reati in contratto. Nella prima fattispecie si sanziona chi pone in essere un contratto considerato illecito; invece nel reato in contratto quello che rileva è la condotta del soggetto agente. In realtà questa assonanza non è completamente sovrapponibile in quanto si sviluppano su ambiti differenti. Però, al contempo, i reati in atto e i reati in contratto sono in grado di assumere il fatto illecito nella sua interezza. In entrambi i casi l’atto diventa fattispecie costitutiva del reato. L’atto amministrativo, in questa circostanza, si definisce “forte” in quanto vi è uno stretto legame tra lo stesso e la fattispecie: l’esistenza dell’uno è fortemente legato dall’esistenza dell’altro.

Da questa casistica è doveroso differenziare i reati su atto i quali non integrano la fattispecie tipica del reato quale elemento essenziale, bensì il suo oggetto. In questa ipotesi l’atto amministrativo rappresenta l’oggetto materiale del reato, in virtù della quale la sua inesistenza determina l’inoffensività del reato ai sensi dell’art. 49 II comma cp.

Assimilabili a questa tipologia si configurano anche i reati con atto presupposto. Anche in questo caso l’atto amministrativo non costituisce elemento essenziale, ma un presupposto della condotta. Quest’ultimo può essere positivo ovvero negativo. Paradigmatico di un presupposto positivo è rappresentato dall’art. 650 cp, rubricato “inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”. Se è elemento negativo la sua presenza preclude il perfezionamento del reato, diversamente in caso di elemento positivo, alla medesima conseguenza, ci si giunge attraverso l’assenza di tale presupposto.

Rilevanza interna dell’atto amministrativo la si può rinvenire in un’altra ipotesi allorquando l’atto costituisce elemento negativo del reato. In questa prospettiva la presenza dell’atto amministrativo comporta il mancato perfezionamento della fattispecie incriminatrice. Tipico esempio manualistico lo si perviene all’art. 44 I comma del DPR n 380/2001 che sanziona il soggetto che pone in essere un’opera edilizia in assenza di una concessione amministrativa.

A seguito di questa premessa tassonomica e sistematica è necessario evidenziare una caratteristica fondamentale dell’atto amministrativo affinché possa svolgere un ruolo pregnante nella fattispecie di reato: l’illegittimità. La legittimità opera su piani diversi a seconda della categoria di atto portando con sé anche un diverso ruolo del giudice.

Nell’ipotesi di reati d’atto il requisito della illegittimità assume una valenza fondamentale. Per questa ragione il giudice ha il compito di accertare la sua presenza affinché si possa configurare la fattispecie di reato. A tal proposito è irrilevante la disapplicazione da parte del giudice, in quanto è chiamato solo ad accertare l’illegittimità, non a disapplicare il provvedimento.

Analoga logica è sottesa nei reati su atto per quando attiene la disapplicazione. Diversamente, in questa ipotesi, l’atto amministrativo rileva però in quanto oggetto materiale della condotta illecita. Proprio per questa sua posizione l’atto può incidere sul perfezionamento della fattispecie e per tale ragione il giudice è chiamato a svolgere una funzione di accertamento.

La disapplicazione, invece, assume un ruolo differente in caso di reati con atto presupposto in quanto l’atto amministrativo non riveste più, in questa circostanza, un ruolo di elemento essenziale del reato, bensì una mera circostanza.

Queste diverse prospettive permettono di evidenziare il diverso ruolo ed incidenza dell’atto amministrativo nella fattispecie di reato. L’illegittimità, sul piano delle concretezze, può realizzarsi in inesistenza, nullità ovvero annullabilità.

Tendenzialmente più semplice appare la situazione che si presenta in caso di inesistenza dell’atto. In questa ipotesi l’atto è privo di qualificazione da parte dell’ordinamento e viene concepita in senso materiale in quanto manca la formale volontà della pubblica amministrazione. Il reato non si perfeziona.

Un quadro giuridico più complesso appare, invece, quello relativo alla nullità dell’atto ex art. 21 septies della L. 241/1990. L’atto amministrativo esiste anche se nullo e per tale ragione, il reato d’atto, in quanto tale può essere integrato, basandosi su una provvisoria esecutività del provvedimento. Nei reati in atto, invece, la logica sottesa è differente in quanto si ritiene che la nullità è suscettibile di acquisire rilevanza in virtù del fatto che la fattispecie criminosa non si concentra sulla condotta, bensì sul contratto che la prevede. Viene punito il mercimonio dell’attività pubblica, a prescindere dall’atto. Pertanto anche nei reati su atto la nullità dell’atto non esclude il reato.

Invece, per quanto attiene l’annullabilità, fondamentale è l’art. 21 octies della L. 241/1990 il quale determina l’esistenza dell’atto e l’idoneità dell’atto annullabile a causare l’evento di reato.

Paradigmatiche fattispecie che rappresentano pienamente questo rapporto fra atto amministrativo e fattispecie di reato sono la concussione, ex art. 317 cp, e la corruzione, ex artt. 318-319 cp. Entrambe le fattispecie si configurano come reati in atto in virtù della quale l’atto amministrativo costituisce la modalità della condotta. Le due fattispecie sono accomunate anche dal fatto di essere delitti contro la pubblica amministrazione e sono reati propri che possono essere commessi da un pubblico ufficiale ovvero un incaricato di pubblico servizio. Altra similitudine che caratterizzata i due reati è rappresentato da fatto che sia la corruzione che la concussione sono poste in essere al fine di ottenere un guadagno per sé o per altri, costituito da denaro o altra utilità.  In realtà, però, sono due figure molto distinte fra loro.

Preliminarmente è necessario principiare dalla nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio. Il Codice penale ne dà una definizione rispettivamente agli articoli 357 e 358. Anche se tali disposti normativi li troviamo a chiusura del titolo dedicato ai delitti contro la PA, possiedono una valenza di carattere generale ed è utilizzata, altresì, in altri settori. Per pubblico ufficiale si intende colui che, a prescindere dallo status, esercita oggettivamente una pubblica funzione. È una definizione mutevole, a geometrie variabili. Invece l’incaricato di pubblico servizio è colui che svolge un servizio pubblico, in cui non occorre la spendita di quei poteri certificativi, deliberati e autoritativi richiesti, invece, per la funzione pubblica.

A tal proposito può risultare più semplice e più completa l’analisi dei due reati di concussione e corruzione.

La concussione trova disciplina nell’art. 317 cp in virtù della quale l’ordinamento sanziona il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo denaro o altra utilità con la reclusione da 6 a 12 anni.

Tale reato è stato oggetto di penetranti modifiche. Uno dei più significativi, ad opera della L. 190/2012 dall’art. 317 cp è stato espunto il riferimento all’abuso induttivo, il quale ora costituisce una fattispecie autonoma di reato di cui all’art. 319 quater cp rubricato “Induzione indebita a dare o promettere”, in cui il privato assume le vesti del correo.

La concussione è, come si evince da una analisi letterale della norma, un reato plurioffensivo in quanto lesivo, al contempo, dell’imparzialità della PA e della libertà di autodeterminazione, oltre che del patrimonio, del privato. In questa fattispecie criminosa l’atto amministrativo non viene espressamente menzionato, ma appartiene al perimetro di questo reato sotto una prospettiva più ampia nel significato di attività posta in essere dal pubblico ufficiale al fine di ottenere denaro o altra utilità dal terzo. L’atto risulta essere il mezzo per arrivare al fine. In questo caso, non essendo considerato l’atto amministrativo stricto sensu ma quale attività, il profilo della patologia non può rilevare: più che di illegittimità, come analizzato sopra, appare più corretto parlare di illegalità, consistente nell’asservimento della pubblica funzione all’interesse egoistico del pubblico ufficiale.

Diversamente avviene per quanto riguarda la fattispecie corruttiva in cui vi è un reato a concorso necessario in cui oggetto di sanzione è il mercimonio della pubblica funzione. Il bene tutelato, come nella concussione, è l’imparzialità e il buon andamento della PA. Si configurano distintamente due ipotesi: corruzione impropria di cui all’art. 318 cp e la corruzione propria ai sensi dell’art. 319 cp.

Come la concussione anche la corruzione impropria è stata oggetto di modifiche da parte della L. 192/2012. Tale riforma ha sostituito la nomenclatura di “atto conforme ai doveri d’ufficio” con “corruzione per l’esercizio della funzione”. Con questa nuova prospettiva l’atto amministrativo cambia ruolo. Il disvalore non innesca tanto sull’atto dell’ufficio quanto sull’accordo corruttivo che manifesta l’asservimento della funzione ad interessi settoriali. Pertanto, la fattispecie è sganciata da un atto oggetto di mercimonio e, di conseguenza, non viene in considerazione la patologia dell’atto amministrativo.

La situazione si presenta in modo differente nel caso di corruzione propria ex art. 319 cp. In questo reato l’accordo corruttivo ha ad oggetto un atto contrario ai doveri d’ufficio, ovvero l’omissione o il ritardo nell’adozione di un atto doveroso. La giurisprudenza maggioritaria per “contrarietà” ai doveri d’ufficio vi fa rientrare non solo la violazione di legge o di regolamento, bensì la violazione dei doveri di imparzialità, buon andamento e terzietà che governano l’attività amministrativa. In questo caso l’illegittimità dell’atto incide ad aggravare il trattamento sanzionatorio, ma è il mercimonio della pubblica funzione ad essere oggetto di disvalore.

Alla luce di queste considerazioni letterali e argomentativi sulla concussione e sulla corruzione si può affermare che, in chiave di raffronto, è differente il ruolo dell’atto amministrativo. Nella concussione l’atto non rileva, ma ciò che rileva è l’attività amministrativa. Invece l’atto configurabile nella corruzione rileva, ma unicamente in via secondaria, non come condotta, bensì come oggetto dell’accordo corruttivo. L’atto, in questa ipotesi, non entra a far parte della struttura del reato poiché il disvalore si incentra sull’accordo fra funzionario pubblico e il soggetto privato e, la sua conclusione, coincide con il momento consumativo.

Queste modifiche apportate in ambito sanzionatorio e il diverso ruolo dell’atto amministrativo mettono in risalto l’intento del legislatore nel voler reprimere in modo incisivo il fenomeno di corruzione dilagante nel nostro Paese che comporta gravi e pesanti conseguenze sul piano economico e sociale.


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Debora Fantini

Laureata in giurisprudenza e diplomata alla Scuola di specializzazione delle professioni legali presso l'Università di Parma. Ha svolto l'attività di Tirocinante presso il Tribunale e la Procura di Parma, nonchè l'attività di praticante legale.

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