Le mille e una tutela: i segmenti cautelari nel processo amministrativo e la deriva verso un processo breve in luogo di un processo giusto

Le mille e una tutela: i segmenti cautelari nel processo amministrativo e la deriva verso un processo breve in luogo di un processo giusto

Sommario: 1. Introduzione – 2. Lo slittamento – 3. L’innesto del rito immediato: le differenze tra art. 60 e 74 CPA – 3.1. Il baratto (svantaggioso) della cautela col merito a breve – 3.2. Il rito abbreviato – 3.3. Il fu rito superaccelerato – 3.4. Appalti e tutela cautelare: una disciplina fuori dal coro – 4. Autorotture e consapevolezza

 

1. Introduzione. La tutela cautelare costituisce da sempre un laboratorio di studio piuttosto proficuo per saggiare l’equilibrio di un determinato sistema processuale in un dato momento storico.  Essa, infatti, è posta a tutela del bene oggetto del processo, per evitare che quest’ultimo vada a deteriorarsi in attesa del giudicato. L’ordinamento, pertanto, in tali casi prevede l’applicazione di una tutela che si fonda su presupposti diversi dal giudizio di cognizione, quali il fumus e il periculum.  Essa è, perciò, destinata, più che a fare giustizia, «a dar tempo alla giustizia di compiere efficacemente l’opera sua»[1] o, in altre parole, è lo strumento che permette al provvedimento giurisdizionale di giungere in tempo; qualcuno l’ha altresì definita «la garanzia della garanzia».[2] Per quel che riguarda specificatamente il processo amministrativo, la stessa, inizialmente coincidente con la sola sospensione del provvedimento impugnato, si è rivelata successivamente inefficace a fronte degli interessi pretensivi (che rischiavano, di fatto, di rimanere privi di tutela), per giungere infine ad assumere varie e molteplici forme nei diversi riti oggi contemplati dal nostro diritto processuale amministrativo. È su questi ultimi, in particolare, che si intende concentrare l’attenzione, dal momento che il loro sovrapporsi restituisce un quadro normativo confusionario e tutt’altro che armonico, in cui emerge chiaro, però, il favor del legislatore verso l’accelerazione dei tempi del giudizio, attuata mediante la rapida fissazione dell’udienza di merito. Il risultato è stato quello di conferire una duttilità alla fase cautelare, che tra sovrabbondanza di corsie acceleratorie, compressioni e conversione in altri riti, fa sì che questa retroceda ad un ruolo meno rilevante, non senza ripercussioni sulla tutela degli amministrati.

2. Lo slittamento. Sul finire del secolo e in principio del nuovo millennio si è verificata una vera e propria “rivoluzione copernicana”[3] del giudizio amministrativo, i cui risultati sono stati cristallizzati nel primissimo codice del processo amministrativo che il nostro ordinamento abbia mai conosciuto, emanato con la l. 21 luglio 2000, n. 205. Al suo interno, al procedimento cautelare è dedicato il Titolo II del Libro II, composto di otto soli articoli (da 55 a 62), disciplinanti la tutela cautelare collegiale e quella monocratica, sia ante causam sia intra litem. Tralasciando qui la descrizione delle tre procedure, facilmente reperibile altrove, quello che s’intende mettere in evidenza è in primis l’allungamento dei tempi del procedimento collegiale, rispetto al regime previgente: al comma 5 dell’art. 55, infatti, si verifica un’inversione di tendenza rispetto al passato, giacché  l’udienza di discussione dell’incidente cautelare oggi, deve attendere che si verifichino le due condizioni del decorso dei termini incrociati: venti giorni dal perfezionamento dell’ultima notifica nonché dieci giorni dal deposito del ricorso; la domanda cautelare verrà trattata, pertanto, alla prima camera di consiglio successiva al verificarsi dell’ultima delle due condizioni indicate[4]. Prima del codice, invece, vigeva un automatismo nell’individuazione della data (l’istanza cautelare doveva essere trattata nella prima udienza disponibile nel calendario giudiziario, quindi, potenzialmente, anche il giorno dopo il deposito) che generava un grave paradosso: non solo diveniva conveniente per il ricorrente depositare l’ultimo giorno, per sottrarre spazio difensivo ai resistenti, ma allo stesso tempo non si lasciava al collegio il tempo materiale necessario per esaminare e studiare gli atti. Per queste ragioni, la maggior parte dei Tar e lo stesso Consiglio di Stato, avevano iniziato ad assumere un atteggiamento diverso: una volta depositata la domanda cautelare, infatti, il presidente, allorché avesse spazio nel ruolo, fissava discrezionalmente la data della camera di consiglio e sollecitamente ne dava avviso alle parti. Lo scopo era quello di assicurare un minimo iato temporale tra il deposito e la camera di consiglio. È in un simile contesto, quindi, che va ad inserirsi l’art. 55 co. 5, con il quale il legislatore ha cercato di fare la scelta più chiara possibile, conciliando l’esigenza di portare rapidamente in udienza l’istanza cautelare, con la contrapposta di consentire alle parti intimate di difendersi seriamente. L’allungamento dei termini è da salutarsi, dunque, in maniera positiva, perché dettato dall’esigenza di garantire, nei confronti di tutte le parti necessarie al giudizio, un contraddittorio pieno ed effettivo[5]. Accanto a tale novità, poi, se ne possono rinvenire altre: si pensi, ad esempio, ai nuovi compiti affidati al giudice, giacché pronunciandosi sulla domanda cautelare potrà non solo emanare un’ordinanza cautelare di rigetto o di accoglimento, ma anche fissare direttamente l’udienza di merito per la sollecita definizione del ricorso (art. 55. co. 10), ovvero emanare una sentenza in forma semplificata, “sentite sul punto le parti costituite” (art. 60 c.p.a), definendo così il giudizio. In virtù, quindi, dell’allungamento dei tempi, dei nuovi compiti del giudice e dei nuovi possibili innesti, si verifica, come ben evidenziato da Lumetti, uno slittamento[6]: la fase cautelare collegiale diventa un po’ più lenta e pesante perché destinata, sempre più spesso, a divenire una fase di possibile decisione del merito; la cautela presidenziale nell’assumere maggiore rilievo, si appesantisce a sua volta[7], per somigliare al modello di quella alla quale subentra. Tutto ciò ha restituito dignità ed autonomia (quantomeno procedurale) alla fase cautelare (un bel passo in avanti per quel che sino ai primi anni ’60 del secolo scorso era considerata un “incidente” del processo, al pari della riunione dei ricorsi); c’è chi, infatti, si è spinto a definirla “giudizio nel giudizio”[8] o “processo nel processo”[9], pur sottolineandone sempre il sussidiario legame col giudizio di merito[10]: Berti, ad esempio, pur sottolineando che essa non può che avere luogo all’interno del processo principale, prende atto di come il processo cautelare ha finito «con l’essere una sorta di normale superfetazione della domanda principale e del relativo processo, assumendo un ruolo gemellare, pur con tutte le differenze del caso, del processo chiamato appunto principale»[11]. Il suo sviluppo, tuttavia, è stato così esponenziale e caratterizzato da un’irruenza così strabordante[12], alimentato certamente anche dalla lentezza della fase di merito, che ha rischiato di spazzare via quest’ultima, quasi come per una sorte di nemesi. Il legislatore, allora, ha cercato di correre ai ripari, invertendo la rotta.

3. L’innesto del rito immediato: le differenze tra art. 60 e 74 CPA. Il giudizio cautelare può concludersi direttamente con una sentenza in forma semplificata: si innesta, in questo caso, il giudizio immediato, che più che rappresentare un processo speciale, va inteso come una sorta di rito complementare rispetto a quello ordinario, volto ad accelerare la definizione del processo. Più correttamente, forse, potrebbe parlarsi di un rito ordinario che si semplifica in itinere[13], lo conferma anche la sua collocazione nell’ambito del codice: l’istituto è inserito, infatti, nel libro II, dedicato al processo di primo grado e non nel libro IV, dedicato ai riti speciali[14]. In effetti, la semplificazione può compiersi se e solo se, ai sensi dell’art. 60, in sede di decisione della domanda cautelare, trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il Collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, ritiene di poter definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, a meno che una delle parti non intenda proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o regolamento di giurisdizione. L’esigenza e l’opportunità di una simile definizione, dunque, sono rimesse al prudente ed insindacabile apprezzamento del giudice[15], che in genere le ravvisa ogni qual volta emerga l’insussistenza dei presupposti processuali che devono caratterizzare la domanda giudiziale. Al contrario, fisserà l’udienza di merito “reincanalando” il giudizio nell’iter ordinario. La misura prevista dall’art. 60 costituisce, dunque, una corsia acceleratoria[16], volta velocizzare i tempi di decisione dei ricorsi; allo stesso tempo, però, va delineando un cautelare improprio: in quanto misura sollecitatoria rispetto all’inserimento secondo l’ordine cronologico di presentazione dei ricorsi, infatti, mutua dal cautelare il fumus ma non il periculum[17]. Se si tiene bene a mente questo, diviene facile capire anche perché l’art 60 non subordina più l’utilizzo della sentenza “breve” alle sole ipotesi di manifesta fondatezza/infondatezza, così come era imposto dalla legge n. 205/2000 e così come è stato mantenuto dall’art. 74: in sede cautelare, la sentenza succintamente motivata, rappresenta il modo ordinario di definizione della lite, indipendentemente dalla natura complessa o meno della stessa. Sorge, a questo punto, spontanea la domanda: perché mantenere due previsioni che sembrano sovrapporsi? La risposta è fornita dal Consiglio di Stato, il quale ha sottolineato che «la sentenza, ancorché succintamente motivata, è idonea a definire un giudizio a cognizione piena, non essendovi alcuna reciproca interdipendenza tra semplificazione della motivazione e sommarietà della cognizione[18]». Nonostante, dunque, siano sorrette dalla medesima ratio, sussistono delle importanti differenze tra la sentenza ai sensi dell’art. 60 e la sentenza prevista dall’art. 74. Se infatti l’art. 74 fa riferimento ad una sentenza “semplificata”, volta a snellire il contenuto della decisione ogni qualvolta ci si trovi in presenza di situazioni icto oculi fondate o infondate, da cui discende la non necessità di acquisire il consenso delle parti, né di provvedere alla previa informazione delle stesse, l’art. 60 nel tratteggiare una sentenza “anticipata” assolve a una funzione di protezione sostanziale, che non consente la possibilità di saltare automaticamente la fase di merito: il contraddittorio, pertanto, deve essere garantito[19].

3.1. Il baratto (svantaggioso) della cautela col merito a breve. È possibile, oggi, all’interno del codice, rinvenire numerose disposizioni che, di fatto, consentono di “scavalcare” completamente la fase cautelare. In primis l’art. 55, comma 10, attraverso il quale, il legislatore ha introdotto una nuova misura, intermedia, di tutela: la possibilità di fissazione immediata della data dell’udienza del merito. I presupposti per la sollecita definizione del giudizio di merito, in questo caso, sono meno accentuati[20], in quanto oltre al fumus e al periculum, il giudice deve valutare anche un terzo elemento: la necessità che le ragioni del ricorrente non siano tutelabili in maniere soddisfacente in sede cautelare, ma solo nella fase di merito (ci si riferisce a questioni complesse non risolvibili con misure provvisorie). La fissazione dell’udienza, dunque, diventa l’alternativa alla concessione della misura cautelare. Al comma 5 dell’art. 71 c.p.a, poi, è stata introdotta un’ulteriore novità: la possibilità da parte del ricorrente di rinunciare alla richiesta cautelare in cambio della fissazione a breve dell’udienza di merito. L’art. 72, allo stesso modo, immette nel sistema processuale una corsia preferenziale per quei ricorsi che in definitiva vertono su un’unica questione di diritto. Recita, infatti, testualmente «se al fine della decisione della controversia occorre risolvere una singola questione di diritto, anche a seguito di rinuncia a tutti i motivi o eccezioni, e se le parti concordano sui fatti di causa, il presidente fissa con priorità l’udienza di discussione». In questi due casi, a differenza di quanto previsto per l’art. 60 e 55 comma 10, l’accelerazione del processo è rimessa ad un comportamento virtuoso della parte, in particolare per quanto riguarda la disciplina dell’art. 72: dal momento che è la stessa ad avere la possibilità, rinunciando ad ogni superflua contestazione, di delimitare sul piano dell’essenzialità il thema decidendum, per conseguentemente giovare della rapidità connessa alla stessa. Non si può non obiettare, tuttavia, che così facendo si finisce per eliminare definitivamente la fase cautelare. A complicare ulteriormente il quadro, è stata la legge di stabilità del n. 208 del 28 dicembre 2015, con la quale sono stati introdotti importanti innovazioni alla disciplina della riparazione per violazione del termine ragionevole della durata del processo. Fra le più rilevanti vi è la previsione di una serie di “rimedi preventivi”, ossia di iniziative processuali delle parti per accelerare e semplificare il corso del processo[21].Per quel che riguarda specificatamente il processo amministrativo, il “rimedio preventivo” messo a disposizione delle parti è la “istanza di prelievo” di cui l’art. 71, comma 2, c.p.a. Non solo: a corredo di tale articolo, è stata posta una nuova norma, l’art. 71 bis, che recita: «A seguito dell’istanza di cui al comma 2 dell’articolo 71, il giudice, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio il giudizio con sentenza in forma semplificata». La nuova disposizione è stata oggetto di un’importante opera di decifrazione[22]. Innanzitutto, la lettura meramente letterale dell’articolo non permette di comprendere se l’iter accelerato in esso contenuto debba essere seguito ogniqualvolta sia favorevolmente riscontrata la prospettata urgenza del ricorso o, invece, nei soli casi in cui la controversia appaia, oltre che “urgente”, anche “matura” per essere decisa. Laddove l’impugnativa appaia “urgente” e nondimeno vi sia l’esigenza di integrare il contraddittorio o acquisire nuovi mezzi di prova ai fini della “completezza” richiamata dall’articolo, dovrà seguirsi il rito ordinario o invece, la controversia potrà comunque venire decisa, oltre che anticipatamente, anche “a porte chiuse” e con motivazione “succinta”? Il dettato normativa si presta all’una e all’altra interpretazione: l’impiego della formula condizionale «può definire», in luogo dell’indicativo “definisce”, potrebbe ribadire che la fissazione della camera di consiglio per la discussione del ricorso non discende ipso iure dalla presentazione dell’istanza di prelievo, risultando a tal fine necessario il previo positivo apprezzamento da parte del Presidente della Sezione; allo stesso tempo, il verbo “potere” potrebbe invece essere letto in stretta correlazione con il cennato presupposto dell’integrità di contraddittorio e istruttoria, stando allora a significare che, per potersi addivenire alla decisione dalla causa in applicazione dell’art. 71-bis, non è sufficiente la ritenuta ”urgenza” del ricorso, occorrendo altresì che tutte le parti necessarie siano state intimate e tutti i mezzi probatori indispensabili siano stati acquisiti. La seconda impostazione, invero, finisce non solo per circoscrivere eccessivamente l’ambito di applicazione della novella, ma anche, e soprattutto, per frustrare la ratio che l’ha ispirata[23]. Tuttavia, sebbene appaia poco condivisibile, sembra essere quella seguita in concreto dai giudici, che tentano, con tutte le loro forze, di assicurare il contraddittorio, anche se questo non incrementa la produttività degli uffici. L’effetto naturale dell’istanza, perciò, sarebbe solo quello di una relativa alterazione nell’ordine di trattazione dei ricorsi, restando invariato il numero complessivo delle cause decise nel medio e nel lungo periodo: l’accelerazione di una causa viene ottenuta a spese delle altre[24]. Il richiamo, poi, alla sentenza in forma semplificata ricalca l’art. 60 e questo genera una serie di equivoci. L’utilità dell’art. 60 si trova nella possibilità di “saltare” dalla fase cautelare alla decisione di merito seduta stante, per iniziativa del giudice. La camera di consiglio nella quale la causa viene decisa è, perciò, quella già convocata e in corso di svolgimento per l’esame della domanda cautelare. Tutti gli incombenti relativi alla convocazione dell’udienza pubblica e all’ attività difensiva vengono eliminati, così come vengono altresì eliminati gli incombenti relativi alla pronuncia, alla stesura ed alla pubblicazione dell’ordinanza cautelare, sostituiti da quelli relativi alla sentenza definitiva. Ne consegue un effettivo risparmio di lavoro per i magistrati e per le segreterie. La camera di consiglio prevista dal nuovo art. 71-bis, invece, deve essere fissata appositamente, né più né meno dell’udienza pubblica che comunque si dovrebbe fissare per effetto dell’art. 71, comma 2. La differenza fra le due ipotesi è data solo dal fatto che in un caso la trattazione della causa segue il rito ordinario, nell’altro caso quello camerale (art. 87, c.p.a.). Gli incombenti preliminari e i relativi tempi tecnici sono sempre gli stessi. Donde, lo scarso significato che la disposizione può avere. Se l’obiettivo del legislatore, invece, era quello di svincolare l’anticipazione del giudizio dalla concreta urgenza dell’impugnativa[25], allora avrebbe dovuto quantomeno riformulare e non espressamente richiamare l’art. 71, comma 2, in base al quale l’istanza di prelievo altro non è che l’istanza con cui la parte «segnala l’urgenza del ricorso» al Presidente, mettendolo in condizione di «derogare al criterio cronologico»[26].

3.2. Il rito abbreviato. Il rito abbreviato, comune a determinate materie, disciplinato dall’art. 119 del codice si caratterizza, oltre che per l’abbreviazione dei termini, anche per la peculiare disciplina delle pronunce sulle richieste di misure cautelari. Se, infatti, il contraddittorio è integro o se è stato integrato nei dovuti modi e il tribunale chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare, ritiene ad un sommario esame la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso (fumus) e di un pregiudizio irreparabile (periculum), fissa con ordinanza l’udienza di discussione sul merito; e ne fissa la data alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dal deposito dell’ordinanza. Si percepisce, dunque, come nelle intenzioni del legislatore, la sollecita fissazione del merito dovrebbe evitare o rendere inutile la somministrazione di una tutela cautelare. Emergono nitide le assonanze con l’art. 55, comma 10: la differenza tra le due norme risiede nel fatto che nel rito ex art. 119 la fissazione del merito sembra essere la regola, qualora il collegio verifichi la sussistenza delle condizioni per accogliere la domanda cautelare, mentre nel rito ordinario è espressione di un potere del T.A.R. che non pare debba presupporre la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda cautelare, come visto in precedenza. In entrambi i casi, comunque, il provvedimento riveste la forma dell’ordinanza collegiale e non cautelare. Non solo: il favor del legislatore per il prevalere del momento acceleratorio su quello cautelare si palesa altresì nell’aprire alla possibilità di procedere, anche in tale rito speciale, ai sensi dell’art. 60. Tale congegno processuale, che determina la conversione del rito abbreviato in rito immediato, è in grado di rendere ancor più celere la definizione del giudizio: nell’immediato, infatti, la decisione nel merito è “istantanea” rispetto all’udienza cautelare, nell’abbreviato l’udienza di merito è fissata ad una distanza ravvicinata rispetto a quella cautelare, ma non è ad essa contestuale[27]. È chiaro che simili meccanismi rendono impossibile parlare di tutela cautelare: l’istanza cautelare diviene solo uno dei necessari presupposti processuali perché il giudice possa decidere nel merito la controversia[28].

3.3. Il fu rito superaccelerato. All’interno dell’art. 120, a seguito dell’emanazione della l. n. 11/2016, andavano delineandosi due riti: uno speciale e accelerato riguardante gli atti delle procedure di affidamento in generale, e un altro, che è stato definito “superaccelerato”, contenuto negli artt. 2 bis e 6 bis, avente ad oggetto solo i provvedimenti che determinano le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa, relativi alle valutazioni dei requisiti soggettivi, economico finanziari e tecnico professionali. In tali casi il giudizio doveva essere definito in camera di consiglio (salvo che le parti richiedessero l’udienza pubblica), fissata dal Tar entro termini stringatissimi: 60 giorni. Il giudizio, dunque, in questo caso, nasceva ab origine come immediato e si trasformava, eventualmente, seguendo un percorso inverso rispetto allo schema ordinario, in abbreviato, nei casi espressamente previsti dalla legge (differimento in caso di esigenze istruttorie, per integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale). Sic stantibus rebus il Consiglio di Stato aveva dubitato circa l’ammissibilità in astratto della tutela cautelare. Sul punto si era espresso con parere del 1° aprile 2016 n. 855: «(la tutela cautelare) diventa, di fatto e nella ordinarietà dei casi, superflua, attesi i tempi strettissimi in cui si perviene alla decisione di merito, di cui può anche essere anticipata la pubblicazione del dispositivo». La previsione di un simile rito aveva senza dubbio il mirabile scopo di perseguire la deflazione del contenzioso, ma fin dall’inizio non ha convinto la stessa giurisprudenza, che si è espressa in maniera oscillante: accanto a chi, infatti, ne ha sempre condiviso l’impostazione[29], c’è stato anche chi, invece, ne metteva in risalto gli elementi di criticità, ritenendo la disciplina non compatibile con i principi costituzionali ed europei[30]. Il TAR Campania (5852/2016), in particolare, ha affrontato la questione in modo approfondito, giungendo infine a ribadire che non potesse escludersi la possibilità di continuare a richiedere la tutela cautelare ante causam e soprattutto, quella monocratica d’urgenza[31]. Il rito in questione, dunque, ha avuto un’esistenza piuttosto travagliata[32], ma breve, giacché è stato soppresso con il d.l. n. 32/2019[33], e forse dovremmo aggiungere “fortunatamente”. È sempre facile per chi parla con il senno di poi, ma senza dubbio può affermarsi che la soppressione del rito ha avuto un impatto positivo. Lo dimostrano ampliamente i due studi condotti in merito: “Analisi sui rapporti tra Giustizia Amministrativa ed Economia” e “Analisi di impatto del contenzioso amministrativo in materia di appalti 2017-2018”[34].  Da quest’ultimo, in particolare, emergono dati interessanti riguardanti l’ipotizzata esistenza del c.d. blocco giurisdizionale (cautelare e di merito) sulle procedure di gara. Quello che emerge è che: il c.d. “blocco giurisdizionale”, di fatto, non esiste, avendo un carattere estremamente limitato (pari a circa lo 0,3% delle procedure di gara); un giudizio-appalti viene definito in meno di tre mesi in primo grado (78 giorni) ed in circa quattro mesi in appello (125 giorni); il contenzioso-appalti si è ridotto del 50% in realistica conseguenza del c.d. rito superaccelerato. Quest’ultimo aspetto è forse il più preoccupante: ogni forma di deterrente posta dal legislatore all’accesso alla Giustizia è estremamente negativa ed è tanto più grave in un settore particolarmente afflitto da corruzione e malamministrazione, in cui il giudice amministrativo è l’ultimo baluardo della legalità. Qualcuno l’ha definita “una brutta, bruttissima pagina nella storia del Legislatore Nazionale”[35].

3.4. Appalti e tutela cautelare: una disciplina fuori dal coro. Come è noto, il “diritto processuale degli appalti” costituisce da tempo un settore a sé stante, distinto dal diritto processuale amministrativo tradizionalmente inteso. La fase cautelare, in particolare, in tale ambito ha sempre rivestito un ruolo centrale, ma più in negativo che in positivo[36]. La volontà del legislatore, infatti, di rimediare agli effetti dilatori della sospensiva sui tempi di realizzazione dell’opera pubblica, si è rapidamente trasformata in una tendenza ad abolire del tutto la tutela cautelare, mirando direttamente a una rapida definizione del merito del ricorso. Lo si evince dall’art. 31-bis, commi 2 e 3, legge 11 febbraio 1994, n. 109, con il quale in tema di lavori pubblici (c.d. legge Merloni), si attribuì all’amministrazione resistente e ai controinteressati, di fronte alla domanda di sospensiva avanzata dal ricorrente, la facoltà di chiedere che la questione venisse decisa nel merito entro un termine breve, evitando in tal modo una pronuncia sulla domanda di sospensiva. A fronte di una simile disciplina era giunto, puntuale, l’intervento critico della Corte Costituzionale: con la sentenza interpretativa di rigetto n. 249 del 1996, infatti, reinterpretò la norma allo scopo di salvare il diritto alla tutela cautelare, ritenuto essenziale e irrinunciabile ai sensi dell’art. 24 Cost[37]. L’intervento della Corte fu la spinta decisiva per il legislatore verso l’adozione della logica del rito speciale. Rito speciale inteso non solo come rito accelerato, ma anche come processo a cognizione sommaria[38]. È stata, tuttavia, la nuova direttiva ricorsi (direttiva 2007/66/CE dell’11 dicembre 2007) ad innescare un profondo cambiamento d’impostazione rispetto alla tendenza tradizionalmente seguita dal nostro legislatore. Essa ha posto in primo piano l’esigenza di effettività della tutela del ricorrente, giacché all’art. 2 recita i «provvedimenti presi in merito alle procedure di ricorso» devono consentire di «prendere con la massima sollecitudine e con procedura d’urgenza provvedimenti cautelari intesi a riparare la violazione denunciata o ad impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico o l’esecuzione di qualsiasi decisione presa dall’amministrazione aggiudicatrice». A tal fine vengono introdotti meccanismi preventivi volti ad assicurare una tutela cautelativa e anticipata ad una fase in cui le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possono ancora essere facilmente corrette (obbligo standstill procedimentale e processuale, nonché misure cautelari dalla durata massima di 60 gg). Proprio riguardo allo standstill processuale la direttiva lasciava agli Stati membri la libertà di decidere se far durare questo «termine sospensivo minimo autonomo» fino alla decisione cautelare oppure fino alla decisione di merito. Il legislatore nazionale ha preferito adottare la prima opzione ed è una scelta che non può passare inosservata, dal momento che, pur avendone avuta la possibilità, prolungando fino alla decisione di merito l’effetto sospensivo automaticamente ricollegato alla proposizione del ricorso, ha deciso invece di mantenere in vita il giudizio cautelare, di fatto salvaguardandolo. Questo significa che sebbene lo schema sia rimasto invariato, poiché la disciplina introdotta dal codice per il rito degli appalti ricalca l’impronta della legge n. 205/2000[39], non ne ha conservato lo stesso significato[40]: la misura cautelare non è più vista come un ostacolo alla celere realizzazione dell’opera pubblica, bensì come la necessaria garanzia della tutela dell’interesse sostanziale che il contenzioso in materia di appalti pubblici dovrebbe normalmente assicurare. La tutela cautelare diventa così lo strumento centrale di un giudizio che è speciale in un senso del tutto nuovo.

4. Autorotture e consapevolezza. Eccezion fatta, dunque, per l’ultimo caso riportato, dall’analisi di tutte le altre disposizioni codicistiche emerge chiara la deriva verso la prevalenza del processo breve sul processo giusto. I segmenti cautelari che vengono a configurarsi (una miriade!), infatti, tendono a divenire microsistemi che rischiano di apportare inutili complicazioni alla disciplina generale, attentando all’efficienza stessa del processo amministrativo che, in verità, dovrebbe conservare la linearità e la semplicità dei suoi albori[41]. In effetti, una volta eliminato l’arretrato (possibilmente con strumenti che non rischino di mortificare le esigenze di tutela del ricorrente), l’unico vero ostacolo alla ragionevole durata del processo è costituito proprio dalla eccessiva accelerazione che si vuole imprimere ad alcuni giudizi, giacché dovendosi concentrare l’attenzione dei giudici su di essi, inevitabilmente li si costringe ad “accantonare” gli altri. L’accelerazione a scapito della cautela, dunque, non è la soluzione; anche il legislatore, in fondo, ne è consapevole, così come lo è dell’importanza e essenzialità della tutela cautelare: lo si evince dalla tecnica di redazione delle norme, dal momento che non è difficile rinvenire all’interno delle stesse delle vere e proprie “auto-rotture”. Si legga, ad esempio, l’art. 72 comma 2, nel quale si dispone che se «il collegio rileva l’insussistenza dei presupposti di cui al comma 1, dispone con ordinanza che la trattazione della causa prosegua con le modalità ordinarie»; o ancora l’art. 119 comma 4, che consente nei casi di “estrema gravità e urgenza” la possibilità di emanare “le opportune misuri cautelari”. Alla luce dell’esperienza maturata nelle aule giudiziarie, si evince come proprio appellandosi a tale previsione, la giurisprudenza abbia nei fatti limitato la portata derogatoria della normativa speciale racchiusa nell’art. 119[42]. In via interpretativa, pertanto, la giurisprudenza si è ancora una volta opposta al tentativo di restringere le maglie della tutela cautelare. Si pensi, poi, a come sono state costruite altre disposizioni, come quella dell’art. 71 bis, che i giudici hanno interpretato nel senso di conversione del rito in mancanza di un’adeguata istruttoria o contradditorio. Se il legislatore, però, vuole continuare a non ammettere a se stesso quello che già sa, ostinandosi a costruire un processo in cui non c’è più bisogno della fase cautelare, perché veloce, urgente, rapido, allora, come è già accaduto nel caso del rito del silenzio, dell’accesso e dell’ottemperanza, deve altresì riconoscere che il processo amministrativo, mutuando dalla stessa le sue caratteristiche principali, finirebbe per divenire esso stesso un grande processo cautelare; come direbbe Orazio: Graecia capta ferum victorem cepit.

 

 

 

 

 

 


[1] P. Calamandrei, Introduzione allo studio dei provvedimenti cautelari, 1936, p. 39.
[2] V. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, 2003, p. 697.
[3] Si esprime in questi termini F. De Luca, in F. Freni, Tutela cautelare e sommaria nel nuovo processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 2011, p. 22 e ss.
[4] È comunque vero, che così come nella normativa precedente era prevista la possibilità di abbreviazione dei termini, anche oggi l’art. 53 c.p.a. contiene una previsione di tal genere, ma solo in caso di urgenza ed in merito ai termini previsti per la fissazione di udienze o di camere di consiglio. Il decreto di abbreviazione del termine è redatto in calce alla domanda, notificato a cura della parte richiedente all’amministrazione intimata e ai controinteressati e comincia a decorrere dall’avvenuta notifica. Sempre riguardo ai termini, il codice introduce un’importante novità: la possibilità di rimessione in termini per errore scusabile. Il giudice può disporla, infatti, anche d’ufficio, in virtù dell’art. 37 c.p.a., in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto.
[5] Si esprime in tal senso M. Annoni, Il riordino della tutela cautelare, in www.giustamm.it, 12/2010, 43: “non può negarsi che il procedimento cautelare come ridefinito dal codice abbia perso gran parte della snellezza e rapidità che lo avevamo caratterizzato per circa un secolo, imponendo tempi assai più lunghi e adempimenti prima non previsti (…) tuttavia non può negarsi l’utilità del rafforzamento del contraddittorio.”
[6] M.V. Lumetti, Processo amministrativo e tutela cautelare, Cedam, 2012, 179 e ss.
[7] È bene ricordare, infatti, che sebbene in questo caso ci si trovi innanzi ad un contraddittorio meramente “formale”, la nuova disciplina prevede, a differenza del cessato art. 245 del Codice dei Contratti Pubblici non solo che le parti debbano essere avvertite, previa notifica, che sia stato chiesto un simile provvedimento, ma anche la revoca o la modifica del provvedimento cautelare adottato, in caso di accoglimento, da parte del giudice solo su istanza di parte previamente notificata (a differenza dell’art 245 che ne prevedeva la revocabilità/modificabilità d’ufficio).
[8] F. Satta, Giustizia cautelare, Giustizia cautelare, in Enciclopedia del diritto, agg. I, Milano, 1997., 600 ss.
[9] A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XV ed., Jovene Napoli, 1989.
[10] Di altro avviso è E. Cannada Bartoli, Processo amministrativo cautelare e doppio grado di giurisdizione, in Riv. Dir. Proc., 1977, 552, secondo il quale l’autonomia risiede solamente nel fatto che il processo cautelare ha presupposti diversi da quelli del processo principale, non potendosi quindi affermare l’esistenza di un giudizio in senso tecnico.
[11] G. Berti, Corso Breve di giustizia amministrativa, Padova, 2004, 193.
[12] M. V. Lumetti, Processo amministrativo e tutela cautelare, Padova, 2012.
[13] F.F. Tuccari, La semplificazione delle decisioni contenziose tra accelerazione ed effettività del contraddittorio, in F. Caringella, M. Protto (a cura di), Il nuovo processo amministrativo dopo due anni di giurisprudenza, Milano, 1003, 2002.
[14] R. De Nictolis, Processo amministrativo, Milano, 2001, 1041.
[15] Proprio perché la scelta non dipende in alcun modo dalla volontà delle parti, è necessario che queste vengano avvertite al fine precipuo di sviluppare le proprie difese ed evitare “sentenze a sorpresa”.  Si pone in tal senso, infatti, l’annoso problema delle cd. sentenze “della terza via”: pronunce in cui il giudice decide sulla base di questioni rilevate d’ufficio ma sulle quali tra le parti non c’è stato alcun confronto processuale. Per ovviare a questo problema, che si pone in palese contrasto non solo con il principio del contraddittorio, ma anche con il diritto di difesa, la giurisprudenza amministrativa si è fatta portavoce di un orientamento garantista (pienamente condivisibile), che prospetta la possibilità di formulare alle parti un doppio avviso: un primo avviso, con cui si informa che il procedimento si conclude con una sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60, che può essere direttamente verbalizzato anche in caso di assenza fisica delle parti, e un secondo avviso, con cui si dà atto che è emersa una questione rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a.
[16] F. Patroni Griffi, Istituti di semplificazione nel nuovo processo amministrativo, in www.diritto.it.
[17] M.V. Lumetti Processo amministrativo e tutela cautelare, Cedam, 2012, 277.
[18] Cons. St., Sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3929.
[19] Su tale differenza si legga ancora Cons. St., sez. III, 18 aprile 2017, n. 1814, sentenza nella quale il Collegio afferma che rientra nei poteri del giudice d’appello confermare una decisione ex. art. 74, lacunosa o erronea, integrandola o sostituendola, se l’esito è corretto. Dal momento che tali situazioni non integrano un difetto di procedura, né incidono sul diritto di difesa.
[20] A. Di Giovanni, Processo amministrativo di primo grado, in Codice del processo amministrativo, a cura di E. Picozza, 2010, 104.
[21] Con la rilevantissima precisazione che solo chi ha esperito almeno uno dei “rimedi preventivi” previsti avrà diritto all’equa riparazione se risulterà violato il termine ragionevole.
[22]Si leggano P.G. Lignani, L’equivoco della sentenza semplificata nella legge di stabilità 2016, in lexitalia.it, n. 1/2016, con commenti di F. Volpe, G. Virga e R. Gisondi; C.E. Gallo, Una nuova funzione per l’istanza di prelievo, in giustamm.it, n. 1/2016; M.A. Sandulli, Nuovi ostacoli alla tutela contro la pubblica amministrazione (legge di stabilità 2016 e legge delega sul recepimento delle Direttive contratti), in federalismi.it, n. 2/2016, pp. 3 – 5 e G. Virga, Art. 71 bis c.p.a. (sentenza semplificata a seguito di istanza di prelievo), in lexitalia.it, n. 2/2016.
[23] Contra M.A. Sandulli, Nuovi ostacoli alla tutela, cit., p. 5; C.E. Gallo, Una nuova funzione, cit.; G. Virga, Art. 71 bis c.p.a., cit. e R. Gisondi, a commento di P.G. Lignani, L’equivoco della sentenza semplificata, cit.
[24]P.G. Lignani, L’equivoco…,ult.cit.
[25] La tesi in parola è sostenuta da R. Gisondi, a commento di P.G. Lignani, L’equivoco della sentenza semplificata, cit.
[26] Art. 8 delle Norme di attuazione al c.p.a.
[27] R. De Nictolis, Processo amministrativo, Milano, 2011, 1041.
[28] In questi termini già si esprimeva D. De Carolis, Tutela cautelare e atti negativi, in AA.VV., La tutela cautelare nel processo amministrativo, Milano, 2006, 128.
[29] Si veda TAR Lazio, sez. II, 17 luglio 2017, n. 8577.
[30] Si vedano T.A.R. Campania, sez. IV, 20 dicembre 2016, n. 5852; T.A.R. Puglia, sez. III, 8 novembre 2016, n. 1262.
[31] La premessa da cui lo stesso partiva è quella secondo la quale l’adozione di una misura cautelare monocratica «comporta obbligatoriamente (art. 56, co. 4 c.p.a.) la fissazione della camera di consiglio di cui all’articolo 55, co. 5 c.p.a. e, quindi, il prosieguo del giudizio secondo le forme “tradizionali” del giudizio cautelare ordinario (sia pure, per gli appalti, con tutte le peculiarità collegate al sistema degli artt. 119 e 120 c.p.a.)»; sostiene, inoltre, che la tutela cautelare in questo caso avrebbe dovuto basarsi su un onere di motivazione “rafforzato”: «è evidente che il regime derogatorio è ammissibile e legittimo solo laddove esso presenti caratteristiche di straordinarietà tali da consentire la deroga della disciplina processuale accelerata in ragione della superiore esigenza di tutela del diritto di difesa del del ricorrente.»
[32] Per completezza si leggano le ordinanze gemelle del TAR Puglia (nn. 903/2018 e 1097/2018) ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale e la risposta di quest’ultima avvenuta con sentenza 18 dicembre 2019, n. 271.
[33] Sulle problematiche conseguenti la soppressione e derivanti dalla mancata e specifica previsione di un regime intertemporale si legga: P. Clarizia, La soppressione del ricorso superaccelerato e l’ingiustificato sacrificio della certezza del diritto, in federalismi.it. ISSN 1826-3534, n. 1/2021.
[34] Entrambi gli Studi sopra indicati sono pubblicati sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa: https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/codice-dei-contratti-pubblici.
[35] In questi termini si esprime E. Lubrano, La soppressione dell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. (onere di immediata impugnazione delle ammissioni degli altri competitors nel processo-appalti, c.d. rito superaccelerato): un’occasione per la riespansione dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale, in «Il diritto dell’economia» issn 1123-3036, anno 66, n. 103 (3 2020), pp. 131-153. Per tesi opposte, volte al mantenimento e modificazioni del rito, si legga P. Clarizia, op.cit.
[36] M. Ramajoli, La tutela cautelare nel contenzioso sulle procedure di affidamento degli appalti pubblici, in www.giustamm.it,14 marzo 2011; Ramajoli, Il processo in materia di pubblici appalti da rito speciale a giudizio speciale, in Greco (a cura di), Il sistema della giustizia amministrativa negli appalti pubblici in Europa, Milano, 2010, spec. 122 ss.
[37] Veniva così stabilito che la norma dovesse essere interpretata nel senso che non eliminava il potere cautelare del giudice, comunque tenuto a pronunciarsi sulla domanda di sospensione del provvedimento impugnato e, in presenza dei presupposti di legge, a concederla, stante il «carattere essenziale della tutela cautelare».
[38] Ci si riferisce soprattutto all’art. 19 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito in legge 23 maggio 1997, n. 135, con il quale, in risposta alla posizione assunta dalla Corte sull’art. 31-bis della legge Merloni, il legislatore aveva stabilito che «il tribunale amministrativo regionale, chiamato a pronunciarsi sulla domanda di sospensione, può definire immediatamente il giudizio nel merito, con motivazione in forma abbreviata». Il Consiglio di Stato aveva poi precisato che la possibilità che il giudice definisse nel merito la controversia all’esito dell’udienza cautelare non era subordinata all’istanza di parte, né era prescritto che il giudice informasse le parti circa l’intenzione di disporre l’immediata decisione sul ricorso (Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 1999, n. 1018). Più tardi la legge 21 luglio 2000, n. 205 ne ha circoscritto l’applicazione ai soli casi di manifesta fondatezza, infondatezza, irricevibilità, inammissibilità e improcedibilità del ricorso ma allo stesso tempo ha previsto un’ulteriore restrizione all’operatività della tutela cautelare: all’udienza cautelare, quando ad un primo esame il ricorso evidenzi l’illegittimità dell’atto impugnato e sussista un pregiudizio grave e irreparabile, il giudice «fissa» entro 30 giorni l’udienza di merito e in ogni caso le «opportune» misure cautelari sono disposte solo in caso di estrema gravità ed urgenza
[39] Per tutti indistintamente i cd. riti abbreviati l’art. 119, co. 3°, c.p.a. adotta, come si è detto, lo stesso schema già utilizzato dall’art. 23-bis della legge Tar: possibilità di definizione immediata del giudizio nei casi di manifesta fondatezza, infondatezza, inammissibilità, improcedibilità e irricevibilità del ricorso (secondo la regola generale della decisione in forma semplificata ex art. 60 c.p.a. e con il relativo dimezzamento dei termini ex art. 119, co. 2°); fissazione della data di discussione del merito a breve di fronte all’emergere di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, accertata la completezza del contraddittorio ovvero disposta l’integrazione dello stesso; infine, possibilità di disporre le «opportune misure cautelari» solo in caso di «estrema gravità ed urgenza». Per il resto l ‘art. 119, co. 4, rinvia alla disciplina generale procedimento cautelare.
[40] M. Ramajoli, La tutela cautelare nel contenzioso sulle procedure di affidamento degli appalti pubblici, in www.giustamm.it,14 marzo 2011.
[41] Interessanti sono gli studi condotti in merito da F. Auletta, La ragionevole durata del processo amministrativo, Judicium, 2007 e le considerazioni di F. Patroni Griffi, che  in un’intervista del 2017 al “Dubbio”, quindi ben dieci anni dopo lo studio di Auletta, afferma: “i nostri numeri parlano di una durata media dei giudizi in netto e costante declino, passando – fra il 2010 ed il 2015 – da 535 a 168 giorni nei giudizi presso i Tar e da 355 a 107 giorni presso il Consiglio di Stato. Questi dati, elaborati facendo riferimento all’anno di deposito del ricorso, a partire dal 2010, ci consentono di avere un dato statistico ‘ epurato’ dal peso dell’arretrato, da cui emerge che ci troviamo di fronte ad una giustizia amministrativa sempre più efficiente, nonostante questa ‘ zavorra’.”
[42] Da un punto di vista letterale, il criterio di estrema gravità e urgenza, infatti, mantiene ancora un esteso stadio di indeterminatezza. La sua reale differenza dai presupposti di gravità e irreparabilità dell’art. 55 risulta piuttosto problematica, sicché la stessa giurisprudenza amministrativa finisce per sottovalutare la differenza e ricostruisce spesso il criterio del periculum in modo uniforme, tanto nell’ambito generale dell’art. 55, quanto nel contesto speciale dell’art. 119.

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