Le garanzie fondamentali: ultimi baluardi del “nemico” per eccellenza, il tifoso violento

Le garanzie fondamentali: ultimi baluardi del “nemico” per eccellenza, il tifoso violento

Cass. Pen., Sez. III, 17 dicembre 2020, n. 6171

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il fatto – 3. Il Daspo e le libertà fondamentali: la disciplina – 4. La “black list” – 5. Il Daspo “fuori contesto” – 6. La Suprema Corte e l’imprescindibile lettura tassativizzante – 7. La fattispecie “aperta” di cui alla lett. a) 8. Riflessioni conclusive

 

1. Introduzione

Il presente studio prende le mosse da una recente sentenza[1] nella quale la Cassazione ristabilisce la legalità violata, ribadendo principi fondamentali a cui deve necessariamente essere ispirato l’ordinamento di uno stato sociale di diritto[2].

E’ appena il caso di evidenziare che l’ambito in parola è quello che atavicamente offre il destro a lesioni indebite persino delle guarentigie più essenziali: trattasi del mondo delle cc.dd. misure di prevenzione.

Laddove fattispecie “indiziarie” – seppure ancorate ad elementi fattuali nell’accertamento – sostituiscono il fatto provato a seguito di un “giusto processo”, si fa concreto il rischio di violazioni gravi di presidi garantistici ineludibili.

Quello in parola è, così, il terreno elettivo di una delle più inflazionate ipotesi di “truffa delle etichette”[3]: allorquando l’incompletezza ovvero l’incertezza, che talvolta connotano il quadro probatorio relativo alla fattispecie concreta, suggeriscano il ricorso al procedimento di prevenzione, questo – nella prassi – finisce per essere un surrogato del processo penale e le misure di prevenzione per essere delle “pene senza delitto”[4].

Il problema si acuisce, e così venendo al punto nodale della sentenza in commento, se si tiene conto di una certa tendenza a fare a meno persino di quel presidio minimo individuato dai già fumosi presupposti necessari per l’emissione della misura preventiva.

Questo è quanto sembra essersi verificato con riferimento alla fattispecie in commento prima dell’intervento degli Ermellini.

In particolare, la misura di prevenzione che qui viene in rilievo è quella “atipica” del divieto di accesso alle manifestazioni sportive (c.d. D.A.SPO.), con specifico riferimento alla misura dell’obbligo di comparizione personale presso gli uffici di P.G. di cui al comma 2 dell’art. 6 L. 13 dicembre 1989, n. 401.

Come si avrà modo di evidenziare, la questione risolta dalla Cassazione riguarda un profilo di tipicità, difficilmente affrontato nella materia de qua, dati i margini piuttosto ampi entro cui ricondurre le ipotesi fattuali perché siano tali da fondare l’adozione della misura del D.A.SPO.

Per meglio comprendere i termini della quaestio iuris occorre principiare dalla vicenda concreta.

2. Il fatto

Come è noto, gli stadi sono stati – per un discreto lasso temporale – interdetti al pubblico al fine di contenere il contagio da Covid-19. Questo ha portato i tifosi più appassionati, in determinate occasioni, a far sentire la loro vicinanza alla squadra del cuore con modalità differenti da quella più tradizionale.

In particolare, è accaduto che si riunissero prima delle partite più importanti in luoghi strategici per intercettare gli atleti, diretti all’impianto sportivo di “casa” ovvero in partenza verso la città della prossima “trasferta”.

Ciò è quanto avveniva il 7 marzo 2020 (giorno precedente alla partita Juventus-Inter), quando il ricorrente (tifoso interista) “veniva riconosciuto tra i quattrocento tifosi, presenti […] presso il Centro Sportivo di Appiano Gentile, i quali partecipavano ad una manifestazione non autorizzata, ed in violazione dell’art. 18 TULPS e delle disposizioni impartite in materia di Covid-19, intonavano cori aventi contenuti anche offensivi e discriminatori, nonché, al momento del transito dell’autobus con a bordo i giocatori della squadra dell’Inter, accendevano e utilizzavano circa cinquantina fumogeni“.

Il G.i.p., che aveva provveduto alla convalida della misura disposta dal Questore di Como, evidenziava, inoltre, che il destinatario della misura aveva violato le prescrizioni del provvedimento emesso a suo carico dal Questore di Frosinone in data 11 aprile 2016 e, in particolare, il divieto di accesso ai luoghi interessati al transito dei calciatori.

La Suprema Corte veniva, quindi, adita dal ricorrente ed investita della questione, che – come si è avuto modo di anticipare – va risolta in punto di tipicità, avendo particolare riguardo al fatto-reato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive, presupposto necessario per l’emissione del provvedimento.

3. Il Daspo e le libertà fondamentali: la disciplina

Prima di affrontare il tema centrale, corre l’obbligo di tratteggiare la natura giuridica della misura del D.A.SPO., distinguendo, inoltre, la misura di cui al comma 1 da quella di cui al comma 2 dell’art. 6 L. n. 401/1989.

Appunto, il D.A.SPO. è comunemente definito una misura di prevenzione “atipica” in quanto istituto che si pone eccentricamente rispetto alle misure di prevenzione ordinarie, la cui disciplina è oramai quasi interamente contenuta nel d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159[5].

La legge di riferimento è la già citata L. n. 401/1989, che all’art. 6 comma 1 riconosce all’Autorità di pubblica sicurezza la possibilità di disporre, nei confronti di determinate categorie di soggetti, il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono competizioni agonistiche.

Il comma 2 dello stesso articolo, poi, prevede l’obbligo accessorio di comparire personalmente una o più volte, negli orari indicati, nell’ufficio o nel comando di polizia nel corso della giornata in cui si svolgono le manifestazioni sportive per cui opera il divieto.

Costante giurisprudenza[6] attribuisce al divieto di accesso natura prettamente amministrativa, qualificandolo come una misura atipica interdittiva di competenza dell’Autorità di pubblica sicurezza.

Diversamente l’obbligo di presentazione presso l’ufficio o il comando di polizia, di cui al comma 2, ha natura genuinamente preventiva[7], che si desume dalla funzione esplicitamente diretta “ad evitare la consumazione di reati attinenti alla tutela dell’ordine pubblico in occasione di manifestazioni di carattere sportivo da parte di soggetti che, per precedenti condotte, siano ritenuti pericolosi”.

La differente natura giuridica si giustifica alla luce della sempre rilevante differenza che intercorre tra la c.d. libertà di circolazione (art. 16 Cost.) e quella personale (art 13 Cost.).

Se, infatti, il divieto di accesso (art. 6 co. 1, cit.) limita la prima, l’obbligo di comparizione personale (art. 6 co. 2, cit.) incide sulla seconda.

Ebbene, la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale[8]: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, come nel caso degli impianti sportivi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale[9], come nel caso in cui si imponga al tifoso violento l’obbligo di comparizione di cui al comma 2 dell’art 6, cit.

La differenza in parola ha avuto un autorevole avallo ad opera della Corte Costituzionale, che ha ritenuto non fondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, L. 13 dicembre 1989, n. 401, sostituito dall’art. 1 L. 24 febbraio 1995, n. 45, denunziato nella parte in cui non prevede che la speciale procedura di sindacato giurisdizionale, prevista per l’ordine di comparire personalmente nell’ufficio di polizia durante le competizioni agonistiche, concerna anche il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono le competizioni stesse.

Afferma infatti la Consulta che “i due previsti provvedimenti hanno portata ed effetti fra loro differenti, idonei ad incidere in grado diverso sulla libertà del soggetto destinatario e pertanto ragionevolmente differenziati anche nella disciplina dei rimedi[10].

A proposito del sindacato del giudice per le indagini preliminari, questo deve essere completo[11]: “il controllo di legalità del giudice deve riguardare l’esistenza di tutti i presupposti legittimanti l’adozione dell’atto da parte dell’autorità amministrativa, compresi quelli imposti dalla circostanza che con esso si dispone una misura di prevenzione (ragioni di necessità e urgenza, pericolosità concreta ed attuale del soggetto, attribuibilità al medesimo delle condotte addebitate e loro riconducibilità alle ipotesi previste dalla norma), ed investire altresì la durata della misura che, se ritenuta eccessiva, può essere congruamente ridotta dal giudice della convalida[12].

Anche per il sistema delle impugnazioni dei provvedimenti emessi ai sensi della L. n. 401 del 1989 occorre distinguere tra l’obbligo di comparizione presso l’ufficio o il comando di polizia ed il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive.

Con riferimento a quest’ultimo, che ha natura di atto prettamente amministrativo, è consentita soltanto una difesa ex post mediante ricorso al tribunale regionale amministrativo, competente in prima istanza, e dinanzi al Consiglio di Stato, in qualità di giudice di appello.

I vizi di merito potranno essere presi in considerazione in sede di riesame del decreto da parte della stessa autorità amministrativa (istanza di revoca al Questore) mediante l’esercizio dei poteri di autotutela ovvero tramite ricorso gerarchico al Prefetto. Si riconosce, inoltre, all’interessato la facoltà di presentare ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ex artt. 8 D.P.R. n. 1199/1971 e ss.

Il comma 4 dell’art. 6 della L. n. 401 del 1989 disciplina, invece, il ricorso per cassazione nei confronti dell’ordinanza di convalida del G.i.p. della prescrizione di comparizione personale, ricorso che non sospende l’esecuzione dell’ordinanza. Ai sensi dell’art. 571 comma 3 c.p.p., sono legittimati a presentare ricorso l’interessato ed il suo difensore. Si ritiene sia legittimato anche il pubblico ministero competente per territorio.

I requisiti formali dell’impugnazione sono delineati dagli artt. 582 e 583 c.p.p., si propone con atto scritto, con indicazione del provvedimento impugnato, della data del medesimo, del giudice che lo ha emesso, dei capi e i punti della decisione ai quali si riferisce il ricorso, le richieste e i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni che sorreggono ogni richiesta.

Il ricorso può essere esperito per tutti i motivi di cui all’art. 606 c.p.p., e viene deciso entro il termine ordinatorio di trenta giorni dalla sua presentazione, in camera di consiglio.

La decisione della Corte può essere di inammissibilità del ricorso, di rigetto e di annullamento con o senza rinvio. In caso di annullamento con rinvio si applicano analogicamente le norme dettate in tema di convalida delle misure precautelari.

4. La “black list”

Tanto chiarito, è possibile comprendere l’ampiezza del sindacato della Suprema Corte nella sentenza in commento.

Questo è circoscritto – come si è avuto modo di evidenziare – alla parte del provvedimento del Questore, convalidato poi dal G.i.p., con cui si limita la libertà personale del destinatario della misura, ovverosia si impone l’obbligo di comparizione presso gli uffici di P.G. di cui al comma 2 del già citato art. 6, cit.

Ancora, come preannunciato, la pronuncia consente “insolite” riflessioni in punto di tipicità.

Ciò che viene qui in rilievo è, appunto, da una parte la tassatività dei presupposti (e quindi dei reati per i quali si deve rinvenire quantomeno una denuncia a carico del destinatario della misura) e dall’altra la relativa sussumibilità della condotta di cui si sospetta essere autore il tifoso in una di quelle astratte – pure da taluni tacciate di indeterminatezza – legittimanti l’applicazione del Daspo.

Ebbene, le questioni vanno affrontate nell’ordine individuato dalla pregiudizialità logica che connota la prima rispetto alla seconda.

Evidenziata, infatti, la tassatività dell’elenco dei cc.dd. reati presupposto (rectius denunce per questi stessi) o comunque delle ipotesi legittimanti l’adozione della misura, sarà possibile esperire una corretta quanto doverosa actio finium regundorum dell’ambito entro cui effettuare quell’attività ermeneutica di sussunzione sopra accennata, avendo particolare riguardo alla fattispecie concreta oggetto della pronuncia in commento.

Orbene, il referente normativo è ancora una volta l’art. 6 comma 1 L. n. 401/89, che nella prima parte presenta un nutrito elenco di condotte che consentono l’adozione del Daspo.

Prima di passarle in rassegna – senza pretese di esaustività –  con il precipuo scopo di rilevare l’assenza di quelle pure tenute dal ricorrente, corre l’obbligo di evidenziare che del carattere tassativo di detto elenco non pare potersi dubitare.

Ed è certamente questa la base del ragionamento svolto dal giudice di legittimità poi culminato con l’annullamento con rinvio al Tribunale di Como dell’ordinanza impugnata.

D’altronde dalla tassatività[13] non può prescindersi in considerazione di un molteplice ordine di ragioni.

Innanzitutto, l’incisione sulla libertà personale attuata dalla misura impone l’applicazione piena del principio di legalità e dei suoi corollari[14] e, tra questi, certamente il principio di tassatività. Tra l’altro, l’elenco in parola è particolarmente ampio – oltre che costantemente arricchito da frequenti interventi normativi[15] – e ciò denota la voluntas legis di esaurire con il novero stesso le ipotesi legittimanti l’adozione della misura.

Se non bastasse, alcuni gruppi di ipotesi si presentano come etichetta di sintesi di una pluralità non sempre determinata di fattispecie di reato, di talchè – in disparte i problemi di determinatezza da taluni evidenziati – sia difficile immaginare che oltre questo elenco – già ampio ed aggiornato, oltre che connotato da una incostituzionalmente sospetta “elasticità” – ci si possa spingere per rinvenire una condotta idonea all’adozione di un Daspo.

Tanto premesso, è possibile annoverare la categoria di soggetti che la norma (si ripete, l’art. 6 co. 1, cit.) considera quali possibili destinatari dell’ordine questorile: “a) coloro che risultino denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza; b) coloro che, sulla base di elementi di fatto, risultino avere tenuto, anche all’estero, sia singolarmente che in gruppo, una condotta evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o da creare turbative per l’ordine pubblico nelle medesime circostanze di cui alla lettera a); c) coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti per alcuno dei reati di cui all’articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, agli articoli 6-bis, commi 1 e 2, e 6-ter della presente legge, per il reato di cui all’articolo 2-bis del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, o per alcuno dei delitti contro l’ordine pubblico o dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro secondo, titoli V e VI, capo I, del codice penale o per il delitto di cui all’articolo 588 dello stesso codice, ovvero per alcuno dei delitti di cui all’articolo 380, comma 2, lettere f) e h), del codice di procedura penale, anche se il fatto non è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive; d) soggetti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, anche se la condotta non è stata posta in essere in occasione o a causa di manifestazioni sportive”.

5. Il Daspo “fuori contesto”

Dopo aver scorso le numerose ipotesi suscettibili di Daspo, con riferimento al c.d. Daspo “fuori contesto” sia consentita una breve riflessione, eccentrica rispetto alla vicenda oggetto della pronuncia in commento, ma assolutamente funzionale a comprendere il trend normativo: la c.d. “perenne emergenza”[16] che sembra orientare il legislatore nella materia de qua.

E’ in quest’ottica che possono essere letti i provvedimenti sicurezza a firma dell’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Non c’è dubbio che pur inquadrandosi in una sorta di coerente continuum securitario[17], con essi si formalizza con maggiore evidenza quella dilatazione, pronosticata e da taluni avversata, dell’applicabilità dello strumento preventivo in parola.

E’ il D.L. n. 53/2019, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 77/2019 a dare forma al succitato Daspo “fuori contesto”, che – a differenza del Daspo “classico” – viene adottato“indipendentemente dalla realizzazione di condotte violente in occasione o a causa di manifestazioni sportive, qualora, per effetto della precedente condanna o anche solo della denuncia per uno dei reati indicati nella disposizione, venga formulato, a seguito della realizzazione di condotte violente, un giudizio di pericolosità nei confronti del soggetto precedentemente condannato o denunciato e che si sia reso autore di condotte violente, al quale sia necessario, proprio per la sua pericolosità (desunta da tali condanne o denunce e dalla nuova realizzazione di condotte violente), impedire l’accesso ai luoghi destinati a ospitare manifestazioni sportive e imporre anche la misura di prevenzione atipica dell’obbligo di presentazione, allo scopo di evitare che all’interno delle tifoserie si verifichino infiltrazioni di soggetti sospettati di terrorismo o comunque ritenuti pericolosi, e anche di prevenire, in tal modo, la realizzazione di attentati in luoghi ad alta densità sociale”[18].

In questa sede è appena il caso di prendere atto di questa espansione[19], che corrobora quanto sopra sostenuto circa la portata dell’elenco delle categorie soggettive nei cui confronti è possibile adottare la misura in parola. Va osservato, quindi, con occhio attento – e critico – la pericolosa trasmigrazione di norme speciali (quali certamente sono quelle che disciplinano la materia della prevenzione in ambito sportivo) dalla periferia della legislazione di settore al centro del sistema[20]. Quanto evidenziato impone una rimeditazione circa l’essenzialità delle garanzie fondamentali da assicurare al proposto.

6. La Suprema Corte e l’imprescindibile lettura tassativizzante

E’ possibile, ora, proseguire l’analisi delle categorie soggettive de quibus, soffermandoci su quelle che in astratto sembrerebbe richiamare la vicenda oggetto di pronuncia.

Ebbene, si ritiene opportuno principiare dalle ipotesi di cui alla lett. c), cit., che – come si è già avuto modo di osservare – elenca in maniera tassativa le ipotesi di reato per i quali è prevista l’adozione del provvedimento del Questore. Si rimanda alla lettura della norma (v.§ 3) per l’elenco completo. Ciò che in questa sede rileva è piuttosto l’impossibilità – anche evidente – di sussumere il fatto concreto in alcuna delle pur numerose ipotesi previste.

In particolare, come sottolinea la Corte, la disposizione in parola (art 6 co. 1 lett. c) L. n. 401/89)  non contempla la violazione dall’art. 18 T.U.L.P.S.,[21] come pure ascritta al ricorrente (v. § 2).

Questi, appunto, pur eventualmente partecipando ad una manifestazione non autorizzata (quale può essere considerata quella di tifosi che incitano la propria squadra in partenza per la trasferta) non si espone, per questo, al rischio di risultare destinatario del provvedimento questorile.

Tantomeno rileva che questa stessa “manifestazione si sia tenuta in violazione della disposizioni emanate in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Il reato previsto dall’art. 3, comma 4, d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, che puniva il mancato rispetto delle misure di contenimento ai sensi dell’art. 650 cod. pen., non solo non è ricompreso nell’elencazione di cui alla lett. c), ma, in ogni caso, è stato trasformato in illecito amministrativo dall’art. 4 d.l. 25 marzo 2020, n. 19.”

Proseguendo, un vizio di tipicità è rinvenibile (e puntualmente rilevato dalla Suprema Corte) anche con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 6-bis L. n. 401 del 1989, che punisce – con la pena ivi stabilita – “chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive ovvero in quelli interessati alla sosta, al transito, o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, nelle immediate adiacenze di essi, nelle ventiquattro ore precedenti o successive allo svolgimento della manifestazione sportiva, e a condizione che i fatti avvengano in relazione alla manifestazione sportiva stessa, lancia o utilizza, in modo da creare un concreto pericolo per le persone, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile, ovvero bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere”.

Non è revocabile in dubbio il dato temporale nella sua auto-evidenza: il fatto (lancio e/o accensione di fumogeni) è avvenuto il 7 marzo alle ore 17.45, al momento dell’uscita del pullman con i giocatori dell’Inter dal centro sportivo, mentre la partita di calcio con Juventus è stata disputata il giorno seguente alle ore 20.45; ne segue che la condotta è stata realizzata prima delle 24 ore precedenti alla manifestazione sportiva.

Parimenti da censurare è la parte del provvedimento del Questore in cui si fa riferimento al reato di cui all’art. 6 co. 6 L. n. 401/89 per giustificare l’adozione del Daspo.

Detta disposizione punisce la condotta di chi viola le prescrizioni di cui al comma 1 e 2 dell’art. 6, cit., e quindi, per la parte che qui è d’interesse, anche il divieto di accesso ai luoghi interessati al transito dei calciatori. Tuttavia nemmeno tale reato[22] è ricompreso nell’elenco di cui alla lett. c), cit., e quindi non legittima l’adozione di un nuovo provvedimento ex art. 6, cit.

7. La fattispecie “aperta” di cui alla lett. a)

Gli Ermellini, infine, battono anche l’ultima strada che avrebbe potuto condurre ad una legittima adozione del Daspo: l’ipotesi di cui alla lett. a), cit., ovverosia la partecipazione attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive o, nelle medesime circostanze, condotte specificamente inneggianti (o inducenti o istiganti) alla violenza.

Sebbene, infatti, il sistema disciplinato dalla L. n. 401 del 1989, art. 6, comma 1 e successive modificazioni non preveda espressamente le fattispecie sopra analizzate (almeno quelle accertate) quali condotte suscettibili della applicazione del Daspo, non vuol, però, dire che le stesse non possano essere ricondotte tra le ipotesi contemplate dall’art. 6 co. 1 lett. a): è ovviamente necessario che siano connotate da quel carattere di violenza, prodotta o indotta. Il requisito richiesto è, quindi, costituito dalla specificità del comportamento e dall’idoneità di esso quantomeno ad incitare alla violenza.[23]

In altri termini, una condotta offensiva o che solo indirettamente induca alla violenza esula dalla sfera applicativa della norma.

Tanto premesso circa la nozione di violenza ed incitamento alla stessa, si comprende quanto sopra già sostenuto circa il numero – alto e astrattamente indeterminato – di condotte (ipotesi di reato[24]) legittimanti l’applicazione della misura in parola.

Venendo, così, alla condotta tenuta dal ricorrente, “la violenza non pare ravvisabile negli insulti oltraggiosi e discriminatori proferiti nei confronti della squadra del Napoli, considerando l’assenza sul posto di tifosi di tale squadra, ciò che avrebbe potuto incitare a episodi di violenza tra le due tifoserie, per contro l’accertata accensione e l’utilizzo di circa una cinquantina fumogeni al passaggio del pullman con a bordo i giocatori dell’Inter potrebbe astrattamente assumere un connotato di violenza, ciò dipendendo, evidentemente, dalle modalità di utilizzo dei fumogeni. Ciò tuttavia non è stato oggetto di puntuale accertamento da parte del Tribunale, il quale parrebbe aver ritenuto che il lancio di fumogeni sia di per sé stesso un fatto di violenza, senza invece verificare, nel singolo caso, se tale lancio, in ragione delle modalità di utilizzo dei fumogeni, abbia provocato un concreto pericolo per l’incolumità fisica delle persone presenti ovvero il danneggiamento di cose.”

8. Riflessioni conclusive

Per tutti i motivi sopra indicati, la Cassazione annulla l’ordinanza di convalida con rinvio al Tribunale per nuovo esame sul punto.

La Suprema Corte, quindi, sana quel vulnus alla legalità, determinato da un’applicazione della misura preventiva in mancanza dei presupposti legalmente previsti.

La pronuncia in commento si inserisce nel solco già tracciato da giurisprudenza ormai consolidata[25] ribadendo la tassatività dell’elenco di cui al comma 1 dell’art. 6 L. n. 401/1989.

Se è vero, però, che le ipotesi suscettibili di adozione di Daspo sono da considerarsi formalmente tassative, è comunque osservabile una dequotazione della determinatezza.

In particolare, la fattispecie di cui alla lett. a), cit., svilisce il carattere tassativo dell’elencazione seguente (lett. c) e permette la riconduzione nell’alveo dei presupposti legittimanti (l’applicazione della misura) anche di ipotesi di reato – non espressamente contemplate nell’elenco de quo – integrate dall’agente con condotta violenta (o inneggiante alla violenza) in occasione o a causa di manifestazioni sportive.

In altri termini, quando pure non si rinvenga un’ipotesi di reato espressamente prevista dalla norma, si va alla ricerca del connotato di violenza, che – come si è avuto modo di evidenziare – è intesa in modo ampio, ricomprendendo anche condotte prodromiche (inneggianti, inducenti, istiganti) alla violenza stessa.

Ciò, forse, riconosce all’autorità di pubblica sicurezza (e di riflesso al giudice in fase di convalida) una discrezionalità più ampia del dovuto.

Si tenga, inoltre, in debito conto che trattasi di misure preventive, la cui adozione – per espressa previsione normativa – è legittimata anche dalla sola denuncia per i fatti di reato di cui sopra.

Questa tendenziale atipicità (giustificata alla luce delle finalità preventive che informano la materia) fa il paio con la propensione giustizialista da sempre mostrata nei confronti di quello che da taluni[26] è stato definito “un nemico per tutte le stagioni”: il tifoso violento.

Ed infatti, le stagioni sono proprio tutte, persino quelle pandemiche.

Volendo utilizzare come paradigma il caso di specie sopra esaminato, è difficilmente immaginabile che la condotta del ricorrente possa essere stata violenta: come potrebbe esserla quella di un tifoso che incita la propria squadra in assenza di tifoserie “avversarie”?

Riconoscere come intrinsecamente violenta questo tipo di condotta equivale a stigmatizzare l’autore del fatto e non il fatto stesso.[27]

Sia, infine, consentito di sottolineare quanto già evidenziato dallo scrivente in altra sede[28]: la chiusura degli stadi rende assolutamente decontestualizzato, irragionevole e, quindi, illegittimo l’obbligo di firma di cui all’art. 6 co. 2, cit.

Qualora pure dovesse avvertirsi l’esigenza di tutelare la pubblica sicurezza in costanza di manifestazioni sportive svolte in assenza di pubblico, l’obbligo di firma da adempiersi durante partite di tal fatta risulta strumento inadeguato: quanto di compromettente la quiete pubblica possa palesarsi lo si osserva in momenti temporalmente distanti dalla manifestazione sportiva stessa e difficilmente predeterminabili, ergo incompatibili con l’obbligo di firma di cui al comma 2 dell’art. 6 L. n. 401/1989.

 

 

 

 

 

 


[1] Cass. Pen., Sez. III, 17 dicembre 2020, n. 6171.
[2] Sul tema v. S. Moccia, Sistema penale e principi costituzionali: un binomio inscindibile per lo stato sociale di diritto., in Rivista italiana di Diritto e Procedura Penale, Fasc. 3, 1 settembre 2018, p. 1720 ss.
[3] Così P. Pinto De Albuquerque, I diritti umani in una prospettiva europea, Opinioni concorrenti e dissenzienti (2011-2015), D. Galliani (a cura di), Torino, 2016, passim; S. Moccia, Le misure di prevenzione: un esempio paradigmatico di truffa delle etichette, pubblicato in penaledp.it destinato agli Scritti in onore di Lucio Monaco, 11 gennaio 2021.
[4] R. Scarpinato, Le indagini patrimoniali, in Le misure di prevenzione patrimoniali, a cura di Cassano, Roma, 2009, il quale conferma la natura del sistema della prevenzione come surrogato della giustizia penale classica, nel senso che “constatata l’impossibilità di accertare la responsabilità per specifici fatti di reato, cioè per condotte storicamente definite in termini spaziotemporali, si surrogano le prove sulle condotte con gli indizi di appartenenza alla mafia”; A. Manna, Il diritto delle misure di prevenzione, in Le misure di prevenzione, a cura di Furfaro, Milanofiori Assago, 2013, 3 ss.; T. Padovani, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, Pisa, 2014, 195 ss.
[5] Prima dell’organica rivisitazione attuata dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il testo normativo fondamentale in materia risultava essere la legge 27 dicembre 1956, n. 1423, che prevedeva un sistema misto in cui l’applicazione delle misure di prevenzione era attribuita in parte all’Autorità di pubblica sicurezza, in parte all’Autorità Giudiziaria.
Le altre due fonti principali in materia erano la legge 31 maggio 1965, n. 575, poi integrata dalla legge 13 settembre 1982, n. 646 (c.d. legge Rognoni-La Torre), che ha ampliato l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione “agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso” e la legge 22 maggio 1975, n. 152 (c.d. Reale), con cui il legislatore ha esteso il sistema della prevenzione ai fenomeni eversivi e terroristici.
In tale variegato quadro normativo, il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. Codice Antimafia) ha operato una rivisitazione sistematica della disciplina normativa dedicata alle misure di prevenzione.
Il codice, all’art. 120, ha provveduto, contestualmente alla emanazione della nuova disciplina in materia, anche all’abrogazione espressa delle precedenti fonti normative sul punto, confluite sostanzialmente nelle nuove norme.
[6] Ex plurimis, cfr. Cass., SS. UU. pen., sentenza n. 4441 del 29 novembre 2005, depositata il 3 febbraio 2006.
[7] Sulla natura preventiva della misura in parola si è pronunciata di recente la Corte europea dei diritti dell’uomo (C. Edu, I sez., dec. 8 novembre 2018, Serazin c. Croazia). Pur avendo ad oggetto il provvedimento che vieta al tifoso di assistere a competizioni sportive previsto dalla legislazione croata, deve darsi conto del fatto che questo è in tutto simile, come gli stessi giudici di Strasburgo rilevano, al DASPO italiano, al quale sembra possano estendersi le conclusioni cui giunge la Corte. In particolare, si evince la natura preventiva (e non punitiva) della peculiare misura proprio dall’obbligo, posto in capo al tifoso, di presentarsi alla più vicina stazione di polizia per documentare le sue attività in corrispondenza delle competizioni sportive alle quali non può assistere e nelle ore immediatamente susseguenti. Per un puntuale approfondimento v. A. Galluccio, La Corte edu esclude la natura penale del daspo e, conseguentemente, la violazione del principio ‘ne bis in idem’ in caso di misura disposta per fatti oggetto di una condanna penale, pubblicato in archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, 13 novembre 2018.
[8] Sulla differenza tra libertà di circolazione e libertà personale è di recente esploso il dibattito in riferimento alla conformità a costituzione dell’obbligo di permanenza domiciliare previsto dai DPCM. Secondo un certo orientamento (ad esempio v. Tribunale di Reggio Emilia, Sez. GIP-GUP, 27 gennaio 2021, n. 54) con tale discussa fonte normativa secondaria si potrebbero prevedere delle legittime limitazioni soltanto della libertà di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale ex art. 13 Cost.
[9] Così M. Mazziotti di Celso – G. M. Salerno, Istituzioni di diritto pubblico, Lavis (TN), 2015, p. 91 ss.
[10] Corte Costituzionale, sentenza n. 193 del 30 maggio 1996, pubblicata in G.U. n. 25 del 19/06/1996.
In proposito cfr. G. Lavigna e F. Mazara Grimani, Reati e sanzioni allo stadio, Varese 2016.
[11] La questione è stata ampiamente dibattuta dalla giurisprudenza di legittimità. Secondo un primo orientamento, il sindacato giurisdizionale ha natura di mero controllo formale di legittimità. La Corte di Cassazione ha infatti ritenuto che il giudicante dovrà soltanto verificare se il provvedimento del Questore abbia indicato l’esistenza dei presupposti senza verificarne, però, l’effettiva presenza (Cass. Pen., Sez. I, sentenza del 6 maggio 2004, n. 24587). Un altro orientamento ritiene, invece, che il controllo da parte del G.i.p. debba essere più penetrante, avendo ad oggetto anche il requisito di necessità ed urgenza della misura, la pericolosità concreta ed attuale del soggetto e l’attribuibilità al medesimo delle condotte addebitate. Il controllo deve, inoltre, investire la durata della misura che, se ritenuta eccessiva, può essere congruamente ridotta dal giudice.
[12] Testualmente la sentenza in commento. V. anche Corte Costituzionale, sentenza n. 512 del 20 novembre del 2002, pubblicata in G.U. n. 49 del 11/12/2002, a cui si è uniformato il legislatore con la modifica del comma 3 dell’art. 6, cit.; Cass., SS. UU. pen., sentenza n. 44273 del 24 ottobre 2004.
[13] Così Cass. Pen., Sez. III, 15 giugno 2010, n. 27284.
[14] Per tutte v. Corte Edu, Grande Camera, 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia. Per un illuminante commento alla sentenza cfr. F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, pubblicato nel fascicolo 3/2017 archiviodpc.dirittopenaleuomo.org.
[15] Comma sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. a), D.L. 20 agosto 2001, n. 336, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 ottobre 2001, n. 377, e modificato dall’art. 1, comma 1, lett. a) n. 1, D.L. 17 agosto 2005, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 ottobre 2005, n. 210, dall’art. 2, comma 1, lett. a), nn. 1) e 2), D.L. 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 aprile 2007, n. 41, dall’art. 2, comma 1, lett. a), D.L. 22 agosto 2014, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 ottobre 2014, n. 146 e dall’art. 20, comma 1, D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla L. 1° dicembre 2018, n. 132. Successivamente, il presente comma è stato così sostituito dall’art. 13, comma 1, lett. a), n. 1), D.L. 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 2019, n. 77.
[16] Cfr. S. Moccia, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, Napoli 1995 (2 ed. Napoli 1997), passim; G. Fiandaca, Populismo politico e populismo giudiziario, in Criminalia, 2013; D. Pulitanò, Populismi e penale. Sulla attuale situazione spirituale del diritto penale, in Criminalia, 2013.
[17] F. Curi, Un nemico per tutte le stagioni: il tifoso violento. le – troppo – versatili misure di prevenzione personali, Rivista italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 2, 1 giugno 2020, p. 1020 ss.
[18] Così Cass. Pen., Sez. III, 20 gennaio 2021, n. 2278.
[19] A titolo esemplificativo, la misura de qua oggi si applica a coloro che, operando in gruppo o isolatamente, pongono in essere atti preparatori o esecutivi volti a sovvertire l’ordinamento dello Stato attraverso la commissione di reati che vanno — prevedibilmente — dall’insurrezione armata, alla devastazione, saccheggio e strage; ma anche — molto meno comprensibilmente — all’epidemia o all’avvelenamento di acque o di sostanze alimentari, anche se la condotta non è stata posta in essere in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
[20] Ancora F. Curi, Un nemico per tutte le stagioni: il tifoso violento. Cit., Rivista italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 2, 1 giugno 2020, p. 1020 ss.
[21] V. Cass. Pen., Sez. III, 15 giugno 2010, n. 27284. “Ha natura tassativa l’indicazione dei reati per i quali è prevista l’adozione del provvedimento del Questore impositivo dell’obbligo di presentazione ad un ufficio o comando di polizia in occasione dello svolgimento di manifestazioni sportive.” (Fattispecie di annullamento senza rinvio di convalida di provvedimento adottato in relazione al reato di cui all’art. 18 t.u.l.p.s.).
[22] E’ giusto il caso di rilevare che il D.L. n. 336/2001, conv. con modif., dalla L. n. 377/2001 ha trasformato tale fattispecie da contravvenzione in delitto.
[23] Cfr. Cass. Pen., Sez. III, 2 ottobre 2013, n. 12354.
[24] I giudici della sesta sezione (Cons. di Stato, Sez. VI, 2 maggio 2011, n. 2571) affermano che per la fattispecie relativa alla partecipazione ad episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, occorre che i prevenuti, prima dell’applicazione dell’inibitoria dell’accesso ai luoghi in cui si svolgano le manifestazioni sportive o ad essi contigui per la presenza di soggetti che partecipano o assistono a dette manifestazioni, siano identificati e previamente denunziati all’autorità giudiziaria per le ipotesi di reato ascritte.
[25] Ex plurimis, Cass. Pen., Sez. III, 15 giugno 2010, n. 27284.
[26] F. Curi, Un nemico per tutte le stagioni: il tifoso violento. Cit., Rivista italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 2, 1 giugno 2020, p. 1020 ss.
[27] Sul tema del “diritto penale d’autore” v. M. Donini, Il diritto penale di fronte al nemico, in “Cassazione Penale”, 2006, p. 274; in relazione all’immigrazione cfr. F. Palazzo, Contrasto al terrorismo, diritto penale del nemico e principi fondamentali, in “Questione Giustizia”, 2006, p. 677; F. Loschi, Fisionomia costituzionale della disciplina penale dell’immigrazione: l’inaspettato dictum della Consulta, in “Nel Diritto”, 2010, p. 1475; in rapporto alla recidiva cfr. B. Muscatiello, La recidiva, Torino, Giappichelli, 2008; in relazione alla criminalità organizzata A. Manna, L’ammissibilità di un concorso esterno nei reati associativi, tra esigenze di politica criminale e principio di legalità, in “Diritto Penale e Processo”, 1994, p. 1189; G. Insolera, Il concorso esterno nei reati associativi: la ragion di Stato e gli inganni della dogmatica, in “Foro Italiano”, II, 1995, c. 423.
[28] L. Napolitano, Il Daspo ai tempi del Covid-19, pubblicato in penaledp.it, 9 dicembre 2020.

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