Le autorità amministrative indipendenti come espressione tipica dello Stato regolatore

Le autorità amministrative indipendenti come espressione tipica dello Stato regolatore

Sommario: 1. Dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore – 2. Problematiche connesse all’istituzione delle autorità amministrative indipendenti

1. Dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore

A seguito dell’imponente processo di privatizzazione che ha preso corpo in Italia a partire dai primi anni Novanta, lo Stato si è visto costretto ad abbandonare il proprio intervento nel mercato nazionale e a limitarsi al solo compito di regolazione dello stesso[1].

D’altra parte, attenta dottrina[2] ha rilevato che proprio il concetto di Stato regolatore “trova il suo humus naturale in sistemi economici nei quali il mercato è aperto alla concorrenza tra una molteplicità (o almeno una pluralità) di operatori”.

Proprio l’apertura del mercato a tutti coloro che vogliano farvi parte, infatti, rende necessario creare una serie di regole che permettano la par condicio e una chiara e libera valutazione di quelli che sono i rischi e i vantaggi derivanti dall’accesso allo stesso.

Soprattutto a seguito dello smantellamento dei monopoli legali, il tema della regolazione dei mercati ha assunto un ruolo determinante. Non vi è più, infatti, un solo rapporto “verticale” tra l’impresa monopolistica e coloro che vogliono accedere ai suoi servizi, ma una pluralità di rapporti, sia orizzontali (tra le imprese) che verticali (con l’ente regolatore).

L’assunzione, per effetto dei processi di privatizzazione, del ruolo di arbitro e regolatore, anziché di “giocatore” nell’economia, ha reso necessaria l’istituzione di soggettività pubbliche, cui si è affidato principalmente il compito di evitare che le privatizzazioni di quelli che, precedentemente, erano stati enti pubblici economici, recasse con sé la mera sostituzione del monopolista privato a quello pubblico.

Il problema che si è posto, allora, è stato quello relativo all’individuazione del soggetto preposto a tale regolazione. Lo Stato, infatti, detenendo la partecipazione di quote all’interno di società strategicamente importanti nel settore economico, non poteva ricoprire tale carica.

Si è ipotizzata, allora, la possibilità di affidare tale compito all’autorità giurisdizionale, caratterizzata da un elevato tasso di neutralità e da una approfondita conoscenza tecnica delle regole di settore. Tale proposta, però, è stata ben presto rigettata, rilevandosi che i giudici, pur potendo avere una conoscenza specifica di una determinata area dell’economia nazionale, non hanno la possibilità di esercitare attività di regolamentazione in virtù del principio di separazione dei poteri risalente a Montesquieu[3].

Si è pensato, allora, di affidare tale compito al Parlamento, quale organo democratico e rappresentativo. Il problema, però, è che i meccanismi di regolazione del mercato richiedono

  • velocità nell’adozione delle decisioni e

  • un aggiornamento costante sullo stato della tecnologia.

Entrambi i requisiti sarebbero di difficile soddisfazione nel caso in cui tale ruolo fosse ricoperto dal Parlamento: sia perché l’iter legislativo è costituzionalmente pensato come un momento di dibattito e di confronto tra maggioranze e minoranze, per cui richiede un tempo piuttosto lungo di conclusione dei lavori; sia perché non si può pretendere dai parlamentari la necessaria conoscenza di una materia così tecnica e specifica. Si è pensato, allora, di rimettere a tale organo democratico solo la fissazione delle macro-regole che legittimino un organo ah hoc all’esercizio di poteri di regolazione più stringenti e precisi.

L’attenzione del legislatore, allora, si è spostata sulle cd. Authorities, nate per la prima volta negli USA alla fine dell’Ottocento. Esse, infatti, si caratterizzano per essere sottratte all’influenza del Governo e del Parlamento, in modo da poter assicurare la loro imparzialità nelle scelte relative alle politiche di settore.

In Italia, contestualmente all’entrata in vigore della prima normativa nazionale antitrust, nel 1990[4], è stata istituita l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Questa ha esercitato un’influenza che ha ecceduto l’intervento in specifici mercati, concentrandosi dapprima sui monopoli di pubblici servizi, ed in modo particolare sui tentativi di questi ultimi di ostacolare l’ingresso di nuovi concorrenti o di estendere il potere di mercato nelle attività liberalizzate. Complessivamente, l’Autorità ha contribuito a mitigare la cultura prevalente che favoriva un forte intervento pubblico nell’economia e diffuse politiche assistenziali nei confronti delle imprese, accrescendo la fiducia nell’apertura dei mercati[5].

2. Problematiche connesse all’istituzione delle autorità amministrative indipendenti

La nascita delle Authorities, se per certi versi non aveva alcuna valida alternativa, per altri ha dato vita a numerosi dibattiti relativi alla loro compatibilità con la Costituzione, alla loro natura, e alla conciliabilità dei loro poteri sanzionatori con i principi della CEDU relativi al giusto processo e al ne bis in idem.

Ci si è chiesti, anzitutto, se l’istituzione delle autorità indipendenti sia compatibile con l’art. 95 Cost., a mente del quale i Ministri sono responsabili collegialmente degli atti adottati dal Consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri. Il problema è che, ammettendosi l’esistenza delle autorità amministrative indipendenti, interi settori strategici o comunque particolarmente rilevanti della vita del Paese vengono affidati a soggetti privi di legittimazione democratica e svincolati dalla direzione e dal controllo del Governo.

A tale osservazione, però, si è ribattuto che il disposto costituzionale presuppone che l’ente pubblico costituisca il braccio esecutivo utilizzato dal Governo per l’attuazione dell’indirizzo politico. Un rapporto di dipendenza, viceversa, non troverebbe alcuna giustificazione ove si consideri l’ottica regolatoria e para-giurisdizionale che orienta l’agire delle Authorities. In questa prospettiva, quindi, si spiega il regime di terzietà e di indipendenza[6].

Esclusa la frattura con l’art. 95 Cost., si è posto il problema circa la compatibilità di tali organi con l’art. 101 Cost.[7]. In realtà si è ritenuto che le funzioni para-giurisdizionali o quasi giurisdizionali tendono, ma non arrivano a identificarsi con quelle proprie della magistratura, continuando a conservare spessore amministrativo.

Fino a quando non venga varata una riforma costituzionale che consideri dette autorità come nuovo potere stabilito a livello costituzionale, non riconducibili al potere amministrativo, giurisdizionale o legislativo, le Autorità sono prive di una propria legittimazione costituzionale e devono essere incasellate nel potere amministrativo.

In quest’ottica, quindi, la sottrazione al principio di soggezione e responsabilità di cui all’art. 95 Cost. non è possibile a Costituzione invariata, ove le Authorities siano chiamate a compiti amministrativi puri, implicanti selezioni di interessi in rapporto a quello pubblico.

L’indipendenza viene, peraltro, presidiata sia sul piano funzionale che su quello strutturale.

Sul primo versante, infatti, alle Autorità è assicurata piena autonomia di giudizio e valutazione. Ne consegue che, nell’esercizio delle competenze, le stesse non sono soggette al potere governativo di indirizzo, direttivo e di controllo.

Talvolta, infatti, la legge istitutiva riconosce al Governo solo un potere di indirizzo generale o di alta vigilanza, tuttavia non si tratta di un potere esercitato nei confronti della singola Autorità, ma in relazione all’intero settore cui essa è preposta.

Sul versante strutturale, invece, l’indipendenza organica è assicurata dalle disposizioni che regolano le modalità di nomina dei componenti, nonché da quelle che introducono un regime di incompatibilità cui si aggiunge il riconoscimento di un’autonomia finanziaria, organizzativa e contabile.

Le esposte peculiarità funzionali e strutturali hanno alimentato, poi, un complesso dibattito relativo alla natura giuridica di tali Autorità, cui è riconosciuto un potere di regolazione e uno sanzionatorio, che le pone a cavallo tra il potere esecutivo e quello giudiziario.

La giurisprudenza, nel tentativo di risolvere la questione ha ipotizzato che esse costituiscano un tertium genus tra amministrazione e giurisdizione, cui attribuire i caratteri della para-giurisdizionalità. Decisivo, in tal senso, è il fatto che le decisioni delle Authorities non sono suscettibili di assumere l’autorità di cosa giudicata, come accade con l’autorità giurisdizionale[8].

Al tema della copertura costituzionale delle Autorità si correla quello della legittimità di una attribuzione alle stesse di un potere normativo.

Sono sorte, a riguardo, due posizioni diametralmente opposte. Per una prima ricostruzione, infatti, ormai del tutto recessiva, non dovrebbe ammettersi l’attribuzione di un potere normativo alle Autorità, attesa la loro estraneità al circuito della responsabilità e della legittimazione democratica.

Per converso, altro orientamento, ormai pacifico in dottrina e giurisprudenza, ha sostenuto che il deficit di legittimazione formale possa essere colmato da un riconoscimento sostanziale, operato dalla partecipazione dei destinatari delle regole adottate dall’Autorità de qua al procedimento di adozione delle stesse. Si è parlato, in questo senso, di legittimazione dal basso, cioè proveniente dalla disponibilità degli stessi operatori di mercato a soggiacere alle imposizioni derivanti dai regolamenti delle autorità indipendenti.

Anche i poteri sanzionatori hanno sollevato non poche perplessità, stavolta riguardo alla loro compatibilità con i principi CEDU.

Non vi è dubbio, infatti, che se l’espletamento delle funzioni normative richiede un procedimento rafforzato, a maggior ragione sono necessarie delle garanzie procedurali nei casi in cui l’Autorità eserciti un potere sanzionatorio.

La questione è venuta in rilievo on l’ormai celebre sentenza della Corte EDU Grande Stevens[9], con la quale la Corte europea è stata chiamata a valutare la coerenza del sistema normativo in esame con il diritto ad un processo equo (oltre che con quello a non essere giudicati due volte per un medesimo fatto).

Orbene, ad avviso dei giudici di Strasburgo, quando vengono irrorate delle sanzioni, bisogna andare oltre la mera qualificazione giuridica prevista dallo Stato, dovendosi valutare

  • la qualificazione prevalente negli altri Stati;

  • la natura penale dell’infrazione;

  • lo scopo della sanzione, se retributivo e afflittivo;

  • il collegamento con una violazione penale.

Ebbene nel caso di specie, la Corte EDU ha riconosciuto che quelle irrorate dalle Autorità Amministrative Indipendenti non sono sanzioni amministrative, ma vere e proprie pene, come tali legittime solo nel caso in cui esse siano precedute da un’udienza pubblica, in modo da non menomare il confronto dialettico tra accusato e accusatore.

Essenziale quindi era che, immediatamente o in un secondo momento, il destinatario della pena avesse la possibilità di costituirsi in giudizio e opporsi alla comminazione della sanzione. In questo senso, quindi, la Corte Europea ha condannato l’Italia perché, nella disciplina allora vigente, il giudizio avverso i provvedimenti della Consob veniva svolto, sì, dalla Corte d’Appello, ma in camera di Consiglio, impedendosi così il diritto al contraddittorio e quindi ad un giusto processo.

Successivamente, nel 2015, il legislatore è intervenuto sulla materia, prevedendo non più la camera di consiglio ma l’udienza pubblica per i procedimenti avverso l’irrorazione delle sentenze delle Autorità Amministrative Indipendenti, rendendo, così, definitivamente legittimo il potere sanzionatorio delle Authorities.

 

 

 

 

 

 


[1] La Spina A. e Majone G., Lo Stato regolatore, Bologna, 2000; Merusi F., Democrazia e autorità indipendenti, Bologna, 2000; Amato G., Autorità semi-indipendenti ed autorità di garanzia, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1997, p. 747; Cassese S., Dalle regole del gioco al gioco con le regole, in Mercato, concorrenza, regole, 2002, pp 271 ss.; Bassi F. e Merusi F. (a cura di), Mercati e amministrazioni indipendenti, Milano, 1993; Cassese S. e Franchini C. (a cura di), I garanti delle regole, Bologna, 1996; Clarich M., Autorità indipendenti – Bilancio e prospettive di un modello, Milano, 2005.
[2] Clarich M., Populismo, sovranismo e Stato regolatore: verso il tramonto di un modello?, in Rivista della Regolazione dei Mercati.
[3]  Voce Separazione dei poteri, su Enciclopedia Treccani online.
[4] Il riferimento è alla legge 10 ottobre 1990, n. 287, recante norme a tutela della concorrenza e del mercato.
[5] Cardi. E., Mercati e istituzioni in Italia: diritto pubblico dell’economia, Torino, 2018.
[6] Cuniberti M., Autorità amministrative indipendenti e Costituzione, in Riv. Dir. Cost., 2002, pp. 3 ss.; Grasso G., Le Autorità amministrative indipendenti della Repubblica tra legittimità costituzionale e legittimazione democratica, Milano 2006; Niccolai S., I poteri garanti della Costituzione e le autorità indipendenti, Pisa, 1997; Valastro A., Le autorità indipendenti in cerca di interlocutore, Napoli, 2008.
[7] In questo senso Clarich, op. cit., p. 341.
[8] Silvestri G., Poteri dello Stato (divisione dei), in Enc. dir., vol. XXXIV, Milano, 1985, p. 702; Sandulli A.M., Funzioni pubbliche neutrali e giurisdizione, in Riv. dir. proc. civ., 1964, pp. 203 ss.
[9] Corte EDU, Grande Stevens e altri contro Italia – ric. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10 – depositata il 4.3.2014.

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