L’autonomia organizzativa dell’appaltatore alla luce del potere contrattuale del committente pubblico

L’autonomia organizzativa dell’appaltatore alla luce del potere contrattuale del committente pubblico

Consiglio di Stato, sez. V, 20 aprile 2020, n. 2486

Con la sentenza in oggetto il Consiglio di Stato si è trovato a dover delineare i confini dell’appalto pubblico in ragione della normativa civilistica – nella specie l’art. 1655 c.c. – e di quella amministrativa – assunto il rilievo dell’art. 29 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

La questione trae spunto da una vicenda che vede protagonisti la Marina Militare e un’impresa di pulizie. L’Amministrazione indice una gara per l’affidamento del servizio di pulizie presso alcune delle proprie sedi; l’impresa, non concorrendo alla gara, impugna il bando lamentando l’illegittimità della clausola che aveva prefissato un numero minimo di ore garantite annuali per ciascun lotto del bando.

Il meccanismo imposto dall’amministrazione appaltante avrebbe, secondo il ricorrente, limitato l’autonomia organizzativa dell’offerente e inciso sulla sua libertà di iniziativa imprenditoriale, determinando la conseguente violazione degli art. 1655 c.c. e 41 Cost.

Il presupposto di questa ricostruzione sta anzitutto nell’assunto dell’integrale applicabilità della normativa civilistica in tema di appalto alla vicenda in esame, il quale è tuttavia errato. La normativa amministrativa sulla formazione dei contratti pubblici è speciale rispetto a quella che viene indicata nel Codice civile, ed è pertanto ad essa che è necessario fa riferimento per risolvere eventuali quesiti.

Nello stipulare il contratto di appalto l’Amministrazione non esercita la medesima ampiezza valutativa del contraente privato. Persegue invece il proprio scopo istituzionale, cioè la tutela dell’interesse pubblico a cui è preposta, ed esercita la propria discrezionalità nell’individuare le caratteristiche della prestazione contrattuale che le necessita procurarsi e del contraente adeguato a fornirla, definendole nella legge di gara.

Le caratteristiche del servizio che l’Amministrazione definisce nel bando come essenziali e indefettibili, concorrono pertanto a delineare l’utilità che essa intende acquisire rivolgendosi al libero mercato, sicché la difformità dell’offerta dalle qualità richieste concretizza un aliud pro alio idonea a determinare di per sé l’esclusione dalla gara.

Inserire nella lex specialis una clausola che imponga un quantitativo minimo di ore annuali contribuisce alla suddetta finalità di determinare l’obbligazione richiesta in modo da garantire all’Amministrazione appaltante l’utilità di cui ha bisogno. Tale clausola non limita l’autonomia contrattuale del contraente, ma la indirizza, esprimendo le concrete esigente del committente.

Ciò mostra come non vi sia nessuna violazione della norma civile e tantomeno della garanzia costituzionale che è posta a tutela della libera iniziativa imprenditoriale.

Va sgombrato il campo anche da dubbi sulla corretta applicazione dell’art. 29 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che delinea il confine tra contratto di appalto e somministrazione di lavoro. Il primo si distingue, infatti, dal secondo per la presenza dell’autonomia organizzativa e funzionale dell’attività dell’appaltatore, che si riflette nell’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, e nell’assunzione del rischio d’impresa.

La predeterminazione in modo analitico nel contratto di appalto delle modalità operative del servizio, come l’indicazione di un numero minimo di ore annuali, non costituisce una deviazione da questo schema tipico, essendo funzionale alla corretta esecuzione del servizio oggetto del contratto.

La prestazione richiesta all’appaltatore implica anche in questo caso un’obbligazione di risultato e, seppur determinata dalla suddetta clausola, non permette di poter parlare di somministrazione di lavoro che, invece, richiederebbe anzitutto l’inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente con lo svolgimento della propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore, secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi.

Quindi, l’inserimento nel bando di gara di una clausola che imponga all’appaltatore un numero minimo di ore non è illegittimo, in quanto non limita in alcun modo la libertà imprenditoriale e organizzativa dell’appaltatore, essendo invece funzionale alla più precisa definizione dell’utilità richiesta. Lo schema contrattuale che così si delinea rimane quello dell’appalto, non essendo la suddetta clausola idonea a mutare un’obbligazione di risultato in una di mezzi.


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