Le interferenze tra concordato preventivo e dichiarazione di fallimento

Le interferenze tra concordato preventivo e dichiarazione di fallimento

La sentenza n. 9146 del 2017 delle S.U. della Corte di Cassazione affronta il tema delle (reciproche) interferenze tra il concordato preventivo e la dichiarazione di fallimento. Il rischio surrettizio che può porsi, invero, è quello di un uso distorto della richiesta d’ammissione al concordato preventivo, finalizzata alla paralisi o al ritardo dell’avvio della procedura fallimentare. Le modalità mediante le quali operare tale forma di abuso di diritto sono molteplici, e svariate volte la Suprema Corte ha statuito sulle stesse. Nella pronuncia in commento, i giudici di legittimità hanno precipuamente trattato l’eventualità in cui il diniego all’omologazione della richiesta di concordato fosse già stato impugnato dinanzi alla Suprema Corte quando è intervenuta la sentenza di dichiarazione di fallimento. A ben vedere, neanche detta fattispecie è totalmente nuova per il Supremo Consesso, in quanto in vari arresti (ex multis, sentt. nn. 3059 del 2011, 18190 del 2012 e 1521 del 2013), quest’ultimo si era pronunciato, sancendo come non ostasse alla dichiarazione di fallimento la facoltà per il debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa allo stesso, ma sopratutto osservando che la consequenzialità logica tra le due procedure non si traducesse anche in una di tipo procedimentale, stante la connessione tra decreto di rigetto del ricorso per concordato e la successiva sentenza di fallimento. Nondimeno, la questione non è incontroversa, tant’è che si sono succedute una pluralità di ordinanze di remissione della medesima alle Sezioni Unite. In una sentenza del 2015, la n. 9935, queste ultime dichiararono come non soltanto fosse necessario un coordinamento tra la richiesta di concordato e quella di fallimento, ma anche che tale coordinamento avvenisse assicurando il previo esaurimento della procedura di concordato preventivo. Breve, tra le dette procedure si ha un rapporto di continenza ai sensi dell’art. 39 c.p.c. .

Indi, è possibile dichiarare il fallimento, in pendenza di procedura concordataria, sol che la domanda di concordato sia stata esaminata e risolta in senso negativo, per mancanza dei requisiti degli artt. 162, 173, 170 e 180 l.fall. . Inoltre, nella sentenza da ultimo menzionata, i giudici di legittimità sancirono anche che la temporanea non dichiarabilità del fallimento non concerne le fasi d’impugnazione dei provvedimenti che pongono fine alla prospettiva concordataria e perciò, per dichiarare il fallimento, non è necessario attendere l’esito di dette impugnazioni.

La sentenza n. 9146 del 2017 muove dalle medesime valutazioni di quella n. 9935 del 2015, statuendo che il giudice chiamato a decidere sulla dichiarazione di fallimento dovrà anche decidere in merito alla proposta di concordato: se confermerà il fallimento, ribadirà anche il giudizio di non omologabilità del concordato; viceversa, potrà revocare la dichiarazione di fallimento, ma non necessariamente omologare il concordato. Pertanto, il principio di diritto desumibile da detto arresto è che la sopravvenuta dichiarazione del fallimento comporta l’inammissibilità delle impugnazioni autonomamente proponibili contro il diniego di omologazione del concordato preventivo e l’improcedibilità del separato giudizio di omologazione, in quanto l’eventuale procedimento di reclamo, ex art. 18 l. fall., assorbe l’intera controversia relativa alla crisi dell’impresa, mentre il giudicato sul fallimento preclude il concordato.


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