Le cause di giustificazione reali e putative

Le cause di giustificazione reali e putative

Sommario: Premessa 1. Il fondamento giuridico delle cause di giustificazione – 2. Le scriminanti e l’oggetto del dolo – 3. La rilevanza del putativo nelle cause di giustificazione – 4. Il regime giuridico dell’errore rilevante ai sensi dell’art. 59 u.c. c.p. – 5. Sul piano processuale

Premessa

L’art. 59 u.c. C.P. dispone che: “se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.

A prima vista, la disposizione sembra riprodurre quasi pedissequamente quella di cui all’art. 47 comma 1 C.P. sull’errore di fatto ma, in realtà, solleva alcuni problemi interpretativi.

Innanzitutto, premessa una breve trattazione sulle cause di giustificazione e sul loro collocamento sistematico nella dogmatica del reato, bisogna precisare se le scriminanti debbano oppure o no essere integrate nel processo rappresentativo volitivo del soggetto agente.

In seconda battuta, occorre chiarire la portata del principio secondo cui il putativo equivale al reale.

1. Il fondamento giuridico delle cause di giustificazione

Analizzate da un punto di vista formale, le cause di giustificazione si atteggiano come “cause oggettive di esclusione del reato” in quanto norme che descrivono situazioni nelle quali un fatto, che normalmente costituirebbe reato, è imposto o consentito dall’ordinamento, rimanendo così esente da pena[1].

Infatti, qualora un fatto concreto astrattamente corrispondente ad una fattispecie penale si presenti corredato anche degli elementi descrittivi delle cause di giustificazione, non potrà essere considerato antigiuridico bensì, ab origine, lecito.

Da un punto di vista sostanziale, invece, la ragion d’essere delle scriminanti si ravvisa nella prevalenza accordata dall’ordinamento all’interesse di cui è portatore chi esercita una sua facoltà legittima ovvero tutela un diritto proprio o altrui rispetto all’interesse opposto di chi si è posto contro il diritto[2].

A seguito del bilanciamento di interessi così compiuto, l’antigiuridicità del fatto – astrattamente tipico – è esclusa perché nelle scriminanti è insita la mancanza di danno sociale[3] che invece legittimerebbe la reazione punitiva dello Stato. Ciò significa che l’azione di chi agisce in presenza di una causa di giustificazione non è riprovata dall’ordinamento che, anzi, fa propria la scelta del singolo[4].

Se così è, la dizione codicistica è impropria. Le cause di giustificazione non sono cause di “esclusione della pena”, che presuppongono comunque l’esistenza di un reato perfetto in tutti i suoi elementi costitutivi, ma sono cause di “esclusione del reato” perché il fatto non è valutato come antigiuridico bensì come lecito.

Si tratta allora, a ben vedere, di elementi negativi del fatto[5] che elidono la corrispondenza tra il fatto e la norma incriminatrice che invece si applicherebbe se le scriminanti non fossero venute ad esistenza.

2. Le scriminanti e l’oggetto del dolo

Il reato è un fatto tipico, antigiuridico, colpevolmente commesso ed è la risultante di due elementi, uno soggettivo (nella forma del dolo o della colpa) e l’altro oggettivo, costituito da elementi positivi che debbono essere tutti presenti e da elementi negativi che invece debbono mancare.

Le cause di giustificazione, come detto, appartengono a quest’ultima categoria. Occorre allora chiedersi se nel processo rappresentativo e volitivo dell’agente oltre alla presenza di tutti gli elementi costitutivi del reato debba esigersi anche la conoscenza effettiva della mancanza di cause di giustificazione.

La risposta è negativa. La nozione di dolo, imperniata sulla rappresentazione e volizione dell’intero fatto che costituisce reato, non contiene in sé anche la rappresentazione dell’assenza di cause di giustificazione. Come ben chiarisce autorevole dottrina[6] “costruire le scriminanti come elementi negativi del fatto non impone infatti di esigere, agli effetti del dolo, la consapevolezza della mancanza di tutte le scriminanti; senza che ciò crei né imbarazzo, né tantomeno difficoltà a spiegare la disciplina vigente, nel quadro della ricostruzione del contenuto del dolo nei confronti dei diversi elementi che ne costituiscono l’oggetto, bene si potrà affermare che nei confronti degli elementi oggettivi negativi il dolo si atteggia in termini di semplice mancanza di erronea supposizione degli estremi di uno di essi”.

La rappresentazione complessa in forza della quale coesistono nella mente dell’agente il fatto tipico di reato e il fatto che ne esclude l’antigiuridicità esclude l’esistenza del dolo perché la legge valuta favorevolmente questo atteggiamento psichico, a prescindere dalla consapevolezza del soggetto di agire in senso conforme al diritto. La valutazione resterà positiva anche se nel soggetto vi sia la convinzione di commettere un reato.

Il nostro sistema penale è infatti “chiaramente orientato nel senso di considerare irrilevante l’opinione dell’agente circa il valore giuridico del fatto, come risulta chiaramente dall’art. 5[7] e dall’art. 49 comma 1[8] C.P. e di attribuire rilevanza invece alla eventuale divergenza tra il fatto oggettivamente realizzato e la rappresentazione dell’agente”[9].

3. La rilevanza del putativo nelle cause di giustificazione

Accogliendo la teoria degli elementi negativi del fatto di reato si spiega perché la legge attribuisca alla supposizione erronea di esistenza di una causa di giustificazione l’idoneità ad elidere l’addebito di responsabilità a titolo di dolo.

Se l’oggetto del dolo si identifica nella rappresentazione e volizione dell’intero fatto costitutivo del reato, nel momento in cui l’agente si rappresenta la sussistenza di una causa di giustificazione, vuole sì il risultato della sua azione ma non se lo rappresenta come offesa[10].

L’art. 59 u.c. C.P. sta quindi in rapporto di complementarità e specularità con l’art. 47 comma 1 C.P. Entrambi valutano l’errore rappresentativo sugli elementi negativi o positivi del fatto. Se l’errore non è invincibile, inevitabile, ma è invece il prodotto di una conoscenza difettosa che invece era esigibile dall’agente, questi ne dovrà rispondere a titolo di colpa.

Fra le due disposizioni esiste, però, anche una differenza. Nell’art. 59 C.P. manca una disposizione analoga a quella di cui all’art. 47 comma 2 C.P. (“l’errore sul fatto che costituisce reato non esclude la punibilità per un reato diverso”). Questo dato significa che l’agente non si può rappresentare la realizzazione di un qualsivoglia altro reato perché, producendo la convinzione di agire lecitamente gli stessi effetti della scriminate realmente esistente, la causa di giustificazione putativa cancella ogni reato riconducibile in astratto a quel fatto.

4. Il regime giuridico dell’errore rilevante ai sensi dell’art. 59 u.c. c.p.

L’errore che sia determinato da colpa non esclude la punibilità dell’agente. Ciò significa che il giudizio di responsabilità si fonderà sulla prevedibilità e prevedibilità dell’evento e l’accertamento sarà effettuato tramite un giudizio prognostico ex ante. Si dovrà appurare se chiunque sarebbe caduto nel medesimo errore o se l’agente abbia invece tenuto una condotta imprudente, negligente o imperita ovvero inosservante di leggi, regolamenti, ordini o discipline[11].

La valutazione sarà comunque di carattere relativo e non assoluto e astratto, riferita alla situazione di fatto sulla quale è caduto l’errore di rappresentazione del soggetto con esclusione di qualsiasi criterio di natura soggettiva[12]. L’errore rilevante ex art. 59 u.c. C.P. deve essere sempre e unicamente un errore sul fatto che coinvolga gli elementi obbiettivi della norma incriminatrice, tanto naturalistici quanto normativi[13], qualificati cioè da una norma extra-penale (ad esempio, l’errore sull’ingiustizia dell’offesa). Non potrà essere riconosciuta alcuna efficacia scriminante all’errore di diritto penale (ad esempio , è irrilevante l’errore di chi creda che la provocazione escluda il reato).

5. Sul piano processuale

Le disposizioni di parte generale del codice debbono necessariamente essere trasposte nella dinamica del processo penale. Ai sensi dell’art. 187 c.p.p. sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità, alla determinazione della pena e della misura di sicurezza.

Le cause di giustificazione, reali o putative, attengono al profilo della punibilità (rectius: colpevolezza) dell’agente e la prova della loro esistenza deve essere piena. Non è possibile, infatti, pervenire ad una sentenza di assoluzione se la prova inerente l’esimente invocata non sia stata raggiunta. Mentre la prova insufficiente o contraddittoria sull’esistenza di un elemento positivo del fatto legittima l’emissione di una sentenza assolutoria (che, anzi, è doverosa), altrettanto non è possibile per la prova su un elemento negativo qual è la scriminante[14]

 

 

 

 


[1] F. ANTOLISE, Manuale di Diritto Penale, XV ed., Milano 2000, pag. 269.
[2] F. RAMACCI, Corso di Diritto Penale, II ed., Torino 2001, pag. 313
[3] S. MALIZIA, Eccesso colposo (voce), in Enc. Diritto, Milano 1965, pag. 117.
[4] F. RAMACCI, I delitti di omicidio, II ed. Torino 1997, pag. 60: “la legittima difesa, così come le la altre norme legittimanti, non sono norme deontiche, nel senso che prescrivono un dovere di comportamento per il soggetto al quale si riferiscono, ma piuttosto sono norme anankastiche in quanto si fondano sulla necessità”.
[5] M. GALLO, Il concetto unitario di colpevolezza, Milano 1951, pag. 19 nota n. 29: “Elementi negativi del fatto – dunque – le cause di giustificazione. E con ciò non intendiamo che la loro presenza ne escluda questo o quell’elemento positivo ma unicamente che nella formula strutturale della fattispecie criminosa esse si presentano precedute dal segno meno”.
[6] C.F. GROSSO, Cause di giustificazione (voce) in Enc. Giurid. Treccani, Roma 1989, pag. 4.
[7] “Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”.
[8] “Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato”.
[9] L. CONCAS, Scriminanti (voce), in Noviss. Dig. It., Torino 1960, pag. 796.
[10] F. RAMACCI, L’eccesso dalla giustificazione putativa, in Scritti per M. delle Piane, Collana di studi P. Rossi, Vol. XII, Università di Siena, Facoltà di Giurisprudenza, 1986, pag. 499.
[11] “In tema di cause di giustificazione, l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della titolarità del diritto deve basarsi non già su mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato”, Corte d’Appello di Perugia, sentenza n. 1603 del 15.1.2018.
[12] “Non sussistono i presupposti per l’applicabilità a titolo putativo della causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere (art. 51 cod. pen.), qualora i genitori di un minore indirizzino alle Autorità scolastiche – nella specie al dirigente della scuola elementare ed al provveditore agli studi – due lettere con cui affermino falsamente che il proprio figlio è umiliato e ripetutamente percosso ad opera di un insegnante, omettendo la verifica in ordine alla veridicità dei fatti riferiti dal minore, considerato che l’operatività della predetta esimente putativa presuppone un errore incolpevole sulla verità dei fatti, non configurabile in assenza di un preventivo vaglio del racconto riferito dal minore. Inoltre, nessuna giustificazione, in quanto esulante dai compiti di salvaguardia del minore, può avere la pubblicazione, su interessamento degli stessi genitori, di detta notizia su un quotidiano di rilevante diffusione”, Cassazione penale, sez. V, 06/10/2011, n. 5935.
[13] “L’art. 393-bis c.p. prevede una causa di giustificazione fondata sul diritto del cittadino di reagire all’aggressione arbitraria dei propri diritti, che può essere applicata anche nelle ipotesi putative di cui all’art. 59, comma 4, c.p., quando il soggetto abbia allegato dati concreti, suffraganti il proprio ragionevole convincimento di essersi trovato , a causa di un errore sul fatto, di fronte ad una situazione che, se effettiva, avrebbe costituito atto arbitrario del pubblico ufficiale. (Fattispecie in cui la corte ha ritenuto sussistente la causa di giustificazione nella forma putativa, in relazione alla reazione violenta dell’imputato posta in essere a fronte della condotta dei pubblici ufficiali che procedevano alla sua identificazione ed al successivo accompagnamento coattivo in commissariato, con modalità tali da fargli ragionevolmente ritenere di essere sottoposto a condotte vessatorie e di ingiustificata prevaricazione)”,  Cassazione penale, sez. VI, 16/10/2018, n. 4457.
[14] “La prova in ordine all’eventuale sussistenza di una causa di giustificazione (nella specie stato di necessità) deve essere compiutamente fondata da chi l’allega, a nulla rilevando una prova parziale o insufficiente. Ne deriva che non può emettersi sentenza di assoluzione con la formula dubitativa quando il dubbio per l’insufficienza delle acquisizioni probatorie cada unicamente sulla sussistenza della circostanza esimente”, Cassazione penale, sez. I, 29/11/1988.

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Laurea in Giurispruidenza presso l'Università di Roma La Sapienza Avvocato del Foro di Latina dal 2007

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