Le “mani pulite” nell’arbitrato internazionale

Le “mani pulite” nell’arbitrato internazionale

Gli investimenti giocano un ruolo fondamentale nel progresso dell’economia mondiale. Il flusso globale di investimenti nel 2019 ha raggiunto i 1,47 trilioni di dollari (+3% rispetto all’anno precedente).

La prima preoccupazione di un investitore è quella di garantire che il suo investimento in un Paese straniero sia al sicuro, tutelato in particolare contro il rischio di espropriazioni ingiuste o di altri danni che possano derivare da modifiche o interpretazioni della legislazione domestica. Per questo è importante altresì che possa fare affidamento su un meccanismo di risoluzione delle controversie che non si basi sul sistema giudiziario del paese ospitante. Questo al fine di evitare un trattamento potenzialmente “di parte”, in particolare nel caso in cui la controparte sia lo Stato o una sua entità.

L’arbitrato è diventato quindi il modello “indipendente” per la risoluzione delle controversie nella maggior parte delle transazioni internazionali. Se, tuttavia, tale meccanismo di ADR è stato progettato per proteggere meglio gli investimenti stranieri dalla condotta scorretta dello Stato ospitante, negli ultimi anni il sistema si è dimostrato non essere totalmente favorevole agli investitori, le cui azioni hanno iniziato ad essere sempre di più oggetto di scrutinio da parte degli arbitri.

Gli Stati ospitanti, infatti, hanno iniziato a invocare con sempre maggior frequenza la cosiddetta difesa delle mani pulite (clean hands doctrine) per escludere gli investitori dall’ottenimento della protezione ai sensi del trattato di investimento rilevante.

La logica alla base della difesa delle “mani pulite” è quella per cui l’investitore non può legittimamente intraprendere un’azione legale qualora abbia commesso un illecito connesso all’istanza arbitrale presentata. Appare una soluzione logica: se l’investitore lamenta un illecito commesso dallo Stato ospitante, lo Stato ospitante ha margine per lamentarsi a sua volta del comportamento scorretto del ricorrente.

La difesa di clean hands in poche parole

La dottrina delle mani pulite rientra tra i principi dell’equity di matrice anglosassone, ossia quel sistema basato sulla valutazione giudiziaria e che si è sviluppato in contrasto con le rigide regole della common law, per mitigarne il tecnicismo e favorire l’adozione di decisione più “giuste” ed eque, appunto.

In estrema sintesi, le mani pulite rappresentano una difesa a disposizione della parte convenuta (rectius lo Stato) e che serve a bloccare il ricorso o, almeno, a limitare l’ammontare del risarcimento dovuto all’investitore. La ragione alla base della dottrina di mani pulite è quella di protegge l’integrità giudiziaria poiché consentire a una parte colpevole di un illecito di ottenere un giudizio tout court favorevole genera forti dubbi sulla giustizia del giudizio.

Quando le mani “sporche” dell’investitore siano state dimostrate nel corso del procedimento, le soluzioni che gli arbitri hanno alternativamente adottato sono state: la dichiarazione di incompetenza a conoscere della controversia; la dichiarazione di irricevibilità del reclamo presentato dall’investitore; la valutazione della difesa nella fase di merito, al fine di limitare l’importo del risarcimento a favore dell’investitore.

I trattati e l’arbitrato sugli investimenti

Il diritto internazionale sugli investimenti è connotato da un sistema decentralizzato di accordi internazionali di investimento. Tra gli oltre 3.000 accordi internazionali riguardanti investimenti esteri, la maggioranza è rappresentata dai cosiddetti BITs (bilateral investment treaty). Vi sono poi alcuni importanti accordi multilaterali di investimento (ad esempio il NAFTA o l’ECT). Tali trattati, generalmente, stabiliscono i termini e le condizioni in base ai quali gli investitori investono in un paese straniero, compresi i loro diritti e le loro tutele. Inoltre, la maggior parte di essi include la previsione del relativo meccanismo per la risoluzione delle controversie che dovessero insorgere tra investitore e Stato ospitante.

Come accennato in apertura, le parti di un trattato sugli investimenti sono spesso riluttanti a sottomettersi alla giurisdizione dei tribunali nazionali dello Stato ospitante temendo che la giurisdizione nazionale sia più in sintonia con l’interesse della controparte. La giurisdizione arbitrale si fonda, per converso, su un accordo delle parti di sottoporre ad arbitri le controversie che dovessero sorgere sulla base del trattato di volta in volta rilevante. Per quanto riguarda la legge applicabile, i trattati di investimento contengono tipicamente disposizioni sulla legge che deve essere applicata dal tribunale per gli investimenti. Di solito, l’arbitrato si svolge in un contesto di applicazione parallela sia del diritto interno dello Stato ospitante che del diritto internazionale.

Presupposti della difesa di “mani pulite”

Secondo la giurisprudenza arbitrale, ci sono alcuni requisiti che devono essere soddisfatti affinché il tribunale arbitrale consideri l’applicabilità della dottrina delle mani pulite: le unclean hands dell’investitore devono riguardare specificamente la questione per cui l’investitore fa istanza; la violazione non deve essere una violazione tecnica o di minima rilevanza; gli scenari in base ai quali i tribunali arbitrali hanno ritenuto che la dottrina delle mani pulite potrebbe essere applicata includono casi in cui l’investitore è stato coinvolto in atti di corruzione, frode o false dichiarazioni o violazioni deliberate delle disposizioni dello Stato ospitante.

Unclean Hands’: una via di fuga per lo Stato ospitante?

Il ragionamento alla base della difesa delle mani pulite nell’arbitrato sugli investimenti è che la legalità dell’investimento dovrebbe essere una condizione preliminare affinché il tribunale arbitrale possa concedere una riparazione dei danni lamentati.

Quando uno Stato affronta una richiesta di risarcimento da parte di un investitore, sarà portato a fare sfoggio di tutti gli argomenti legali disponibili per evitare di vedere affermata la propria responsabilità. E la difesa di clean hands si è dimostrata, in effetti, uno tra gli argomenti più efficaci per convincere il tribunale che l’investitore non merita protezione. A prescindere da quanto sia stata grave la condotta dello Stato ospitante, il fatto che un investitore sia coinvolto in azioni illegali relative all’investimento protetto dal trattato è stato, finora, dirimente perché l’investitore potesse accedere pienamente alla protezione offerta dal trattato.

In sintesi, gli Stati ospitanti hanno identificato nella difesa delle mani pulite un’opportunità per sfuggire a costose controversie in materia di investimenti poiché gli arbitri tendono a non considerare il coinvolgimento o l’acquiescenza dello Stato ospitante nell’atto illegale dell’investitore, limitando la loro valutazione al comportamento di quest’ultimo come barriera preclusiva rispetto al giudizio.

Seguendo tale approccio, la difesa delle mani pulite rischia di essere distorta nel suo significato e di essere impiegata in modo ingiusto, contrariamente al suo scopo originario di fornire soluzioni eque. La valutazione della difesa nella fase istruttoria della controversia non consente agli arbitri di avere piena conoscenza dei fatti rilevanti.

Gli Stati ospitanti non dovrebbero avere un diritto illimitato di sollevare con successo la dottrina delle mani pulite (nella fase preliminare come questione giurisdizionale o di ammissibilità) poiché ciò fornirebbe loro un vantaggio ingiusto che, di fatto, vengono posti nella condizione di sottrarsi a qualsiasi responsabilità anche quando siano in qualche misura coinvolti nell’azione illecita dell’investitore o vi abbiano, quantomeno, prestato acquiescenza, tollerando o facendo finta di non vedere cosa stava accadendo sotto i propri occhi. Sembra ingiusto – e contrario allo scopo ultimo della dottrina delle mani pulite come principio di equità – consentire allo Stato ospitante di tollerare o approvare la condotta illecita dell’investitore per lamentarsene poi, non appena l’investitore decida di avviare un procedimento arbitrale.

Anche se ad oggi nessuno sembra contestare che la costituzione e lo sviluppo di un investimento presupponga l’obbligo per l’investitore di rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato ospitante, da un lato, ci possono essere casi in cui lo Stato ospitante stesso sia effettivamente coinvolto nella violazione del diritto nazionale o internazionale. D’altra parte, le autorità governative possono rimanere acquiescenti e non contestare le violazioni perpetrate dall’investitore fino a quando l’investitore stesso non porta la questione davanti a un tribunale arbitrale, sollevando la difesa al solo scopo di sfuggire a potenziali responsabilità.


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Elisa Moro

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